Quella volta che Gassman sbarcò a Carloforte con il Teatro Popolare_di Attilio Gatto
Nell’anno dei vent’anni dalla morte, scopro un Gassman più che mai vivo e vitale. È il 1962. Sardegna, Calasetta. Il mattatore, 40 anni, è in maniche di camicia, atletico, sorridente. Saluta la folla che lo accoglie come un Capo di Stato. Applausi alla partenza del traghetto per Carloforte. Vittorio Gassman naturalmente entra subito nella parte del Comandante. Con il berretto da ufficiale di marina è lui il protagonista. Con lo sguardo va a cercare il colore del mare, un mare calmo, quasi piatto. E all’arrivo c’è ancora la folla, che non lo infastidisce, tutt’altro.
Appena il battello attracca, s’immerge, si fa inghiottire dall’onda lunga dei suoi ammiratori. Cerca il contatto fisico con il suo pubblico. Non inganni però il corpo dell’attore atleta. Gassman all’inizio degli anni sessanta affronta una grande impresa culturale, quella del Teatro popolare italiano. Obiettivo: portare i classici nelle province, nelle periferie del Paese, allestendo gli spettacoli in un teatro tenda. Il debutto a Roma, 1960, Parco dei Daini, con “Adelchi” di Alessandro Manzoni.
Davvero una scommessa, un’opera considerata irrapresentabile, che invece ha un grande successo, con record d’incassi. Poi è la volta di “Un marziano a Roma” di Ennio Flaiano, clamoroso flop che Gassman ricorda così: “lancio di oggetti, battutacce, spettatori che venivano al proscenio per insultare gli attori”. Rimedia con “Edipo Re”, più vicino ai gusti del pubblico. Segue Pirandello, con una discussa versione di “Questa sera si recita a soggetto”, in cui l’attore critica la figura del regista. Del viaggio di Gassman in Sardegna – mentre affronta l’avventura teatrale, e al cinema esce “Il sorpasso” diretto dall’amico Dino Risi – ricordo una cronaca di Giuseppe Podda. Purtroppo non sono riuscito a rintracciarla. Mi pare che l’abbia scritta su “Rinascita Sarda”. Ma non posso escludere che fosse un servizio per “L’Unità”. Podda in quel 1962 ha seguito Gassman, i suoi incontri, le sue conversazioni. Gli ha fatto diverse domande. E, alla fine, da questo personaggio che in superficie appare prorompente e anche prepotente, viene fuori il ritratto di un uomo di grande sensibilità, pari alla forte personalità.
Un artista che si interessa dei problemi dell’Isola, dialoga con la gente e si tiene lontano da qualsiasi strumentalizzazione politica. Un Gassman attento e colloquiale, mentre discute con gli studenti del suo “Amleto” , s’incontra su YouTube, caricato da Marco Parodi, il nostro indimenticato regista, cagliaritano d’adozione, nato a Genova come il celebre Vittorio. Credo di non sbagliare se affermo che quella trasmissione è diretta proprio da Parodi, che ha realizzato diversi programmi in tivù. “Il suo – interviene un ragazzo – è un Amleto segnato dai dubbi, ma rivela una forza finora sconosciuta, per certi versi sicuro di sé.” Lui risponde di sì, che questa è la sua ricerca su “Amleto”, interpretato in giovane età, nel 1954, diretto insieme a Luigi Squarzina, mentre per “Macbeth” ha atteso la maturità. “Amleto – dice Gassman – si può leggere come dramma delle delusioni. Io – rivela – mi trovai a pensare all’Amleto, a studiare il testo per la preparazione dello spettacolo, mentre ero a Los Angeles per lavoro. Passai un’infinità di pomeriggi, in piscina, bevendo champagne, con uno straordinario personaggio, il grande Charles Laughton, un attore colto, intelligente e ironico, che mi diede il suggerimento giusto: perché non provare a fare un Amleto che non è tanto l’esangue e dubitoso Principe, quanto un uomo che non vuole fare l’azione, che la ritarda il più possibile e che alla fine si trova a uccidere il Re quasi per forza, stancamente! E così ho fatto.”
Un giovane è incuriosito da un grande attore del nostro Novecento, Memo Benassi. Ed ecco lui, il Mattatore, pronto a riconoscere il genio:”Benassi era bizzarro, totalmente folle, ma grandissimo attore. Benassi è stato un Amleto discontinuo, come tutto quello che faceva, però con delle zampate enormi. Lui recitava “Essere o non essere” giocando su una scacchiera invisibile. Benassi era proprio il prototipo dell’attore romantico. Genio e sregolatezza, anche nella professionalità.“ E quanto a genio, proseguendo con Shakespeare, non si può dimenticare “Otello”, 1956, quando Gassman alterna il ruolo del Moro e di Jago con Salvo Randone. Una formidabile competizione tra due assi della scena che si sfidano con voce, pause, capacità di dominare lo spazio. E dunque Vittorio Gassman, a vent’anni dalla morte, mentre ne mancano due al centenario dalla nascita. La riflessione su Memo Benassi rivela quanto approfondito sia il suo lavoro sul teatro e sull’attore. Con Carmelo Bene, Dario Fo e Eduardo De Filippo, Gassman è l’erede di una tradizione, che ciascuno di questi giganti del teatro ha elaborato a suo modo. Il grammelot di Dario Fo, con la comicità carnevalesca delle classi subalterne, con il popolo che sfida il potere. La voce cantilenante di Carmelo Bene che rilegge i classici per sottrazione, trovando nuovi equilibri tra i personaggi. La Napoli di Eduardo, capace anche di ricreare “La tempesta” di Shakespeare, in una lingua che è regionale e universale al tempo stesso. E la figura di Vittorio Gassman bisognerà studiarla a lungo, non solo il grande attore, ma anche il suo lavoro di ricerca. Tentando di illuminare gli angoli nascosti della sua lunga produzione, magari facendo emergere il giudizio dell’attore sul personaggio che interpreta, il distacco, lo straniamento, l’ironia dove non appare. Un’ironia, una comicità, che il cinema ha saputo valorizzare, a cominciare da “I soliti ignoti” di Mario Monicelli. Una volta, in tivù, Gassman ha detto: “ L’attore chi è? È uno che finge in maniera preoccupante sentimenti che non prova. È un mostro per definizione. Poi si tratta di farlo senza prendersi molto sul serio, perché ci sono cose più importanti.” E riflettendo sull’avventura del teatro popolare ha spiegato:”Mi ha dato degli arricchimenti, anche di carattere negativo. Mi ha fatto capire la difficoltà di portare avanti un discorso teatrale serio, utile, concatenato, in Italia.” E così torna il Vittorio Gassman schietto, pronto a confrontarsi, visto a Carloforte, in un filmato dell’Istituto Luce, caricato su internet. L’atleta, il mattatore della scena, che si confonde tra la gente di Sardegna e – come il Garcia Lorca de “La Barraca”, all’inizio degli anni trenta – si pone il problema della cultura popolare, dell’educazione del pubblico, senza alterigia, senza velleità da intellettuale rinchiuso nella sua torre d’avorio, consapevole degli ostacoli cui è sottoposto un serio lavoro culturale nel nostro Paese. Gassman, uno di noi, cui però il talento consente – volendo usare la metafora che lui ha adoperato per Benassi – di farci conoscere il mistero del teatro “giocando su una scacchiera invisibile”.