Novembre 22, 2024

I santuari ed i templi a pozzo nell’era Nuragica-I_di Tarcisio Agus

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Il mondo nuragico come già abbiamo visto è la parte più importante della storia della Sardegna che ancor deve essere svelata. I complessi edilizio architettonico di questo nostro periodo si caratterizzano per un vasto megalitismo che si manifesta principalmente nei nuraghi ma sappiamo anche in altre strutture del tempo, in particolare all’edificazione delle Tombe dei Giganti si accostano un altro importante  luogo di culto, i Pozzi Sacri.

Questo elemento cultuale trovasi spesso nel contesto di santuari che nell’isola hanno mantenuto ancora tracce di antichi riti se pur oggi contaminati  e fusi nelle rappresentazioni cristiane.

Nel periodo nuragico uno dei più importanti santuari meglio conservato è senz’altro il complesso di Santa Vittoria di Serri, ma altri altrettanto importanti  sono quelli di Santa Anastasia di Sardara o Santa Cristina di Paulilatino per citarne i più noti.

Recinto delle feste

Sicuramente quello di Santa Vittoria di Serri è quello che rappresenta meglio di tutti l’articolazione e funzione. Il prof. Giuseppe Lilliu rimase colpito dalla suddivisione del santuario, senza un ordine apparente diviso in gruppi isolati senza un legame topografico evidente che lui definisce dissociativo, disgregativo. Riconducibile al periodo più significativo della fase nuragica, vine generalmente  collocato nel  Bronzo Medio, intorno al 1500 a.C.

Le strutture più importanti sono raccolte in quattro settori: quello del tempio a pozzo, del grande recinto porticato, il gruppo del recinto a doppio betilo ed il gruppo delle capanne di Est Sud Est.

Mentre risultano isolate la capanna rettangolare, la capanna delle Assemblee federali ed altre di minor rappresentazione. Il centro principale del santuario e senza dubbio dato dalla presenza del tempio a pozzo. Trattasi di una costruzione megalitica a tholos interrata che raccoglie le falde freatiche, un vero e proprio pozzo chiuso e con l’accesso all’acqua attraverso una scalinata anch’esso coperta, il resto degli ambienti presso il pozzo erano funzionali allo svolgimento dei riti e del culto, con la capanna del sacerdote, la capanna per la raccolta o la vendita degli ex-voto e la capanna del custode del tempio.

Il pozzo sacro è stato visto da alcuni in maniera prosaica quale strumento pratico della raccolta e conservazione delle acque nei momenti di forte siccità, prezioso per i campi, per il bestiame e per l’uomo. La totalità degli studiosi lo ritiene legato al culto delle acque, quale fonte di vita, di prosperità, di magia e ultimamente si riconoscono anche funzioni astronomiche. In questo di Santa Cristina si afferma che la luna attraversi il punto luce del pozzo, l’ultima pietra che chiude la Tholos, illuminando tutta l’acqua del fondo ogni diciotto anni e mezzo, così pure il sole attraverso la scalinata coperta illumina l’acqua ogni equinozio.

La sua funzione come detto è senza dubbio quella religiosa legata al culto dell’acqua in quanto divinità. Sicuramente come molti studiosi asseriscono l’acqua era l’elemento centrale di un rituale che ancora non conosciamo, ma ipotizziamo, con i sacerdoti nella gestione delle funzioni che potevano connotarsi con l’aspersione dell’acqua salvifica, ingestione o immersione a scopo di purificazione, aspetti che ancora oggi ritroviamo, così pure le offerte che vi si praticavano. Al mondo delle acque sono legate molte narrazioni alcune delle quali fantastiche che non hanno riscontro alcuno. Oggi possiamo ancora narrare rituali legati all’acqua che ancora si praticano perpetuate nei pozzi sacri, poi riprese e tramandate sino ai giorni nostri.

Uno dei riti presenti nella mia comunità sino agli anni sessanta era quello della benedizione delle campagne chiamate “Irrògaziôisi” (benedizioni), inglobata con rito cristiano da un precedente rito pagano della Robigalia in onore del Dio Robigus (Dio della brina).

Croce stazionaria

Dalla parrocchiale in tre giorni dipartivano diverse processioni verso gli estremi principali dell’abitato che confinavano con le campagne, presso le quali vennero eretti sette monumenti isolati, costituiti da uno zoccolo in muratura trapezoidale sormontati da cippi o pilastrini ad obelisco con   infissa in cima una croce in ferro di varie fatture. Al cospetto dei suddetti monumenti il 25 Aprile avveniva il rito della benedizione delle campagne mentre i fedeli offrivano, come ex-voto, corone di pervinca e mazzi di spighe posizionati a croce. La pervinca è una pianta perenne molto diffusa, con splendide fioriture di color azzurro violacee considerata con proprietà benefiche. In particolare si usano le foglie come tisane per l’ipertensione arteriosa, per la sua azione digestiva e antinfiammatoria, nonché  per uso topico nelle dermatosi, foruncoli o eczema etc.

Il rito più importante delle acque che il cristianesimo ci ha tramandato è senza dubbio il battesimo, in questo caso il rito permette di entrare a far parte della Chiesa ed è affidato al sacerdote, per ovvi motivi. Nel pozzo sacro altrettanto rito permetteva al nascituro, presumibilmente, di entrare a far parte della comunità cantonale, questo perché il pozzo sacro non era il luogo di culto della comunità ma bensì di più comunità riunite, oggi diremo di un distretto territoriale o cantone. In Sardegna infatti il numero dei pozzi sacri censiti si aggirano appena sulla quarantina sparsi per l’isola.

Altri  riti che ancora ritroviamo nelle case delle nostre comunità del pregresso passato sicuramente praticati presso i pozzi sacri, poi, con il loro abbandono trasferitesi nella sfera domestica o comunitaria, sono quelli svolti esclusivamente dalle donne e tramandati da madre in figlia, solitamente la primogenita e quando ciò non era possibile ad una delle figlie o in assenza nipoti. Questo farebbe pensare che le funzioni nei pozzi sacri potevano essere di esclusiva competenza delle donne, le sacerdotesse, ma non è detto.

Certo è che ancora oggi è possibile ritrovare le “santone” che praticano il rito “S’acqua de patena” (acqua di patena) nel contrasto al malocchio, meglio noto “S’ogu liau” (preso sott’occhio). Il malocchio con tutte le sue articolazioni ha sempre accompagnato l’uomo nel corso della vita e per questo è sicuramente uno dei riti mantenutesi più nel tempo.

La cerimonia consisteva nel riempire una ciottola d’acqua o in assenza un bicchiere, preferibilmente con dell’acqua presa dalla parrocchia, in alternativa era sufficiente anche l’acqua della brocca raccolta dalla fonte, perché generata da Madre Terra  che  la “santona”, con il segno di tre croci profuse sul bordo della ciottola o bicchiere ed il  contestuale rilascio di tre chicchi di grano nella stessa, rendeva benedetta.  A seguire erano le litanie “I Brebus” (orazione superstiziosa) per allontanare il malocchio. Il rito si concludeva chiedendo alla persona oggetto del malocchio di bagnarsi le dita per poi segnarsi la croce sulla fronte  e  bere tre sorsi d’acqua. Lo stesso rito avveniva anche per gli animali o le cose care, per il tramite del proprietario o proprietaria degli animali o beni da proteggere.

Un’altra funzione legata sempre al rito dell’acqua che ancora si mantiene e che ha efficacia al sorgere del sole, viene praticata il 21 giugno giorno del solstizio d’estate e della ricorrenza di San Giovanni Battista. Le donne preparano in un catino o conca in terra cotta colmi d’acqua una miscela di erbe aromatiche e fiori che lasciano macerare per tutta la notte fuori dall’uscio di casa. Al sorgere del sole le persone che vi transitano e che si lavano il viso con l’acqua lustrale, rafforzano la propria amicizia e la cementano per la vita con chi ha preparato il rito, diventando comari o compari dei fiori, Gòmmâi o Gòppâi de fròris. (continua).

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