Un tesoro per Iglesias la nuova opera di Stefano Priola_di Marco Forte
Prima di intraprendere questa nuova avventura che ci ha proiettati verso la stesura del secondo volume de “Is Froriggius de Villa Ecclasiae”, non possiamo non ringraziare i cari lettori che con tanto affetto hanno accolto la prima pubblicazione. Senza il grande e caloroso riscontro che abbiamo percepito, non avremmo avuto lo stimolo a scrivere questo secondo libro. Sapere che la voglia di riscoprire il passato autentico e quotidiano della nostra città è ancora viva, ci ha “imposto” di completare ciò che era stato iniziato con la prima opera, ma seguendo un punto di vista del tutto differente.
Infatti, chi si aspetta una riproposizione di quanto scritto nel precedente libro rimarrà probabilmente disorientato e forse anche un po’ deluso. Nei capitoli a seguire non leggeremo un racconto nostalgico di quanto Iglesias è stata grande nel passato, ma saremo immersi in uno studio accurato ed un’analisi critica di alcuni aspetti della città che solitamente sono poco noti, e forse anche un po’ scomodi da affrontare, perché non politicamente corretti.
Nel dettaglio, se è vero che da un lato ritroviamo tante storie inedite e riflessioni su uomini, donne, opere, edifici, attività e più in generale tradizioni di Iglesias, da leggere come parte integrante di un patrimonio culturale materiale e immateriale ancora oggi in attesa di un doveroso riconoscimento (come accade purtroppo per le immense ricchezze archeologiche della città e del territorio, molte ancora in attesa di essere studiate, e che vengono quasi totalmente ignorate anziché essere considerate una grande risorsa da valorizzare e rendere fruibile alla collettività), dall’altro ci si trova di fronte ad una realtà dura e cruda, che ha profondamente modificato l’animo e il carattere dei cittadini iglesienti, spesso calpestandone la dignità, soprattutto negli ultimi decenni.
Una realtà che ha creato una profonda frattura di natura culturale e sociale, quasi ribaltando ciò che la comunità iglesiente ha costruito nel corso dei secoli, facendone una città nobile e regia e rendendola un centro di primaria importanza nel panorama sardo e nazionale. Usando una metafora, è come se ci si fosse risvegliati bruscamente a dover affrontare un nuovo e subdolo nemico, che stavolta non ha nulla a che vedere con i famosi invasori venuti da oltre mare.
La critica, infatti, è rivolta a coloro che negli ultimi decenni si sono profetizzati cultori e difensori della città, arroccandosi nelle sedi del potere (civile e religioso), ridimensionando così le aspirazioni dei cittadini di Iglesias, che mai nel corso della loro storia si sono tirati indietro di fronte alle sfide e alle battaglie più difficili. Per citare un caso emblematico, ancora oggi si soffre di un male strettamente connesso al mondo minerario che, più di ogni altro, ha nell’ultimo secolo arricchito, danneggiato e infine depauperato la città; non si può negare che gli altri settori produttivi ne siano stati profondamente influenzati (agricolo in primis), soffrendo per l’ingombrante peso monolitico della crescente cultura mineraria, di cui oggi restano ancora ben visibili tanti edifici un tempo di grande pregio architettonico (la maggior parte attualmente in stato di rovina), senza dimenticare le annesse profonde ferite ambientali, da ormai troppi decenni in attesa di essere risanate (alterando così in maniera quasi irreversibile un paesaggio di grande valenza naturalistica e geologica).
Vuoi per colpa diretta, vuoi per “trasmissione ereditaria”, nell’inconscio di coloro che hanno vissuto il declino di quell’epoca di grande benessere – ma guai a dimenticare il peso della sofferenza che i lavoratori hanno portato sulle loro spalle – si notano ancora delle profonde cicatrici, che non possiamo continuare a nascondere. L’epoca mineraria si è conclusa, e c’è ancora chi oggi sostiene e promuove i vecchi modelli del passato, semplicemente ignorando ciò che la storia ci ha insegnato, e limitando così la coscienza collettiva dentro rigidi schemi di sviluppo ormai superati. Il mondo industriale né è l’esempio più lampante, per non parlare del business delle discariche che gli ruota attorno (divenute ormai parte integrante del paesaggio di Iglesias in nome del profitto e del benessere di pochi), e il già citato problema dell’inquinamento dovuto alla dismissione del settore minerario, con gravissimi effetti sulla salute di cui ancora oggi si preferisce non parlare, per complicità e omertà, e contro cui l’Associazione Italia Nostra, di cui l’autore Stefano Priola è stato a lungo presidente, si è battuta.
Un altro esempio potrebbe essere fornito dalla situazione dei trasporti, problema divenuto atavico in tutta la regione Sardegna a causa della mancanza di interventi di rinnovamento e potenziamento, ma che paradossalmente nel passato vedeva la nostra città collegata con il territorio in maniera più attenta e capillare che oggi, attraverso un sistema ferroviario d’avanguardia, soprattutto se pensiamo alla sua epoca di realizzazione.
Inoltre, ciò che si evince dalle pagine seguenti è che Iglesias ha bisogno di una rivoluzione culturale e sociale, che modifichi profondamente la mentalità delle persone che vivono e amministrano il territorio, smettendola di chiudere gli occhi di fronte al contesto allarmante di cui ho parlato poc’anzi, ma affrontandolo con decisione in maniera risolutiva. Uscire dal provincialismo in cui si è piombati, non solo confrontandosi con i paesi vicini e con una regione spesso ostile agli interessi della città (si veda il disastro sanitario che ha portato alla chiusura e al ridimensionamento dei vari ospedali cittadini), ma proiettandosi al mondo europeo, che oggi apre a possibilità impensabili sino a qualche anno fa.
Certamente, la differenza la fanno le persone con la loro competenza e la loro esperienza, ma anche la semplice idea di un cittadino a volte può costituire il seme per far rinascere culturalmente una città. Come si racconta in questo volume, di uomini di grande spessore nel passato ce ne sono stati tanti, e oltre a ricordarli è giusto prenderli come esempio e riferimento per ciò che può fare la comunità, rivolgendo uno sguardo al futuro con la giusta prospettiva; non possiamo dimenticarci che noi, oggi, in qualsiasi momento, abbiamo a disposizione tutto ciò che serve per scrivere una nuova pagina della storia della città, senza alcun complesso di inferiorità verso coloro che ci hanno preceduto. Essere persone umili con grandi idee, osare per uscire dalle sabbie mobili del presente. Quanti esempi Stefano Priola, con il suo instancabile lavoro di riscoperta delle tradizioni, ci ha dato in tal senso?
Sotto questo profilo, un grande aiuto potrebbe essere dato da un’istituzione che dovrebbe ritornare stabilmente in città, ossia l’Università, che porterebbe con sé un movimento di studenti che, oltre a ringiovanire demograficamente il territorio, darebbe respiro e valore alle attività economiche locali, magari mettendo a disposizione della collettività spazi che da concepire come laboratori di idee, senza colore politico.
Ad esempio, si pensi a ciò che potrebbero diventare i numerosi villaggi abbandonati e i distretti come Monteponi di cui il territorio di Iglesias è ricco, da ripensare non solo come musei o centri di ricerca avanzata di alta formazione, ma anche come luoghi di vita, arte e cultura, fornendo uno spazio alle giovani generazioni locali e non, invertendo così finalmente non solo a parole il processo di emigrazione ed “esorcizzando” in una maniera creativa ciò che è stata la sofferenza dei nostri avi che hanno lavorato nel settore minerario (alla pari di ciò che avviene nelle grandi capitali europee, dove grandi edifici industriali sono stati riconvertiti in un’ottica funzionale del tutto differente rispetto a ciò per cui erano stati concepiti).
Iglesias deve osare, deve guardare al futuro, ha bisogno di attirare esperti e visionari, tanto quanto faceva nel passato con i più dotati ingegneri minerari d’oltre mare, che avevano reso il nostro territorio un laboratorio di sperimentazione tecnologica unico a livello mondiale. Uomini e donne, quindi, che spesso fornivano semplicemente un punto di vista e una prospettiva differente agli abitanti della città, preparandoli a una svolta epocale dal punto di vista sociale e culturale.
Questo libro dev’essere lo stimolo per tutti noi, lasciando da parte paure e vecchi schemi del passato, per ricominciare ad essere attori protagonisti della storia della nostra città, così come Stefano Priola ci racconta, senza preconcetti e senza precluderci la possibilità di mettere in pratica i nostri progetti, per quanto “visionari” siano e di non immediata realizzazione.
Il messaggio che l’autore vuole trasmettere è di non commettere l’errore di rendere Iglesias un luogo che continui a pensare al futuro escludendo in maniera selettiva quei settori produttivi e culturali che sono parte integrante delle radici storiche della nostra comunità, e su cui i nostri antenati hanno costruito la città che viviamo oggi.
Iglesias può e deve costituire un modello di sviluppo diverso e sostenibile sotto tutti i punti di vista, da quello economico a quello ambientale, ritornando così ad essere un centro di riferimento per coloro che lo vivono, ma anche un polo culturale di attrazione a livello regionale, esattamente com’è avvenuto nel passato, ed esattamente come Stefano Priola ci ha ricordato e insegnato in questi due preziosi volumi.