I fiori di Gramsci_di Giovanni Lai
50° ANNO/LE GRANDI PAGINE DEL CAGLIARITANO
Nel descrivere questo Gramsci «minore», un compagno di carcere consente, a tanti anni di distanza, un contatto umanissimo con questa eccezionale personalità fatta di forza e coerenza, di equilibrio e saggezza. Nel suo pezzetto di terra, Antonio riusciva a coltivare dei bellissimi garofani, gerani e altri fiori. «Sono i fiori più belli del carcere», dicevano i detenuti politici, canzonandolo. Ma quei garofani, quei gerani, quelle rose erano veramente belli anche perchè i soli che crescevano in tutto il penitenziario. La storia della «dalia sovversiva». Lo scherzo del fagiolo. Una lezione di botanica. «I fiori sono cose vive, che devono essere curate come le persone». La partita a dama e le mosse sbagliate. Le conversazioni coni ergastolano sardo. «Il sardo è una lingua e come tale la uso».
La notizia della morte di Antonio Gramsci io l’appresi il 28 aprile del 1937 a Regina Coeli, dove mi trovavo, per la seconda volta, con un gruppo di comunisti cagliaritani. Gramsci era deceduto il giorno prima, proprio a Roma. La dolorosa notizia si diffuse in un baleno tra gli antifascist! della capitale, anche tra quelli che erano «dentro». Ricordo che molti compagni non mangiarono tanto erano addolorati.
Mi dite di ricordare Gramsci in questa ricorrenza del 40° anno dalla sua morte. Lo faccio volentieri, ma non intendo parlare — come sempre fanno i compagni che lo hanno conosciuto, e come faccio io stesso — della sua attività politica, né del suo pensiero politico, e tanto meno della sua vita di studioso. Non voglio neppure parlare dell’immenso contributo che questo grande sardo ha dato alla cultura italiana e mondiale. Altri lo hanno fatto, lo fanno e lo faranno meglio di me, e con maggiore autorità.
Qui mi propongo di parlare di Gramsci ricordando episodi modesti della sua vita in carcere, così come li ricordo e come li ho vissuti con lui.
A Turi di Bari, Antonio viveva in una cella isolata. «Per riguardo alla sua persona», dicevano quelli della direzione. In verità lo tenevano in quello stato di isolamento per riuscire a controllarlo meglio, e forse per poterlo torturare moralmente e fisica- mente. In questo modo si può far morire un uomo molto malato, che aveva bisogno di assistenza e di cure.
Quando non si sentiva molto male, Gramsci scendeva con tutti gli altri detenuti politici nel cortile adibito al passeggio, a «prendere aria», come si dice in gergo carcerario. Stava con noi due ore la mattina e due ore il pomeriggio, perfino quando il tempo era molto cattivo, purché non fosse costretto a letto per motivi di salute. Scendeva in cortile per parlare con i compagni, per aiutarli a «diventare dei buoni comunisti», per «farne di dirigenti», come diceva spesso.
Nel cortile dei politici, con fatica indicibile e con la costante pazienza che possono avere solo i carcerati, avevamo scavato la terra servendoci di pezzi di legno e di pezzetti di ossa, unici strumenti di cui potevamo disporre per piantare pomidoro, legumi e verdure. A sentire Gramsci ciò rappresentava, oltre che un passatempo, anche «una certa unità di carattere culinario».
Ogni gruppo di tre-quattro compagni coltivava il suo pezzetto di terra. Ogni singolo agricoltorecarcerato considerava il suo «appezzamento» come quello meglio coltivato e il più redditizio. «Andate di questo passo, e diventerete capitalisti», scherzava Antonio. Anche lui, nelle buone giornate, dava il suo contributo di fatica, insieme a consigli preziosi per rendere fertile la striscia di terreno.
Proprio a Gramsci, per decisione del collettivo, venne assegnato un pezzo di terreno nel quale poteva coltivare dei fiori che agenti di custodia e detenuti «sconsegnati» gli procuravano in grande copia.
Nel suo pezzetto di terra, Gramsci riusciva a coltivare dei bellissimi garofani, gerani ed altri fiori. «Sono i fiori più belli del carcere», dicevamo noi, canzonandolo. Ma quei garofani, quei gerani, quelle rose, quei gigli erano veramente belli anche perché i soli che crescevano in tutto il penitenziario.
Un giorno la cognata Tatiana gli consegnò un bulbo di dalie. Da quel bulbo poteva nascere, chissà, una «dalia sovversiva». La direzione lo guardava con sospetto. Gramsci dovette sostenere una lotta con alcuni funzionari che volevano tagliare il bulbo a pezzetti prima di consegnarglielo, per controllare che non ci fossero dentro oggetti proibiti. Dopo lunghe discussioni, Gramsci riuscì a dimostrare che il bulbo tagliuzzato sarebbe stato inservibile.
Così convinse il direttore a farselo dare intero. Dopo una accuratissima preparazione del terreno, finalmente lo piantò. Il germoglio, a quaranta giorni di distanza, non spuntava. Ciò costituiva motivo di frizzi continui, e perfino di uno scherzo. Gramsci perse la pazienza, e si adirò moltissimo. Cosa era capitato? Un compagno piantò un fagiolo nel punto dove era piantato il bulbo di dalia. Quando il fagiolo germogliò, Antonio per alcuni giorni gli dedicò le sue cure e la sua attenzione per proteggerlo dal sole e dal freddo della notte. Una settimana più tardi, accorgendosi dello scherzo, si adirò. Non se la prese per lo scherzo di cattivo gusto. Secondo lui, frugando la terra per piantarvi il fagiolo, era stato guastato il bulbo di dalia. Infatti, la dalia non germogliò mai: il bulbo era marcito. Gramsci profittò dell’episodio per farci una lezione di botanica. Le cure veramente particolari Gramsci le riservava ad un cespo di rosa, che purtroppo non dava mai fiori. Anche questo fatto costituiva argomento di motteggi all’indirizzo del giardiniere. Antonio aveva però una sua teoria. Infatti, imbastiva lunghi ragionamenti onde dimostrare che, un giorno, le rose sarebbero sbocciate.
Era vero. All’inizio della primavera successiva, cominciarono a spuntare parecchi boccioli, insieme a parecchie foglioline. Finalmente, col tempo, qualche rosellina bianca fiorì.
È difficile descrivere quanto Gramsci godesse di queste cose. Bisognava vedere con quali attenzioni quest’uomo — che si preoccupava dei grandi problem di ogni genere, che dedicava la maggior parte del suo tempo allo sviluppo della capacità politica dei compagni, che sapeva trarre da ogni questione motivo di insegnamento e di educazione — curava e proteggeva i suoi fiori. Credo che per Gramsci tra l’amore per i due figlioli (dei quali parlava spesso, mostrando le fotografie) e l’amore per i suoi fiori la differenza non fosse molta. «I fiori — ci diceva — sono cose vive, che devono essere curate come le persone».
Un altro debole aveva Gramsci: vincere la partita a dama. Giocava bene e spesso vinceva anche tre compagni di fila. Ma quando qualcuno più forte di lui, lo mandava sconfitto, allora era un yero piacere assistere alle spiegazioni che egli dava del fatto di aver perso la partita. «Se non avessi fatto questa mossa, se fossi stato più attento a quella tua mossa, se non mi fossi distratto — si giustificava — tu non avresti potuto vincere. È vero, tu giochi bene, però io potevo batterti». E concludeva in tono scherzoso: «La verità è che la storia non è fatta di se.. Bisogna che io prepari meglio e giochi con maggiore abilità». Anche in questo caso Gramsci indicava ai compagni che, per vincere l’avversario, bisogna conoscerlo apprestando le armi adeguate.
Egli era certamente un uomo di grande intelligenza e cultura, eppure non disdegnava mai di conversare anche con i più modesti. Non era superbo proprio perché era al di sopra di ogni meschinità umana. Ricordo con quanta attenzione stava ad ascoltare un vecchietto ergastolano sardo quando questi gli parlava del suo paese e della sua famiglia. Si esprimeva in sardo col vecchio Matta e ci teneva a precisare, quando qualche compagno continentale scherzava sulla incomprensibilità del nostro dialetto, che il sardo è una lingua e che come tale egli la usava.
Sono passati ormai più di quarantanni.
Mai potrò dimenticare con quanto affetto Antonio Gramsci mi salutò la sera prima della partenza da Turi di Bari. «Ricordati che sei sardo e che sei comunista. A noi comunisti italiani, al nostro partito e al movimento operaio e democratico — mi disse — sono riservate lotte dure per arrivare ad una società socialista. Non lasciarti scoraggiare, ed abbi fiducia in questa vittoria»