Arte e produzione bronzea nel Bronzo Medio_di Tarcisio Agus
In questa importantissima fase storica dell’isola chiamata Bronzo Medio (1600-1300 a. C.), abbiamo visto l’evoluzione dei nuraghi monotorri evolvesi in complessi variamente articolati, parte fondamentale del megalitismo sardo che non si limita alla costruzione dei nuraghi ma con lo stesso modello realizza anche i suoi monumenti religiosi e funerari, come i pozzi sacri e le tombe dei giganti.
A questa produzione megalitica che documenta inequivocabilmente la tecnica e la capacità architettonica raggiunta dal popolo dell’isola di Sardegna, se ne aggiunge un’altra di produzione meno appariscente ma più sofisticata per conoscenza ed arte. In questo breve articolo cerchiamo di prendere in esame la produzione bronzea meglio nota come i bronzetti nuragici.
Senza ombra di dubbio le comunità del Bronzo Medio che si cimentarono nella fusione dei metalli conoscevano molto bene i luoghi dove attingere la materia prima e la Sardegna offriva importanti giacimenti. Per stare alla produzione del bronzo la letteratura archeologica ritiene che gli elementi primi, il rame e lo stagno, usati rispettivamente al 95-85 % e al 5-15%, venissero importati il primo dall’isola di Cipro, considerata l’isola del rame per i suoi vasti giacimenti, mentre lo stagno dall’isola iberica o dalla Bretagna e Galles.
I suddetti elementi sono avvalorati da ritrovamenti archeologici, in particolare per il rame, l’elemento più significativo è stato senza dubbio il ritrovamento del lingotto cipriota ox-hide (a forma di pelle di bue), mentre per lo stagno si è concordi per la sua importazione dalla lontana Inghilterra e qualcosa pare arrivasse anche dalla Toscana, grazie agli interscambi con gli etruschi dal giacimento di Monte Valerio.
Ultimamente però, se pure rimane la tesi dell’importazione degli elementi primi per la produzione del bronzo, le continue ricerche e alcuni siti ben noti all’archeologia, come Funtana Raminosa, a Gadoni, considerata la miniera per eccellenza della produzione del rame, stanno restituendo importanti dati che avvalorano la presenza delle materie prime anche nell’isola. Come detto Funtana Raminosa è la più nota, ma il rame per il tramite del suo principale minerale Calcopirite è presente in diversi distretti minerari come nella miniera di Sa Marchesa a Nuxis o Miniere Rosas a Narcao nel Sulcis, a Montevecchio nella miniera di Piccalinna e ad Ingurtosu. Ancora nelle miniere iglesienti di San Giovanni e San Benedetto, nel nuorese a Sos Enattos di Lula o nel Sarrabus Gerrei a Corti Rosas di Ballao, per citarne alcune.
Mentre lo stagno pare più problematico ma recuperabile attraverso la Cassiterite, un biossido di stagno SnO2che è presente in Sardegna, anche se non in grande quantità ma certamente utile alla produzione bronzea del periodo. Il sito più importante e noto è quello della miniera di Canali Serci a Villacidro ma ne ritroviamo anche a Nuraxi de Togoro in comune di Gonnosfanadiga, Perdu Cara in comune di Fluminimaggiore, e Montevecchio Guspini, tutti ricadenti nel distretto geologico dell’arburese.
Alle materie prime, si aggiungeva la grande conoscenza e capacità dei sardi nel distinguere i metalli e i prodotti che si ottenevano attraverso le diverse temperature di fusione. Conoscevano perfettamente anche l’arte della miscela dei metalli ed il bronzo è certamente uno degli elementi principe della produzione metallurgica del tempo.
I numerosi frammenti di rame, assieme a matrici, attrezzi metallurgici e frammenti di crogiolo ritrovati nei vari siti dell’isola, testimoniano che l’attività metallurgica era diffusa in molti villaggi della Sardegna.
La produzione dei bronzetti su matrici plastiche come le argille, oltre che rilevarne i grandi aspetti artistici in esso racchiusi, ci hanno permesso di conoscere uno spaccato della vita dei nostri antenati. Fra gli oltre 400 bronzetti recuperati una buona parte, circa la metà, rappresentano personaggi maschili e femminili nonché di differenti estrazioni sociali che vanno dalle persone semplici, ai sacerdoti e figure di alto rango.
Completano le rappresentazioni una parte che raffigura nodelli di nuraghe, carri, cassapanche, sgabelli, alari, bacili e brocche di uso domestico e religioso come la sacerdotessa, l’offerente o la madre con il bambino, nonché le armi.
Quest’ultime stanno caratterizzando sempre più gli studi ed in particolare le spade rinvenute nell’ipogeo di Sant’Iroxi di Decimoputzu, databili tra il 1650 e 1550 a.C., in quanto simili alle spade impugnate dai guerrieri negli affreschi delle tombe di Senemut e Rekhmira in Egitto e che diversi studiosi ormai accostano ai nostri Shardana.
Tutti elementi che sembrerebbero rappresentare una società complessa costituita da pastori, contadini ed artigiani, ma anche da capi militari, guerrieri e atleti.
Nel caleidoscopio delle rappresentazioni vi sono anche in gran numero gli animali del tempo, domestici come i buoi, vacche, vitelli, cani, capre e selvatici come i cervi, mufloni cinghiali, volpi e volatili.
Fra tutti i bronzetti ha colpito i ricercatori un cospicuo numero, circa 70 esemplari, di imbarcazioni di diverso tipo che avallano gli ultimi studi ove si attesta i sardi far parte dei Popoli del Mare ed i Shardana ne erano i condottieri. Questi per la prima volta appaiono nella Stele II Tamis detta anche stele degli Shardana del regno del faraone Ramesse II, dove Ramesse si vanta di aver fermato per prima la flotta degli Shardana.
Questo patrimonio unico è stato di grande aiuto per i ricercatori che si cimentano ancora nel ricostruire l’organizzazione politica, sociale, militare ed economica in cui erano immersi gli abitanti dell’isola, in un momento di grande sviluppo e di intensa spiritualità. Certo c’è ancora tanto da studiare ma i bronzetti concorrono a far emergere i grandi valori presenti nelle comunità sarde, compreso quello artistico dei manufatti che alcuni affermano aver anticipato di oltre 3000 anni l’arte moderna.
I loro contenuti espressivi e stilistici richiamano un’arte libera e di rappresentazione realistica del mondo di allora.
Se le rappresentazioni plastiche dei bronzetti in generale richiama una tecnica fusoria su matrici d’argilla di facile elaborazione e comunque di grandi capacità figurative, la produzione delle armi e degli strumenti di lavoro come falci, bipenne, asce o scalpelli si serviva di matrici riutilizzabili nel tempo, non distruttibili ad ogni fusione e non soggette a particolari mutazioni di forme. Per queste i nuragici utilizzarono, fra i tanti filoni minerari noti, la Steatite.
La Steatite detta anche pietra saponaria per l’alta presenza di talco è resistente alle alte temperature e per le sue caratteristiche, in particolare per la presenza della saponina, nell’antichità la si usava nella cura della pelle, ancora oggi si estrae il talco per tale funzione, o detergere i tessuti.
Il bacino minerario di riferimento in Sardegna è quello di Orani (NU), dove ancora oggi sono attive le miniere di talco.