Andar per chiese antiche/La Basilica di N.S. di Bonaria_ a cura di Anna Palmieri Lallai
Mentre la devozione verso la Madonna di Bonaria diventava sempre maggiore e i pellegrinaggi in suo onore aumentavano notevolmente, i padri Mercedari si resero conto che il Santuario, fatto costruire tra il 1325-26 da Alfonso IV d’Aragona al momento della conquista dell’isola, non era più in grado di soddisfare la visita di tanti fedeli e soprattutto della numerosa gente di mare, che si rivolgevano alla Madonna chiedendone la protezione.
Pertanto, disponendo di ampi spazi confinanti col Santuario, e anche per volere dell’allora arcivescovo di città, il mercedario spagnolo Bernardo di Carignena (1655-1722), decisero di costruire un nuovo edificio religioso, piuttosto capiente, attiguo al primitivo Santuario: la Basilica di N.S. di Bonaria che ammiriamo sulla sommità del colle omonimo.
Così, dopo una vasta opera di propaganda fatta anche per sensibilizzare la popolazione, spianato il terreno sulla destra del Santuario, il 25 marzo 1704, in coincidenza con la solennità dell’arrivo del sacro simulacro (25 marzo 1370), venne benedetta la prima pietra sotto gli auspici dell’arcivescovo di città, lo sguardo vigile dei Padri Mercedari e il successivo beneplacito dei Piemontesi, dal 1720 nostri nuovi “dominatori” subentrati agli Spagnoli.
Per dare solennità all’avvenimento, in contemporanea, si inaugurò anche la tipografia del convento, oggi non più attiva, ma che, nel corso degli anni, con la pubblicazione di testi di autori di rilievo, divenne ben presto importante quasi al pari di quella gestita, fin dal 1679, dai Domenicani nel loro convento di Villanova. Ma l’omaggio alla Madonna tardò a realizzarsi per una serie di circostanze sia politiche che economiche, finché nel 1722 si diede l’incarico al regio architetto Felice De Vincenti, primo architetto piemontese giunto in città per le fortificazioni e già noto sia per la Porta de S’Avanzada che per alcuni progetti religiosi (chiese di S.Efisio e S.Rosalia), di predisporre quello della futura Basilica.
Seguendo un’antica tradizione, e anche per volere degli stessi frati, del progetto in stile strettamente barocco, venne eseguito, un bozzetto ligneo in scala, che fu portato in processione per le vie della città e poi esposto perché la popolazione non solo ne godesse, ma contribuisse anche alle spese ingenti.
Il modello ligneo, restaurato, è oggi custodito nell’ Istituto di Architettura e di Ingegneria dell’Università di Cagliari, in Castello. I lavori ripresero, quindi, sotto i migliori auspici e sotto lo sguardo attento dei Padri Mercedari, ma, purtroppo, a lavori appena iniziati, con l’ingresso e le colonne interne elevate, ci si rese conto che il progetto era troppo ambizioso per le reali risorse economiche dei religiosi, per cui i lavori, nonostante l’invocazione dell’intercessione della Madonna e le generose offerte pubbliche e private, ebbero delle interruzioni non brevi.
Così, dopo una seria e profonda riflessione, nel 1778, si chiede l’incarico all’architetto piemontese Giuseppe Viana (1735-1800?), subentrato al deceduto De Vincenti, di rivedere il progetto che, ridimensionato, divenne meno ambizioso e più attuabile. Ma si ebbero altre sospensioni dovute più a motivi politici che economici tanto che verso il 1804, anche per superare qualche difficoltà, la mano regia attinse al fondo della “fabbrica” di Bonaria per sovvenzionare alcune sue iniziative come la realizzazione del primo “Regio ospizio Carlo Felice” per gli indigenti nell’ex convento domenicano di Villanova, oggi sede del liceo artistico Foiso Fois dopo essere stato Istituto industriale “Dionigi Scano”.
E ci furono altre pause, più o meno lunghe, che portarono a un inevitabile allungamento dei tempi, dando luogo a “Sa fabbrica” di Bonaria che si affianca all’arguto detto cagliaritano de sa fabbrica de s’Anna, con riferimento, appunto, a un lavoro interminabile.
Si ebbero anche le note leggi sabaude del 1855 e del 1866, sulla “soppressione degli Ordini religiosi” e l’incameramento dei loro beni”, che determinarono l’acquisizione di gran parte del complesso religioso da parte del Demanio, dello Stato e del Comune, e, di conseguenza, si ebbero ulteriori pesanti interruzioni che terminarono solo ai primi del ‘900.
Così, i padri Mercedari, rientrati in possesso dei loro beni, cercarono di recuperare il tempo perso e, tra il 1908 e il 1910, diedero l’incarico all’ing. Riccardo Simonetti (1873-1954), sepolto nella stessa Basilica, noto per aver ristrutturato anche le chiese di S.Eulalia e S.Antonio Abate, di rivedere il progetto del Viana che fu rielaborato in chiave più moderna, più adeguata ai tempi e con l’utilizzo di nuovi materiali edili come il cemento armato.
E il 25 aprile 1910, al grido di “Maria lo vuole”, dopo una solenne cerimonia con l’arcivescovo Pietro Balestra, i lavori ripresero con nuovo fervore, finché il 22 aprile 1926, la Basilica, per quanto incompleta, fu inaugurata da Mons. E. M. Piovella, nuovo arcivescovo di città, tra l’esultazione della popolazione e l’immensa gioia dei PP. Mercedari.
Poco dopo, il 25 aprile 1926, papa PIO XI la proclama Basilica Minore tramite il cardinale Gaetano Bisleti. Insomma c’era veramente da gioire perché dal 1704 al 1926, anche se tra mille difficoltà, si era raggiunto l’ambito traguardo. Almeno si sperava! Ma non fu così, perché nel 1943 Cagliari fu bombardata dalle truppe anglo-americane e, in tale triste circostanza, anche la Basilica, al pari del Santuario e della vicina zona cimiteriale, subì ingenti danni con la perdita, in particolare, del grande affresco della cupola raffigurante L’incoronazione della SS.Vergine di Bonaria, delle vetrate policrome, degli stucchi e delle decorazioni che la ornavano e abbellivano.
Ma anche questa volta vinse il desiderio di rendere onore alla Madonna, e nel 1947 si ripresero i lavori sotto la direzione del Genio Civile e grazie alla generosità di tanti cagliaritani si ebbero diversi elementi d’arredo, come i banchi, i lampadari e le formelle della Via Crucis, realizzate nel 1957 dalla ditta di arredi sacri Catello di Napoli.
All’esterno la fiancata destra della navata fu ultimata solo verso gli anni ’60, arrivando, finalmente, all’aspetto attuale, ampio, solare, maestoso, che ci regala una basilica, la più grande dell’intera città e dell’isola, che con la sua pietra calcarea, sembra illuminarsi ai primi raggi del sole.
Più tardi, tra il 1962-67, livellando il terreno collinare prospiciente il complesso mercedario, vengono realizzate, dal Comune, su progetto dei fratelli architetti romani Adriano e Lucio Cambellotti, sia la maestosa scalinata che l’ampio piazzale antistante la Basilica e il Santuario, costituito da un’ampia parte semi pianeggiante ciottolata, che riporta al centro lo stemma mercedario.
Dal 1970, inoltre, su due piedistalli in pietra calcarea si ammirano due monumenti bronzei realizzati da Franco D’Aspro, che raffigurano un vascello in balia delle onde e la Madonna di Bonaria sulla cresta di un’onda del mare in tempesta, simboli eloquenti del “valore” della Madonna, protettrice dei naviganti.
LA BASILICA.
La facciata, realizzata nella nostra caratteristica pietra calcarea, imponente nonostante la sua sobria eleganza, è ripartita in tre ordini, così, sopra le tre arcate, che introducono ad un atrio, spazioso e luminoso, si allunga una alta striscia con iscrizione dedicatoria in latino (In honorem B. Mariae Virg. De Bonaria dicatum anno Domini MCMXXVI), mentre un secondo ordine più stretto, affiancato da due volute laterali, si raccorda alla parte centrale che presenta un’ampia balconata con balaustra a colonnine. Il tutto è sovrastato dal timpano finale a capanna con l’inserimento dello stemma in pietra dell’Ordine e una semplice croce che svetta al culmine.
Alla Basilica, pertanto, si accede attraverso un ampio atrio, pretetto da alte cancellate in ferro, con quattro aperture, una laterale destra e tre frontali con la centrale recante in cima lo stemma dell’Ordine. L’atrio, oggi, è quasi un “memoriale” delle diverse visite pastorali fatte al Santuario dai Pontefici. In particolare, nella parete di fondo, in un incavo, è stata inserita su un alto piedistallo la statua bronzea di papa Paolo VI in ricordo della sua visita del 24 aprile 1970, opera realizzata dallo scultore romano Enrico Manfrini (1917-2003) nel 1972. Col tempo ai lati degli ingressi, due laterali e uno centrale, sono state murate delle lastre marmoree che, partendo da destra, ricordano, in ordine cronologico, la visita di papa Giovanni Paolo (20 ottobre 1985), Benedetto XVI (7 settembre 2008) e papa Francesco (22 settembre 2013).
Ma prima di accedere all’interno della Basilica, abbiamo modo di ammirare i tre bellissimi e imponenti portoni bronzei, leggermente sopraelevati rispetto al piano dell’atrio, opera magistrale dello scultore napoletano Ernesto Lamagna. Realizzati anche col contributo finanziario del Banco di Sardegna, posizionati in occasione del VI centenario dell’arrivo miracoloso del sacro legno sui nostri lidi, sono in stile attuale, e in tutti prevale il simbolo del mare, con evidenti richiami alla Madonna venuta dal mare. Di particolare interesse il portale centrale, a due ante, che raffigura, in modo magistrale, il mare, fonte di vita, ma anche di morte per i tanti marinai che trovano nella Madonna di Bonaria la loro fede e speranza.
Nell’anta di destra viene raffigurata una barca nel mare in tempesta e la morte che, impugnando la falce con cui spezza la vita, è in agguato, mentre nell’anta sinistra trionfa la speranza con la Madonna circondata dagli angeli, simbolo di bene e vita, che appaiono rassicuranti sulle onde minacciose. I due portali laterali, identici fra di loro e molto semplici, raffigurano, in forma stilizzata, due Angeli.
INTERNO – Appena si entra in Basilica ci accolgono due angeli porta acquasantiera in marmo e un ampio ambiente a croce latina, trinavato, ma, d’istinto, lo sguardo cade subito sull’altare basilicale, importante e maestoso, simbolo evidente e solenne della presenza di Cristo.
Notevolmente sopraelevato rispetto al piano dell’aula, realizzato nel 1934 in marmo di Carrara dalla ditta Dinelli di Pietrasanta, su progetto del Simonetti, l’altare, seguendo una vecchia tradizione medioevale, è rivolto verso est, verso il sole che sorge. Il presbiterio, fiancheggiato dai due bracci del transetto, si presenta prestigioso, impreziosito da un alto baldacchino quadrangolare, baroccheggiante e riecheggiante nella forma quello di San Pietro a Roma.
Alto ben 45 m, si erge su quattro colonne lisce in marmo verde poggianti su quattro piedistalli o plinti rivestiti da lastre in marmo bianco decorato, mentre il capitello bronzeo è corinzio. Le colonne sono unite da arcate con trabeazione, sovrastate da 4 gruppi di angeli in bronzo dorato, mentre dagli angoli si dipartono quattro archi che s’incontrano al centro per sorreggere un globo (che simboleggia l’universo) sulla cui sommità vi è una croce (simbolo di cristianità).
L’altare riporta nella parte alta la seguente iscrizione: V.E.III Rege Pio XI PP.E.M.Piovella Arch.Simonetti P.A.Ciuchini rect. A.D. 1934- XII, con palese riferimento, come già citato, all’anno della consacrazione della chiesa come Basilica Minore, venendo menzionato anche P. Adolfo Ciuchini, all’epoca superiore del Convento. Sulla destra del presbiterio è collocato un soppalco con la statua della Madonna di Bonaria, copia di quella originale custodita nel Santuario.
Il presbiterio è sovrastato da una cupola dalla forma ottagonale su tamburo, con ampie aperture in ogni lato e lanternino ugualmente finestrato, culminante all’esterno con una croce, attualmente luminosa, mentre, sempre all’esterno, alla base dei singoli otto spicchi, si ergono delle simboliche “fiamme”, luce eterna. Con i suoi 50 metri di altezza allo stato attuale la cupola della Basilica di Bonaria è la più alta fra le cupole della Sardegna.
Si presenta semplice e luminosa, ma si sa che la cupola primitiva, come accennato, era internamente affrescata con scene relative al miracoloso approdo del sacro simulacro e alla vita dell’Ordine, ma danneggiata dai bombardamenti, si ritenne opportuno risanarla in modo più sobrio. Nei pennacchi delle vele sono riprodotti su tela i quattro Profeti mariani, affrescati da Salvatore Atzeni, artista di Monastir. La parete absidale, dove si aprono tre finestre rettangolari, è completamente occupata dalla grande pala d’altare, policroma, realizzata nel 2001 dal pittore isolano Antonio Corriga (1923-2011), che riproduce l’arrivo del sacro simulacro nella baia antistante il colle, ma dandone una libera interpretazione perché la cassa col sacro simulacro non viene trasportata a spalle da due religiosi mercedari come tramandato dalla fede, ma da altri personaggi.
Lateralmente sono posizionati due grandi dipinti a olio, a colori intensi, dell’artista Salvatore Atzeni, che raffigurano “L’arrivo a Cagliari della cassa della Madonna di Bonaria”, nella parete destra e, in quella sinistra, “Papa Paolo VI nella Basilica di Bonaria”
L’impianto planimetrico, quindi, d’ispirazione classica, è, al pari della nostra Cattedrale di Santa Maria Assunta, a croce latina, a tre navate, con la centrale più ampia, lunga mt 54 e larga mt 34, e le due laterali, più strette, entrambe di mt 32 al pari del transetto.
L’aula centrale, con pavimento marmoreo, alta mt 30, voltata a botte con ampi finestroni nel livello superiore e matroneo che corre lungo il perimetro, poggia su 16 alte colonne in pietra calcarea con arco a tutto sesto. Lungo le navate laterali, voltate a botte con lanternino finestrato, si aprono sette cappelle, quattro lungo la navata destra e tre lungo quella sinistra, perché la quarta, come rilevato in precedenza, è stata sacrificata per poter accedere direttamente al Santuario. Le cappelle, introdotte da un arco a tutto sesto, sono uguali fra di loro e presentano la stessa struttura sia come profondità, ampiezza e altezza.
Costruite a partire dal 1950, leggermente sopraelevate rispetto al piano dell’aula, nella loro realizzazione si ispirano vagamente al prospetto esterno della Basilica, vagheggiando lo stile rinascimentale, con altari di marmo pregiato talvolta con tabernacolo, ma sobri ed eleganti nella loro semplicità.
Tutte, naturalmente, sono dedicate alla Madonna,, anche se sotto diverso “titolo”. Anche nella parete di fondo delle navate laterali, come accennato, oltre il transetto si apre una cappella.
NAVATA SINISTRA – Come accennato lungo la navata sinistra si aprono solo tre cappelle, dedicate rispettivamente alla Madonna del Rosario, alla Madonna della Mercede e all’Immacolata Concezione.
La prima cappella è consacrata alla Madonna del Rosario, la cui pala d’altare sovrasta un semplice altare marmoreo con tabernacolo, voluto dalla Fam. Piccinelli, titolare di una cappella privata nel Cimitero monumentale di Bonaria. Il dipinto, che nella sua realizzazione ricorda vagamente gli antichi retabli a più scomparti, riporta nella trabeazione la scritta Regina Sacratissima Rosarium, ora pro nobis.
La tela, realizzata nel 1957 da Antonio Mura, artista di Aritzo, si divide in due parti. Nella parte superiore, più vasta, è raffigurata la Madonna, che, attorniata da uno stuolo di angeli, stando assisa col Bambinello sulle ginocchia, porge il Rosario a S. Domenico, che, affiancato da S.Caterina da Siena, è rappresentato nell’atto di riceverlo.
Nello sfondo, al centro, sono raffigurati dei campanili di santuari mariani ben noti; Lourdes, Fatima, Pompei. La parte bassa, notevolmente più stretta, come nella predella dei retabli, è divisa in tre settori con raffigurazioni dei misteri del Rosario: gaudiosi con la Natività, dolorosi con la Flagellazione di Cristo, e gloriosi con la Resurrezione.
La cappella successiva, risalente al 1958, è dedicata alla Madonna della Mercede, protettrice dell’Ordine mercedario, la cui tela è opera della pittrice perugina Gina Baldracchini, del 1961.
Il dipinto, inserito in un altare semplice altare marmoreo grigio chiaro con tabernacolo, riporta nella trabeazione la scritta Redemptrix captivorum-ora pro nobis con palese riferimento allo scopo primario della fondazione dell’Ordine, istituito nel lontano 1218 da S. Pietro Nolasco che, dopo la visione della Madonna della Mercede, lo fonda per redimere gli schiavi cristiani dai musulmani.
La tela raffigura S. Pietro Nolasco, fondatore dell’Ordine, S.Raimondo di Pegnafort, in abito canonicale, in ginocchio, e Giacomo I re d’Aragona. Un ritratto del mercedario S.Raimondo di Pegnafort, in abito tradizionale, proveniente dal convento di Bonaria, è oggi conservato nella nostra Pinacoteca Nazionale.
Dopo le tre cappelle si apre il braccio sinistro del transetto, occupato da una serie di banchi e sovrastato dalla cantoria, con parte del grande organo a tre tastiere del 1961della Ditta Tamburini di Crema, ben nota in città per aver realizzato altri organi tuttora presenti (S.Francesco di Paola-1953 S.Rosalia-1956, S.Anna 1961 S. Lucifero 1964 S.Lucia 1965 SS.Giorgio e Caterina-1966 ).
Come accennato la navata termina con la cappella del Santissimo, che, rivestita di marmi, chiude la parete di fondo del lato sinistro. L’altare è impreziosito da due colonne laterali di marmo grigio su plinti bianchi uniti da una trabeazione. L’altare, nel complesso sobrio, presenta un tabernacolo con antina cesellata dall’orafo Franco Scarmigliati di Roma, ed è sovrastato dalla grande tela di A.Mura del 1968, raffigurante la nota “Cena di Emmaus” con Cristo che spezza il pane (.. io sono il pane della vita…) tra lo sguardo estasiato e meravigliato di due discepoli.
Attraversati, idealmente, il presbiterio e l’altare basilicale, di cui si è già parlato, arriviamo alla navata opposta, la destra, che presenta nel fondo, la cappella della Madonna della Vittoria o dei Caduti o della Pietà, in simmetria con quella del Santissimo.
Realizzata in stile barocco, presenta nel grande riquadro centrale sovrastante l’altare una dolente Pietà, opera in bassorilievo magistrale di Montaldi. L’altare è reso più importante da una coppia di colonne di marmo rosso con capitello corinzio, unite e sovrastate da una trabeazione, dove, al centro, domina la statua bronzea della Vittoria, alta oltre mt 2,50, mentre, tra gruppi di angeli, s’ innalza, al centro, la Croce, semplicissima, ma di grande valore simbolico.
Voluta ardentemente dalle madri dei tanti giovani cagliaritani caduti combattendo per la Patria nella guerra del ’15-18, fu completata nel 1930 dopo una sottoscrizione che coinvolse pubblico e privato, ma soprattutto col contributo del Comune di Cagliari; fu consacrata il 4-9-1930, dal nostro arcivescovo di città E.M.Piovella.
L’antina del tabernacolo riproduce cesellato il calice con l’ostia consacrata e nel paliotto dell’altare è scolpito lo stemma della città di Cagliari, che, come già evidenziato, contribuì alle spese per la costruzione della cappella.
Nelle pareti laterali sono murate due lapidi, piuttosto alte e lunghe, in marmo bianco, una per lato, con incisi i nomi dei soldati cagliaritani caduti durante la prima e la seconda Guerra Mondiale.
Andando oltre ci troviamo nel braccio destro del transetto, dominato dalla consolle del grande organo della ditta Tamburini. Nella parete di fondo dello spazio di norma destinato alla corale si erge, sopra un alto piedistallo, la statua de “La Madonna del Combattente”, realizzata in marmo bianco da Francesco Ciusa nel 1938.
NAVATA DESTRA – Superato il transetto, continuando il nostro percorso, lungo la navata destra si aprono quattro cappelle, dedicate alla Madonna di Fatima, alla Sacra Famiglia, all’Assunta e a Maria Ausiliatrice.
La prima cappella che troviamo è dedicata alla Madonna di Fatima, la cui tela, dipinta nel 1970, è opera di Antonio Mura. In particolare la pala sovrastante l’altare raffigura la Madonna, che, avvolta in un fascio di luce, il 13 maggio 1917 apparve a Fatima ai tre pastorelli veggenti, Lucia, Francesco e Giacinta, che sono attorniati da persone in estasi, mentre assistono al fatto prodigioso.
In questa cappella papa Paolo VI, durante la sua visita pastorale, indossò gli abiti liturgici per la celebrazione della S. Messa, svolta nel grande piazzale antistante la Basilica. Pare che in precedenza la cappella fosse dedicata alla Madonna, la cui immagine fu poi sistemata lungo la parete destra esterna della Basilica.
La cappella successiva, risalente al 1951, voluta da benefattori, è dedicata alla Sacra Famiglia, rappresentata da una tela del pittore napoletano Giuseppe Aprea che la realizza nel 1941. La grande pala d’altare, con cornice in marmo nero, sovrasta un semplice altare marmoreo senza tabernacolo, nella cui trabeazione è riportata la scritta et invenerunt Mariam et Joseph et Infantem. La scena rappresentata è quella classica con S.Giuseppe intento nel suo lavoro di falegname, e la Madonna che sfoglia un libro tra la curiosità del piccolo Gesù, mentre il Padre Eterno, dall’alto, vigila e contempla. Lateralmente sono murate due lapidi, la prima ricorda la ripresa dei lavori nella Basilica il 25 aprile 1910 ma iniziati il 25 marzo 1704, mentre la seconda è una lapide funeraria in memoria dell’ing. Riccardo Simonetti (1873.1954), che, come detto in precedenza, completò i lavori.
Proseguendo nel nostro percorso la terza cappella è dedicata all’Assunta, con raffigurazione pittorica di A. Mura, che la realizza nel 1950.
La cappella, senza tabernacolo, infatti, fu eretta in occasione della proclamazione del Dogma dell’Assunta, da papa Pio XII nel 1950, seguita alla proclamazione del dogma della Immacolata Concezione, da parte di Pio IX, l’8 dicembre 1854, con la Bolla Ineffabilis Deus, senza convocare il Concilio.
La scena rappresentata si compone di due parti, una terrena, l’altra divina. Infatti nella parte bassa della pala è rappresentata una moltitudine di personaggi, tra cui lo stesso papa Pacelli, Pio XI, che assistono quasi increduli, all’ascesa della Vergine nella beatitudine dei cieli, dove l’Assunta è accolta da uno stuolo di Angeli, tra questi un angelo, brandendo la spada, minaccia il male terreno, riecheggiando la figura dell’arcangelo Michele.
Anche questo altare, piuttosto semplice nella sua realizzazione, vede la pala d’altare incastonata entro una cornice marmorea scura che presenta nella trabeazione la scritta Assumpta est Mariam in coelum , mentre alla base, in una teca vetrata è deposta la Dormitio Virginis.
L’ultima cappella che troviamo (ma la prima entrando dal lato destro) è dedicata a Maria Ausiliatrice, come indicato anche dall’iscrizione Auxilium Christianorum riportata nella trabeazione. Anche questa pala, inserita in una cornice dorata, sovrasta un semplice altare marmoreo con tabernacolo, elevato nel 1951 per volontà delle sorelle M.Bonaria e Efisia Bonetti.
Realizzata da A.Mura nel 1965 la Madonna si differenzia dalla più classica Madonna dei Salesiani perché è raffigura seduta col Bambinello ritto sulle sue ginocchia mentre due angeli, che reggono la corona, sono in volo.
Ai suoi piedi tante figure religiose emblematiche: S. Raimondo Nonnato, S.Giovanni Bosco, S.Rita, il giovanissimo S.Domenico e bimbi dalla pelle scura, su cui, senza alcuna distinzione, cade la bontà divina della Madonna. Nello sfondo della tela è riconoscibile lo stagno di S.Gilla.
Il lungo percorso fatto insieme ci ha permesso di avere una visione almeno sommaria dei tanti tesori, sia storici che artistici, racchiusi tra le sacre mura della Basilica di N.S. di Bonaria. La sua realizzazione non fu facile, ma al contrario, tra le sue pietre si nasconde una lunga storia, fatta di speranze e delusioni e oggi, conoscendola, forse ce la rende ancora più cara, così da entrare più profondamente nei nostri sentimenti.