Andar per chiese antiche: altari lignei e retabli_ a cura di Anna Palmieri Lallai
Alcune chiese cagliaritane, presenti da secoli nei nostri quartieri storici, hanno ancora il pregio e la fortuna di custodire gelosamente, e con orgoglio, degli altari lignei, detti anche retabli. Molto in voga tra il ‘600 e il ‘700, frutto di un abilissimo lavoro scultoreo, in passato erano molto ambiti e frequenti nelle nostre chiese, sia in città che nei grandi o piccoli centri dell’interno dell’Isola, dove ancora sussistono numerosi.
La loro realizzazione, reminiscenza barocca della lunga dominazione spagnola, pur non richiedendo una materia difficile da reperire, ma offerta dalla natura, richiedeva, al contrario, una mano d’opera “specializzata”, intagli particolari, precisi, decorazioni in rilievo o incisi, pitture e dorature equilibrate, tutti elementi che, uniti a legni ben stagionati, resistenti all’usura, talvolta anche di pregio, prendevano forma e “vita” sotto le mani di autentici artigiani del legno che, dando sfogo alla loro fantasia e creatività, ma rispettando, di norma, il volere del committente, ci hanno lasciato in eredità tanta preziosa bellezza.
Ai primi intagliatori non locali, si affiancano, col tempo, i nostri artigiani, che, pian piano, aprono “bottega”, dove, sotto lo sguardo vigile e competente de su maistu, si ripartiscono le diverse mansioni tra i vari “collaboratori”, ognuno con la propria competenza per cui l’altare ligneo o retablo, tra sculture, pitture, colonne, festoni, angioletti e volute varie, è la risultanza di un lavoro collettivo, che, come tale, spesso resta anonimo.
Ma è proprio questa peculiarità di essere lignei, che, purtroppo, ne ha decretato, e in un tempo relativamente breve, la loro quasi “ingloriosa” fine. Infatti, col trascorrere degli anni, il legno, elemento “vivo”, bisognoso di cura e giusta attenzione e manutenzione, nel momento del loro restauro, non essendo o possibile o facile reperire sia il materiale giusto sia gli artigiani competenti, ne segnano il tramonto.
Questi autentici capolavori vengono tristemente o abbandonati al loro destino, vittime di tarli e mali simili, ma più spesso, e senza eccessivo scrupolo, eliminati e sostituiti dal marmo, più facilmente reperibile anche nelle nostre cave, col grande vantaggio di essere più duttile, duraturo, maneggevole.
Dai primi del ‘700 in poi, in considerazione anche delle mutate condizioni socio economiche, vi fu quasi una corsa a sostituirli con gli altari marmorei che, imponenti, intarsiati e policromati, campeggiano in tutte le chiese, specchio evidente della grande rivoluzione che, col mutare dei tempi, muta anche l’arte sacra.
In città esistono ancora diversi altari lignei, tutti ugualmente belli, degni della nostra più grande attenzione.
Scopriamoli e guardiamoli insieme.
In Castello, in via A.Lamarmora, la chiesa della Purissima, ex monastero claustrale delle Clarisse, risalente al sec.XV, custodisce, tra tanta spiritualità, uno degli altari lignei più belli che le chiese cittadine possano ancora vantare.
La chiesa, infatti, che, senza un vero prospetto, passa quasi inosservata al viandante distratto, conserva gelosamente al suo interno, specchio di un raffinato gotico catalano originale, un bellissimo retablo ligneo, dorato e policromato, che, occupa tutta la parete del presbiterio o capilla mayor.
Qui, infatti, sovrastato da una altrettanto bella volta a crociera, domina e si ammira il grande retablo consacrato alla Purissima o all’Assunta, preceduto da un altare marmoreo, intarsiato e policromato, realizzato a ventaglio dal ticinese G.B.Franco.
L’opera, seguendo la più classica composizione, presenta un solo livello, diviso da colonne tortili dorate in tre settori o scomparti, dove si aprono delle nicchie cassettonate con simulacri del mondo francescano. In particolare, nella nicchia centrale, più grande, arricchita da tralci vegetali e visi di angioletti, elementi caratteristici della decorazione barocca, è custodito il simulacro dell’Assunta, che restaurato di recente (2011), ha riacquistato il suo antico splendore prima offuscato dalla patina del tempo.
La statua, di piccole dimensioni, dovuta a un ignoto scultore napoletano del sec. XVII o XVIII, raffigura l’Immacolata secondo la consueta iconografia, con la veste bianca, simbolo di candore, e il manto azzurro mosso dal vento dello Spirito Santo. I lunghi capelli sciolti sulle spalle sono veri e i piedi nudi, poggianti sulla mezza luna crescente, schiacciano la testa del serpente, simbolo del male.
La nicchia è sovrastata da una grande simbolica corona, per onorare l’Assunta, “regina dei Cieli”, il cui culto in terra sarda fu introdotto dai greci dopo la caduta dell’Impero Romano. Negli scomparti laterali, scanditi da belle colonne dorate tortili su cui si attorcigliano tralci vegetali, si aprono due piccole nicchie a cassettoni, dove si trovano i simulacri, con abiti veri, di S.Francesco, a sinistra, e Santa Chiara, a destra, entrambe sovrastate dal simbolo francescano del braccio di S.Francesco che s’incrocia con quello di Cristo. Dopo una elaborata trabeazione al centro si ammira il fastigio, che, tra ricche volute, riporta l’Assunta in cielo circondata da un volo di angioletti, dipinto di Sebastiano Scaleta, importante pittore locale stampacino del ‘700.
Questo prezioso capolavoro artigianale, realizzato per la festa della Purissima nel 1744, in legno abilmente intagliato, è opera di due artisti cagliaritani, con bottega a Stampace: Ignazio Cancedda e Eusebio Putzu.
Ma anche il quartiere della Marina, che nei secoli ha ospitato non solo mercanti, ma anche artigiani, può vantare un altrettanto prezioso e raro retablo, custodito nella chiesa settecentesca di S.Agostino nuovo, sita in via Baylle.
La chiesa di S.Agostino Nuovo, raro esempio di architettura rinascimentale in città, dal prospetto semplice e poco appariscente, custodisce al suo interno un bellissimo altare ligneo, che, col suo piacevole verde smeraldo e le sue nuaces dorate, attirano immediatamente il mio sguardo e quello del visitatore.
Il grande retablo, che occupa tutta la parete presbiteriale, è sovrastato da una splendida volta a cassettoni con motivi floreali che contribuisce a arricchirne la preziosità. Il retablo, intagliato e dorato, con un altare ligneo a più mensole, seguendo l’iconografia più classica, presenta nella parte centrale, la più importante, tre nicchie separate da colonne tortili dorate su alta zoccolatura scanalata e con capitello composito.
Le tre nicchie, cassettonate, ma differenti come ampiezza e forma, custodiscono altrettante statue lignee, legate al mondo agostiniano.
Nella nicchia centrale, più ampia e profonda, che, in origine, pare custodisse il simulacro in estofado de oro di S.Agostino, teologo e dottore della Chiesa, a cui la chiesa è consacrata, oggi ospita la statua della Madonna della Difesa, di artista ignoto, che, secondo fede e tradizione, ha difeso i cristiani dai musulmani.
Nelle nicchie laterali, sono conservate le statue lignee di S.Gugliemo d’Aquitania, a destra, e di S.Leonardo, a sinistra, forse in ricordo dell’antico complesso con lebbrosario di S.Leonardo di Bagnaria, sulle cui ceneri è stata probabilmente eretta, per volere del re spagnolo Filippo II, l’attuale chiesa, in sostituzione di quella più antica stampacina demolita per rafforzare il sistema difensivo del quartiere.
Dopo un’elaborata trabeazione, appare il fastigio, con la raffigurazione dell’Ostensorio, che, affiancato da due angeli ritti, è sovrastato dal simbolo dell’Ordine: un cuore fiammante trafitto da una lancia.
Questa magnifica opera è dovuta alla maestria del maestro Jorge Podda, e dei figli Juliano e Geronimo, che la realizzano tra il 1759-1760.
Ma Cagliari, se abbiamo il piacere di osservarla con “occhi attenti e cuore libero”, è ricca di tante sorprese, strettamente legate all’arte sacra. Così, spostandomi nel versante occidentale della città, nella parte alta del quartiere Stampace, la chiesa di Santa Chiara, in passato chiesa claustrale S.Margherita, ci regala da subito un meraviglioso altare ligneo, orgoglio anche della Società che la gestisce.
La parete presbiteriale presenta un monumentale e ricco altare barocco, ligneo dorato, di probabile scuola locale o napoletana, altro chiaro richiamo agli splendidi retabli spagnoli. L’altare ligneo, inglobato nella parte centrale bassa, realizzato a più mensole, riporta nel paliotto della mensa il simbolo francescano, con riferimento alle Clarisse, che, come accennato, in passato, erano titolari della chiesa. In quest’opera magistrale, restaurata, si distinguono, due ordini, separati da una grossa trabeazione, riccamente decorata con fregi e testine di puttini.
L’ordine inferiore è tripartito da quattro colonne tortili su cui si attorcigliano rigogliosi tralci fioriti, La nicchia centrale ospita il mezzo busto, ligneo e policromo, della Vergine di Loreto che regge il suo Bambinello, che, in atteggiamento benedicente e con il globo in mano, è ritto sul modellino di un monastero, con palese legame alla tradizione che vuole che degli Angeli abbiano trasportato da Nazaret a Loreto o nei suoi pressi la casa della Madonna minacciata dai Turchi.
Negli spazi laterali, oggi tristemente vuoti, pare che in passato vi fossero le tavole con le figure di S.Chiara e S.Margherita. Nell’ordine superiore tre riquadri, scanditi da colonne e quasi semicariatidi, custodiscono, partendo dalla sinistra, le figure di Sant’Agostino, a sinistra, San Francesco, al centro, e Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, a destra. Dopo un’ulteriore ricercata trabeazione, infine, nel fastigio, si ammira un Redentore realizzato in alto rilievo.
La ricerca di altri retabli cittadini mi porta, passo dopo passo, nel versante orientale della città, a Villanova, in via S.Giovanni, nella modesta chiesa di San Cesello, in passato, sede del gremio dei bottai e scaricatori di vino, ma da tempo gestita dalle suore Sacramentine o adoratrici del S.Sacramento, sempre esposto nell’altare maggiore.
Nel presbiterio, rialzato rispetto al piano dell’aula, e dietro il modesto altare maggiore, si ammira un pregevole retablo ligneo del ‘700, di recente restaurato, di probabile bottega artigiana locale, da sempre vanto della chiesetta. L’opera, a un solo livello, evidenzia quattro colonne tortili e dorate, che, realizzate a tutto tondo, danno prestigio a tutto l’insieme di un piacevole verde intenso e lo dividono in tre zone.
In quella centrale, dentro una bella nicchia cassettonata con decori dorati, è esposto un mirabile Ostensorio, sempre esposto alle preghiere delle religiose e dei fedeli. Nei due riquadri laterali, dalle tonalità piuttosto cupe, spiccano due grandi dipinti su tavola di scuola spagnola, che illustrano i Santi Lussorio, Cesello e Camerino, martirizzati, forse il 21 agosto del 304, durante le feroci persecuzioni dell’imperatore Diocleziano verso i cristiani.
In particolare, nella tela di destra, viene raffigurato San Lussorio che viene catturato presso la Porta Cavana o Cabana, una delle porte d’accesso al quartiere cinto da mura durante il periodo medioevale.
Questo dipinto, con l’iscrizione nella trabeazione merlata, è particolarmente importante perché, a tutt’oggi, è l’unica rappresentazione della porta che, verso oriente, permetteva di accedere alla fertile campagna.
Nello scomparto di sinistra, invece, è illustrato il martirio di S.Lussorio, giovane militare convertitosi al cristianesimo, mentre i giovani Cesello e Camerino, con le braccia legate, aspettano la stessa dolorosa sorte. I resti dei tre martiri vennero rinvenuti, almeno secondo la tradizione popolare, durante gli scavi effettuati nel 1604, nella zona antistante la chiesa paleocristiana di S.Saturnino, e conservati nella cripta santuario dei martiri sardi, in Cattedrale.
In copertina foto di Maurizio Artizzu – Chiesa di Santa Chiara – Madonna di Loreto – Stampace – Cagliari