Andar per chiese antiche/La chiesa gesuitica di San Michele_a cura di Anna Palmieri Lallai
La chiesa di San Michele Arcangelo, da sempre retta dai Gesuiti, si trova in via Ospedale, in passato s’arrug ‘e su monti, ma col prospetto rivolto verso l’attuale via Domenico Azuni, un tempo denominata, proprio per la presenza della chiesa, s’arrug’ e santu Micheli. Il tempio religioso, realizzato in grossi cantoni di pietra forte, venne costruito dai Gesuiti che, giunti in cittàda Busachiverso il 1564, occuparono l’Oratorio dei SS. Michele e Egidio, trasformandolo radicalmente.
Infatti i Gesuiti, così chiamati dalla “Compagnia di Gesù”, ordine religioso fondato da S.Ignazio di Loyola nel 1534, edificarono, nel cuore storico di Stampaxi, entro le antiche mura medioevali, vicino al portico e alla torre dello Sperone o degli Alberti (1293), il loro vasto complesso che abbracciava il Noviziato (1584), il convento e la chiesa.
Quest’ultima, iniziata, verso il 1674, come attesta un’iscrizione nella parete destra presso l’ingresso, si concluse dopo oltre 10 anni, e, intitolata da subito a S.Michele Arcangelo, fu consacrata solennemente il 30 novembre 1738 da Don Antonio Carcassona, vescovo di Usellus-Terralba. La nuova costruzione va, così, ad affiancarsi sia alla chiesa professa di Santa Teresa (1691), ubicata, con il relativo Collegio, in Sa Marina, che alla Basilica Magistrale di Santa Croce, realizzata in Castello, verso il 1565, riconversione cattolica dell’antica sinagoga semita, abbandonata dagli ebrei espulsi dalla città nel 1492 e consegnata ai Gesuiti dall’arcivescovo spagnolo Antonio Parragués de Castillejo.
La chiesa, esaltazione massima del barocco in città, si fa ammirare con la facciata rivolta in tutta la sua ampiezza verso la via Azuni, ma, in realtà, relativa solo all’ex-Noviziato (oggi Ospedale militare), con ingresso interno sulla sinistra, e al Convento, con accesso dall’antisagrestia.
La chiesa vera e propria, correndo parallela alla via Ospedale, non ha un suo prospetto. Quello maestoso verso la via Azuni, di grande impatto visivo, con chiari riferimenti al principio “trinitario” esaltato dal Concilio di Trento, presenta tre ordini o livelli orizzontali, separati da possenti cornici, e terminale a timpano. Preceduta da un’ampia scalinata, nella parte bassa s’innalzano tre alte arcate a tutto sesto, che, fornite di ampie cancellate, conducono ad un vasto atrio, voltato a crociera.
Qui, fin dal 1902, è stato rimontato, proveniente dal cortile dell’Università, il pulpito dal quale, come attesta l’iscrizione latina incisa alla base, l’imperatore spagnolo Carlo V seguì la Messa prima di partire per la spedizione cristiana contro Tunisi nel 1535. Il pulpito, detto anche ambone o pergamo, si trovava in origine nella chiesa francescana dei Frati Minori Conventuali di San Francesco al Corso, andata distrutta nel 1875. La stessa impresa storica contro i Turchi, alla quale parteciparono quasi 1100 sardi, è menzionata nella lapide marmorea che sovrasta l’ingresso principale del vecchio Palazzo di città, in Castello.
Il prospetto, che sembra richiamare nella sua realizzazione i retabli spagnoli, è ricco di elementi decorativi ed architettonici. Dopo le arcate, nel livello immediatamente successivo, si aprono tre riquadri che, separati verticalmente da quattro colonne in pietra, scanalate e con capitello corinzio, incorniciano altrettante finestre, affiancate da tre coppie di cariatidi, le tipiche figure femminili dalle ampie vesti svolazzanti, che, con le braccia sollevate, sembrano sorreggere il timpano spezzato che le sovrasta.
Queste figure architettoniche, così caratteristiche, in passato affiancavano le colonne tortili d’ingresso della chiesa barocca di Santa Caterina, ubicata in via Manno, distrutta durante i bombardamenti su Cagliari del 13 maggio 1943. Realizzate in marmo, le ammiriamo anche nel grande mausoleo di Martino il Giovane, nel transetto sinistro della Cattedrale.
Al centro dei timpani sovrastanti le finestre, sono riportati, partendo da sinistra, tre stemmi: quello del nobile avvocato Francesc’Angelo Dessì, di Bortigali, grande benefattore, sepolto all’interno della chiesa, quello della Compagnia di Gesù, inserito in un sole raggiante e, infine, l’emblema personale di Mons. Giovanni Sanna, vescovo di Ampurias, che, con la sua magnanimità, permise l’ampliamento della chiesa, in particolare del Noviziato.
Nella parte alta in un riquadro, sovrastato da un ampio timpano limitato da volute e sovrastato da una croce cosmica centrale, si apre una nicchia che custodisce la statua dell’arcangelo Michele, riprodotto vittorioso sul diavolo sconfitto a terra.
Il simulacro, scolpito da un’anonima mano genovese, è stato ricavato da un blocco di candido marmo rinvenuto in passato nei pressi della vicina Villa di Tigellio, il noto cantore sardo-romano. Sulla destra svetta un piccolo campanile a vela a due luci, che fiancheggia una bella cupola ottagonale maiolicata a colori su tamburo finestrato, che, presentando le stesse caratteristiche strutturali delle cupole della nostra Cattedrale e di S.Antonio Abate (Marina), si presume sia stata progettata dall’architetto Domenico Spotorno.
La chiesa ha due ingressi: il principale sulla via Azuni, e il secondario, in via Ospedale, che, dopo aver ammirato un bel Crocifisso ligneo dello scultore di Senorbì G.A.Lonis, permette di accedere direttamente alla navata destra.
L’ingresso principale è preceduto da una scalinata con elegante balaustra che consente di superare il notevole dislivello tra la sede dell’atrio ed il piano dell’edificio religioso. Il bel portale ligneo lavorato a losanghe è incorniciato da due lesene che reggono una trabeazione sovrastata, al centro, dallo stemma della Compagnia di Gesù, caratterizzato dalle lettere JHS (Jesus Hominum Salvator), monogramma di Cristo, istituito dal francescano San Bernardino da Siena, dalla croce e dal cuore con tre chiodi, simbolo della passione di Cristo e dei tre votidell’Ordine (povertà, castità, obbedienza). Ricordo che l’emblema gesuitico, insieme alla stella fiammeggiante di Maria e al fiore di nardo di San Giuseppe, è riportato al centro dello stemma dell’attuale papa Francesco, gesuita.
La chiesa, di cui si ignora il progettista, è a pianta ottagonale con atrio, presbiterio e sei cappelle radiali intercomunicanti. Così, superata la bussola, appena si entra, troviamo nell’atrio due cappelle, con altare marmoreo del lombardo Pietro Pozzo, dedicate al SS.Cuore di Gesù, a destra, e S.Luigi Gonzaga, patrono degli studenti anche di teologia, a sinistra. Poco dopo due angeli marmorei portabacile, ci danno il benvenuto, mentre, sollevando lo sguardo, nella tribuna sovrastante si ammirano un maestoso organo del napoletano Antonio Cimino, del 1804, e la volta affrescata con la raffigurazione dell’Annunciazione.
L’aula si presenta unica con presbiterio e tre cappelle per lato, di cui le centrali, più ampie e profonde (l’impianto è leggermente ellissoidale), dedicate al fondatore dell’Ordine (a sinistra), e a San Francesco Saverio (a destra). Tutte le cappelle, leggermente sopraelevate, hanno arco a tutto sesto, volta a botte affrescata, racemi di stucco alle pareti (escluse le centrali) e sono separate da paraste e tribune a grata, tipiche del ‘600 e del ‘700.
Il presbiterio, elemento focale del tempio, poco sopraelevato rispetto all’aula, delimitato da una balaustra marmorea semicircolare, è ampio e profondo L’altare maggiore, realizzato a Genova, ma completato dal marmorer G. Maria Massetti- impegnato in città per la nostra Cattedrale- è fiancheggiato da quattro colonne tortili, due per lato, di marmo nero. Lo sovrasta una nicchia con la statua lignea, policroma e dorata, di probabile autore napoletano sconosciuto, forse del sec.XVIII, di San Michele Arcangelo. Il Santo, vestito da giovane guerriero, è raffigurato nell’atto di sconfiggere con la sua spada Lucifero, simbolo del male, mentre con la bilancia che tiene con la mano sinistra pare voglia “pesare” le anime. Lateralmente, fra le colonne, si ergono le candide statue marmoree, di San Giuseppe col Bambinello in braccio, sulla sinistra, e di Sant’Anna con la Madonna bambina, nel lato destro. Il tutto termina con un ricco fastigio con corona centrale, dove degli angeli e putti sembrano aprire un sipario per esaltare la Colomba, simbolo dello Spirito Santo, e lo stemma gesuitico.
La volta presbiterale riporta affrescata L’incoronazione della Vergine e la SS. Trinità, forse del romano Giacomo Altomonte, mentre, lateralmente, in due dipinti ovoidali, ammiriamo una bella nidiata di pellicani che nutrono i piccoli (sinistra) e un gallo rivolto verso il sole (destra), simboli religiosi di rinascita spirituale.
A ridosso della parete sinistra del presbiterio, s’innalza il monumento sepolcrale di Francesc’Angelo Dessì (1600-1674), qui traslato solo nel 1712, come attesta l’epitaffio latino riportato in un cartiglio. Sul lato opposto un grande quadro con la raffigurazione della Conversione.
Altrettanto importanti sono i dipinti sia della cupola con ramages vegetali e floreali che dei soffitti, dovuti al napoletano Domenico Tonelli, sec. XVIII. In particolare nei pennacchi del tamburo della cupola ottagonale sono affrescati i quattro Evangelisti, che si alternano con quattro stemmi relativi alla Compagnia di Gesù (presbiterio), al monogramma della Madonna (ingresso) e ai grandi benefattori della chiesa Giovanni Sanna (sinistra) e Francesc’Angelo Dessì (destra). La cupola è percorribile tramite uno stretto corridoio protetto da inferriata che corre lungo il perimetro.
Tutte le cappelle, maggiori e minori, sono impreziosite da altari marmorei policromi ed intarsiati. In particolare quello centrale di sinistra, dedicato a Sant’Ignazio di Loyola, dovuto a Giuseppe Massetti, è sovrastato dal grande dipinto “Sant’Ignazio in adorazione del nome di Gesù”, firmato dallo Scaleta.
Di fronte, in simmetria, la cappella dedicata a San Francesco Saverio, martire e patrono delle Missioni, presenta sopra l’altare, sempre del Massetti, la tela raffigurante la “Predica di San Francesco Saverio” del Colombino Entrambe le cappelle, come nel presbiterio, riportano nel pavimento marmoreo intarsiato la rosa dei venti e la croce cosmica, con tutto il loro significato religioso.
Le cappelle minori, dedicate a santi gesuiti, sono arricchite da preziosi altari in marmi policromi, mentre le pareti sono completamente ricoperte da racemi in stucco bianco. Altrettanto prezioso il pulpito, sulla sinistra, che riporta al centro lo stemma dell’Ordine.
Trionfo massimo dello stile barocco sono l’antisagrestia e, in particolare, la sagrestia, dove abbondano dipinti, arredi lignei e stucchi di alto valore artistico.
Nell’antisagrestia, si notano, oltre a un particolare lavabo marmoreo del sec. XVIII, dei dipinti raffiguranti i Misteri del Rosario, datati 1681, del cagliaritano Giuseppe Deris e sei statue lignee dei Misteri, che vengono portate in processione il martedì, durante i riti della Settimana Santa. Sono attribuite, insieme a un Crocifisso, allo scultore di Senorbì Giuseppe Antonio Lonis (1720-1805), che aveva bottega vicino alla chiesa. Sulla destra si accede alla Sagrestia, dove tutto è esaltazione non solo del mondo gesuita ma anche del rococò.
Alle pareti una serie di tele dell’Altomonte, con cornice dorata in legno di tiglio magistralmente intagliata con fiori e foglie, ricordano dei Santi Gesuiti distintisi nella loro attività di evangelizzazione.
Lungo la parte bassa corre un mobile paratora, in noce intagliato con ricercati ed elaborati motivi floreali L’ingresso è sovrastato dal grande quadro che raffigura La Strage degli Innocenti a Betlemme, opera del 1721, di Giacomo Altomonte e di Domenico Colombino, come attesta la dicitura latina. L’episodio storico mi riporta alla mente la ben nota Strage degli innocenti del Beato Angelico del Museo di San Marco a Firenze, nonché il capolavoro seicentesco di Guido Reni, conservato nella Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Nella volta a botte G. Altomonte, affresca La cacciata dei ribelli sotto lo sguardo di Sant’Ignazio ad opera di San Michele, mentre, ai lati, in due medaglioni, vi sono riferimenti alla lotta tra Angeli e Demoni. Nella parete di fondo, una nicchia custodisce il simulacro ligneo della Immacolata del sec. XVIII, affiancata da due dipinti con Eva e Adamo, cacciati dall’Eden.
Come si è visto la chiesa cagliaritana di San Michele è depositaria non solo di una pagina di storia urbana che non va persa, ma anche, e soprattutto, di opere d’arte di notevole rilevanza artistica, dove lo stile barocco, imperante tra le sue sacre mura, non va inteso come “ostentazione di lusso e di ricchezza”, ma solo come esaltazione massima della Divinità, con il trionfo della bellezza, in tutte le sue forme, anche artistiche, e della natura che solo il Signore può averci regalato.