Ricordo di Piera, miele amaro_di Giorgio Ariu
Intensa. Battagliera. Profonda. Spartana. Passionale. Libera. Bambina adulta. Donna bambina. Fiera. Ho conosciuto una persona vera, una delle poche che fa l’amore con la vita. Una straordinaria interprete della vita a tutta pelle. Piera Degli Esposti, l’attrice. Prima di salire sul palco per donarsi tutta senza alcun risparmio al suo pubblico le ho donato il miele amaro antitosse: «sai, mi assomiglia».
Intensa: fa tutto intensamente, ha vissuto e vive intensamente, bruciando esperienze ciclopiche, gioendo e soffrendo ogni fremito, denudandosi contro ipocrisie e perbenismi per mostrare sempre l’anima. Va in giro con tanti bagagli nel cuore, in testa, sulle dita: rinasce sempre più guerriera, più intensamente se stessa. Sconfigge l’ombra del cinismo con la passione, è questa il suo angelo custode. La resa, l’abbandono, la cultura del lamento, sono mostri sconosciuti. Lei corre con in braccio la vita: ama l’universale come il particolare e gioca con la libertà.
Libertà di fare il pieno d’aria, di allargare le ali, di volare sul serio anche oltre le possibilità rischiando di perdersi in una via senza ritorno. Libertà di mettersi addosso degli stracci, di trascinarsi appresso oggetti appartenenti alle persone care: anelli mini cuscinetti puntaspilli perline di vetro specchietti sciarpe lavorate all’uncinetto da qualche zia e sciarpe in multicolor orrende: tutti piccoli frantumi di vita di gente della sua vita, i punti di incontro tra la sua esistenza e quella degli altri.
A Cagliari ha penato un’ora e mezza per adattare al costume di scena una sottoveste che aveva rapinato nell’armadio di Lisa, la nipote cucciolo simbolo positivo della forza della continuità, anche nel particolare, che vuol dare alla famiglia. Quella sottoveste per Molly cara, ereditata dalla nonna, l’ormai famosa Antonia, la moraccia di Bologna, che Ferreri racconta nel film Storia di Piera.
Piera manderebbe in bolletta stilisti e boutique, non compra quasi mai vestiti: se li sceglie tra quelli delle amiche, dei parenti. E vive con oggetti da rigattiere, oggetti barattati, perché le piace indossare la vita degli altri, per farli rivivere sulla scena e per la strada: «questo è il cappello del babbo, il mio cocco; questa è la giacca di Franco; la maglietta della Lina; lo scialle della cocca».
Tutto vive: tratta le cose come le persone, vede sempre l’anima. Il gatto, il mare, gli scogli, la barca, il regista, una città: sono tutti signore e signori. E gioca. C’è chi la invidia per i coraggi che si dà, chi per la libertà di spaziare e di donarsi tutta mente e pelle; altri, i più, la amano perché ci vuole un fottutissimo coraggio ad ammettersi così come si è. Il coraggio che ha saputo distillare dalle sofferenze, riciclandole tutte in positivo, per uscire sempre più forte da tutto.
Dentro, la miscela della consapevolezza di valere. Alla giornalista che chiude l’intervista dicendo «t’invidio per la tua libertà di pensiero e di parola» risponde «e ne hai ben donde!»; odia la mediocrità, la scontatezza, il banale, il formale, i lecchinismi, tutto ciò che non ha un briciolo d’amore, una passione per la vita, un’idea che partecipa e che ti fa nudo.
Bambina adulta o donna bambina? Sicuramente un guerriero con le parvenze da bambina. E ama il gioco, i pupazzi, le fantasie adolescenziali sull’amore platonico: «hai visto? mi ha guardato, vero? mi amerà? se mi ha guardato…».
Così le cicatrici del condottiero se le porta a spasso con dignità, con fierezza, continua ad amare e a vivere con forza, coi pugni stretti e i pupazzetti nella borsa. Era così anche da sartina a Bologna, anche quando girava a perdifiato di notte in cerca dell’ombra della madre, donna dalla sessualità esasperata, violenta, ingenua, da un ragazzino all’altro. O quando assorbito tutto il teatrale di cui erano imbevuti muri letti e vestiti a via Orfeo, tutta la tragicità della vita che trasudava da eventi che avrebbero traumatizzato un elefante, cercava di fare l’attrice e veniva respinta.
Ha la Sardegna nel sangue: ha fatto carte false per andare a pesca con Damiano, pescatore di Calamosca che l’ha vista esaltarsi per il verde della barca, per le rocce selvagge, per i tratti gagliardi della costa, per il riverbero del sole sulle onde, le sue stelline. E un giorno Piera Lisa e Damiano rimasero appollaiati in pizzo a una roccia a osservare «la messa in scena del mare e del sole che la natura aveva organizzato per noi, in esclusiva». Nessuno come lei è capace di esaltare i particolari senza prescindere dall’universale. L’altra mattina in spiaggia s’è portata dietro un sassolino rosa, perché era rosa e perché era quel momento. E ci ha messo mezz’ora a trovare proprio quello, e quando lo scorse: «è lui! ti eri nascosto, eh? ma ti dovevo trovare e ti ho trovato».
Adora Cagliari perché ha tanta aria, tanto spazio, tanto cielo da perdersi, tanto mare, non come Bologna, «provinciale, rossa e perbenista che quando ero piccola mi sentivo soffocare da quei portici e quel cielo poco e basso, mentre portavo i vestiti alla tale signora».
Qui si ubriaca di pesce e tradisce la dieta pulita per le cosine strane; ma neanche un buon vermentino riesce a farle ricordare una barzelletta, una. Dopo cena ci ha sequestrati, la sorella Carla, Lisa e me, tentando di raccontare l’ultima. L’attrice maratoneta, la Molly dal virtuosismo istrionico più stupefacente del teatro italiano, ci ha fatto ridere a crepapelle per la smorfia e la stizza.
Tratto da “E far l’amore con la vita” di Giorgio Ariu – Editrice Sette – Firenze 1983