Andar per chiese antiche/L’esterno del Santuario di N.S. di Bonaria_a cura di Anna Palmieri Lallai
Abbiamo visto, in precedenza, che i Mercedari, da sempre attivi nella loro opera di redenzione degli schiavi, avevano avuto da oltre trent’anni la chiesetta che Alfonso d’Aragona aveva eretto sul colle di Bonaria in attesa di scacciare i Pisani e conquistare il Castrum Caralis. Ma il 25 marzo 1370 un veliero, proveniente dalla Spagna, all’improvviso fu investito da una violenta tempesta davanti alla rada di Bonaria (Su Siccu), per cui il capitano, per salvarsi, ordinò di gettare in acqua tutto il carico compresa una grossa cassa che, nonostante il peso, galleggiò e calmò le acque.
Recuperata la riva, solo due frati del convento, senza alcuna fatica, portarono la cassa all’interno della chiesetta e, aperta, trovarono il simulacro ligneo della Madonna di Bonaria, la stessa che veneriamo da secoli e che denomina “Santuario” il luogo in cui è custodita, oggi connubium interessantissimo tra storia locale, fede, arte, cultura. Ancora oggi una sorta di colonna giurisdizionale, collocata sulla destra dell’attigua scalinata, indica non solo il punto del suo approdo, ma anche la linea della costa all’epoca.
Ma prima di accedere all’interno del Santuario, dove è custodito il vero “tesoro” diamo uno sguardo al suo esterno. La grande struttura religiosa, che ieri come oggi domina l’altura del colle, è costituita dal piccolo Santuario, collocato sulla sinistra, e dalla maestosa Basilica, la più grande della Sardegna, realizzata in un momento successivo (1704-1926). Entrambi sono preceduti da un ampio piazzale leggermente in salita, suddiviso in diversi riquadri, che, realizzati in ciottoli, riportano, al centro, lo stemma dell’Ordine mercedario, mentre la parte superiore, al fine di superare più facilmente il dislivello, è occupata da un’ampia gradinata a due rampe, intervallate da un pianerottolo.
Lateralmente, dal 1970, su alti basi in pietra calcarea, fanno bella mostra due artistici monumenti bronzei, artisticamente realizzati dal piemontese Franco d’Aspro (1911-1995), in occasione della visita pastorale a Cagliari di papa Paolo VI, che sintetizzano magistralmente i due momenti più significativi dell’approdo miracoloso della cassa: il vascello nel mare in tempesta in balia delle onde (lato sinistro) e la Madonna sulla cresta dell’onda, protettrice dei naviganti, nel lato opposto. Mentre dal sottostante viale Diaz si può raggiungere il grande complesso utilizzando l’imponente e sinuosa scalinata a più rampe realizzata per volere del Comune solo tra il 1962 e il 1967 su progetto dei fratelli romani Adriano e Lucio Cambellotti, noti in città per aver lavorato nel restauro della chiesa di S. Anna e per la chiesa di S.Lucia, via Donizetti. Tutta la zona, in un passato, paludosa e “malarica”, fu bonificata dal lavoro dei forzati della colonia penale di S. Bartolomeo.
Il Santuario che noi conosciamo, antica chiesetta risalente al 1324-1325 circa, primo edificio religioso realizzato in Sardegna dagli Aragonesi nel loro stile gotico catalano, è ancora coperto da un velo di “mistero”, perché s’ignorano sia il progettista che l’aspetto originario. Infatti, come spesso capita, anche il santuario ha subito nel tempo delle modifiche profonde all’esterno e all’interno, lasciando poche tracce della sua origine.
Oggi, in realtà, solo il campanile poligonale, realizzato in blocchi di calcare, visibile sulla sinistra del convento e con esso comunicante, antica torre aragonese di guardia, è l’unica testimonianza storica rimasta e -come vedremo- costituisce alla base interna, lo scrigno del sacro simulacro. A testimonianza della sua origine restano diversi galeoni spagnoli incisi nelle pareti interne.
Si presume, infatti, che, seguendo la tipologia catalana, la chiesetta fosse improntata alla più grande sobrietà, con portale centrale sovrastato da lunetta a sesto acuto o ogivale e terminale piatto. Ma con l’edificazione, ai primi del ‘700, dell’attigua imponente Basilica e del suo porticato, si rese necessario allineare i due prospetti, per cui quello del Santuario, che era retrostante, avanzò dapprima con una sorta di vestibolo che, col tempo, fu tamponato, diventando, esternamente, parte integrante del prospetto piatto, e creando, all’interno, un nuovo spazio dedicato alla tribuna con relativa cantoria.
In origine nella lunetta del portale era inserito lo stemma in pietra dell’Ordine religioso, mentre una apertura a lunetta vetrata, in asse, contribuiva ad alleggerire il prospetto e a far filtrare la luce all’interno, a cui si accedeva tramite un portone ligneo, di rovere, a doppia apertura. La soglia d’ingresso, con molta probabilità, era costituita dalla lastra tombale marmorea del fiorentino Lapo Saltarelli, esiliato in Sardegna per brogli e sepolto nella chiesa di S. Francesco di Stampace, crollata miseramente nel 1875, personaggio citato da Dante (Par. XV, v.128). Col tempo la lastra fu rimossa per volere di Dionigi Scano, all’epoca soprintendente ai beni culturali, e attualmente collocata nel Lapidarium dello spazio di S. Pancrazio, Cittadella dei Musei.
Più tardi, col mutamento delle condizioni socio-economiche e sotto l’influenza di nuovi stili architettonici, la facciata divenne neogotica, con rivestimento bicromo, a strisce orizzontali bianche e nere. Il prospetto, diviso in tre ordini, riutilizzò il portale strombato proveniente dalla ormai distrutta chiesa di S. Francesco di Stampace (1875), che, affiancato da due eleganti bifore con vetrate policrome, chiudeva nella lunetta la raffigurazione della Madonna realizzata in mosaico policromo.
Nel secondo ordine una grande bifora tamponata con piccolo rosone centrale sovrastava il portale, mentre altre due bifore, più strette, erano in asse con quelle del piano. Infine il terzo ordine presentava il timpano finale a capanna decorato da archetti pensili ciechi e grande rosone centrale con all’apice la classica croce latina. L’ingresso, leggermente sopraelevato rispetto al piano stradale, presentava nel gradino d’accesso, una mezza stella dei venti, chiaro riferimento alla Madonna di Bonaria, protettrice dei naviganti.
E con questo “falso” prospetto neogotico il santuario rimase a lungo, finché un ultimo restauro, iniziato nel 1957 e conclusosi nel 1960, ha completamente modificato Il Santuario, per meglio adeguarsi all’adiacente Basilica, che ormai, nel 1926, dopo tempi abbastanza lunghi, era stata ultimata.
Oggi la facciata che noi ammiriamo, realizzata su progetto dell’architetto perugino Gina Baldracchini, si presenta semplice ed essenziale, con palesi richiami alla purezza dello stile originale. Rivestita di pietre calcaree bianche, lisce e bugnate, ricavate dal vicino colle, ha un prospetto piatto, ad un solo ordine, due finte feritoie tamponate in asse col portale e un ampio rosone centrale con inferriata e vetri opalescenti color ambra che fa filtrare la luce in direzione della cantoria, mentre nel coronamento finale a capanna svetta una classica croce latina in ferro. Estremamente importante, come si è accennato, è il portale, che, sopraelevato rispetto al piano stradale, avanza strombato o a sguancio, con una serie di tre semi colonne con capitello decorato a foglie d’acanto, pilastrini con rosette finali stilizzate, sormontato da un timpano a sesto acuto, con lunetta cieca, in cui è inserita la statua bronzea della Madonna, che, ritta, ha il Bambinello in braccio. L’opera venne realizzata, nel 1959, dallo scultore romano Arnolfo Bellini, autore di tutte le opere bronzee della chiesa francescana di via Piemonte.
Dal 2016, anticipando i tempi previsti per il 2018, ottocento anni dalla fondazione dell’Ordine, il santuario, su iniziativa del Rotary club Cagliari est e di Angelo Moratti, ha un nuovo portone bronzeo. Come degno biglietto da visita, narra, in sintesi, tutta la storia del Santuario raccontata da 26 formelle, realizzate in bassorilievo su lamine di rame su disegno delle sorelle Stefania e Cristina Arui di Cagliari con la collaborazione di Adriana Caredda.
Le formelle, forgiate nello stabilimento Omni di Machiareddu, solo sovrapposte al vecchio portone per non cancellarne la memoria, raccontano in breve tutta la storia del Santuario mariano per eccellenza e dei Padri Mercedari che lo officiano fin dal primo momento. Le otto centrali, come fosse il vero cuore, raffigurano la storia dell’approdo del sacro simulacro, mentre le altre 14, che fanno da contorno, ricordano gli stemmi dell’ordine Mercedario e della parrocchia di Bonaria, i sei papi che hanno avuto legami particolari col santuario, sei illustri figure mercedarie, mentre, nella zoccolatura, tra lo stemma della città di Cagliari e quello della Regione Sardegna, sono riportate otto date fondamentali per il Santuario.
Leggiamo insieme il prezioso portone ricordandone la memoria. Partendo dal lato sinistro alto troviamo: lo stemma Ordine Mercedario- papa Paolo VI 1970, Papa Giovanni Paolo II 1985, Benedetto XVI 2008, Papa Francesco 2013, stemma Parrocchia Bonaria.
A seguire, lungo il bordo sinistro interno, 4 formelle verticali: S.Pio X 1907 (proclama la Madonna di Bonaria Patrona Massima della Sardegna), Fra Carlo Catalano (fondatore del Convento), S. Serapione martire, S.Maria de Cervellon (prima suora mercedaria).
Lungo il bordo destro, in ordine: Pio XII 1958 (radiomessaggio 50°anniversario proclamazione della Madonna Patrona Massima della Sardegna), Fra Adolfo Londei (ripresa lavori Basilica), S. Pietro Nolasco di Gerrei, S. Raimondo Nonnato.
Zoccolatura, da sinistra: stemma Comune di Cagliari e quattro date: 10 agosto 1218 (costituzione Ordine Mercedario), 24 aprile 1326 (Aragonesi conquistano il Castello), 17 ottobre 1335 (consacrazione chiesa ai Mercedari), 25 marzo 1370 (arrivo sacro simulacro).
Zoccolatura destra: 3 febbraio 1536 (fondazione Buenos Aires- Argentina), 24 aprile 1870 (incoronazione simulacro), 13 settembre 1907 (proclamazione Patrona Massima della Sardegna), 10 agosto 2018 (800 anni fondazione dell’Ordine), stemma Regione Sardegna.
Questo è, in pratica, quanto ammiriamo all’esterno del Santuario, ma è all’interno che ci aspetta il vero tesoro di tutto il complesso, la statua di N.S. di Bonaria, da sempre nei cuori dei cagliaritani e non solo.