Is piccioccheddus de crobi_di Giuseppe Podda
Ragazzini completamente abbandonati, lassaus andai. Cagliari che ha paura dei suoi figli, poveri e abbandonati, agli inizi del Novecento. Pipius che abettanta is damas candu calanta de Castedd’e susu, po fai sa spesa.
E’ triste vederli azzuffarsi selvaggiamente per riuscire ad arrivare primi davanti alla nobildonna, che, ogni volta, indi pigara unu per caricare le provviste e portarle nella sua casa avita, lassù in Castello. Su picciocheddu de crobi reclutato riceve un compenso di mesu pezza, mezza lira. Meras bortas, quando fa la cresta alla madre, si im- briagara in sa piola cun duas tassas de binu nieddu. E’ il suo modo di evadere, buffendi il vino, la droga del tempo.
Fillus de nixiunus, vivono per la strada. Quella è la loro casa! Obbligati a trascorrere la giornata in s’arruga, sono fortunati se riescono a procurarsi legalmente qualcosa da mangiare. Candu no ci fiinti damas chi teninti abbisongiu de is piccioccheddus de crobi po carrigai paccus e pacchittus, bi- songiara a s’arrangiai. Mancai aggrancendi portamuneras a is beccias. Le lire procurate illegalmente servono po’ su smurzu. Poi, la sera, come una piccola bestia, su piccioc- cheddu de crobi striscia nel suo rifugio, sotto mucchi di letame, nei cortili delle osterie, asutta de is tubaruras de s’acqua, nei buchi dei pozzi neri.
“Bairindi de innoi, seu arribau prima deu, e bollu atturai solu. Spesarinci, o ti tira ima perda e ti segu sa conca”.
Se sono in due o tre, e lo spazio è minimo, si picchiano per il possesso di un posto dove riuscire a dormire la notte. Su pras arremascau est Lantioneddu. Con i suoi occhi brillanti, accesi come la candela di un lampione, si no ci da fairi a tenni unu postu asutta de su lantioni, biviri a su notti in d’una tumba sbuira in su campusantu de Bonaria,e surraschiara una borta chi pigara sonnu. Pensa sempre ad una ragazzina de sa Marina chi du fairi ammacchiai. “Ajò, Pitirrinchina beni a innoi chi t’ammuscionu. Si frigaus impari, e aicci si passara su frius”.
Età indefinita tra i dodici e i sedici anni, Lantioneddu quando non fa la corte alla ragazzina, si impegna a racimolare qualche soldo per ottenere una coperta in s’arrecovera. No ci oliri atturai prasu a croccai in campusantu. Si abarrara sturrau de dinai, deve per forza trascorrere la notte accucciato in sa tumba, in cumpangia de is mortus. Ta cosa leggia!
Su sindigu Bacaredda unu meri, durante una cerimonia al cimitero, scopre che abita in una tomba. Commosso della sua condizione miserabile, dispone che gli venga assegnato un letto nel ricovero municipale. E d’agattara pura un traballu. Beniri pagau cinqu soddus sa dì, po aggiurai su interra- mortus.
Lantioneddu ora può guardare fiducioso alla sua unione con Pitirrinchina. Esti unu traballanti, ha conquistato il diritto de domandai sa manu de sa sposa. I genitori, inzandus, no bolianta donai sa filla a unu sfainai. Immoi sì, tennir su postu siguru.
Cifre e linguaggio a parte, gli scenari e i protagonisti delle scarne cronache datate 1902, non sono molto diversi da quelli di oggi. Is picciocheddus de crobi no ci funti prusu. Bieus scetti is bagamundus che vivono da soli o in bande cun canis e cun gattus.
No teninti sa crobi in conca, ma strimpellano una chitarra scordata per racimolare qualche euro. Con i magri guadagni ottenuti domandendi sa limusina, si compranta una fogazza callenti, o una “dose de droga”, illusi di dimenticare i guai quotidiani vagando, un attimo, nei paradisi artificiali.
Quando noi cagliaritani “per bene” passiamo loro davanti, tiriamo via inorriditi. Ignoriamo un copione che si ripete ancora, dopo cento anni.