La chiesa dei templari di Santa Maria di Malta e “Sa Festa Manna” a Guspini_di Tarcisio Agus
Il 15 agosto a Guspini è Festa Manna, la grande festa. Ormai si perde nella notte dei tempi la celebrazione della Madonna dormiente che in greco viene denominata: “Koimesis tes Theotocu” (dormizione della Madre di Dio), tramandata sino ad oggi con la festa dell’Assunzione della Vergine Maria in cielo. I teologi medievali la chiamavano Pasqua d’estate e noi Festa Manna, forse in accostamento alla Pasqua del Signore Pasca Manna, giorno in cui Maria lascia il suo letto di “morte” per essere assunta in cielo.
La festa con rito ortodosso si celebra ancora con la processione presso la chiesa di Santa Maria. Verosimilmente Guspini come molti centri della Sardegna venne interessata, tra l’VIII e IX secolo, dal monachesimo greco-bizantino a cui è iscritto il rito della Madonna Dormiente, adagiata su una lettiga e non trionfante, come è invece tipico nella tradizione della Chiesa romana.
I monaci scelsero per il loro Cenobio (luogo dove fare vita comune) una propaggine del Monte Mannu, poi intitolato a Santa Margherita, a sud dell’abitato romano e delle antiche cave minerarie.
La propaggine, costituita da un vasto deposito di sabbione costipato, dovuto allo sfaldamento in milioni d’anni del granito sovrastante, consentì ai primi monaci di realizzare il primordiale “monastero” scavando le loro celle e due piccoli ambienti di uso prettamente religioso. La scelta dell’insediamento oltre che per la posizione di dominio, visibile da lontano, fu data anche dalla presenza di abbondanti acque sorgive.
In uno spazio di appena trecento metri, sgorganti alla medesima quota, vi erano presenti tre fonti d’acqua purissima ed i monaci scelsero la mediana, della quale non ci è pervenuto il nome perché inglobata nel primordiale insediamento monastico. Le altre due, una ad occidente chiamata “Sa Piscîedda” (la minzione), utilizzata in tempi moderni per l’alimentazione del primo serbatoio idrico dell’abitato ed oggi piazza Don Michele Pinna, mentre l’altra posizionata ad oriente detta Mitza Summius (fonte che trasuda) poi intitolata a Santa Maria perché i monaci la consideravano sacra e di particolare significato religioso e spirituale, Aghiasma.
Nella antica fonte i monaci praticavano il rito dell’Aghiasma, presumibilmente una mutuazione con precedenti riti pagani, la cerimonia di purificazione avveniva con l’immersione dei fedeli in una vasca ricolma d’acqua lustrale. Il bagno con la canaletta di alimentazione è ancora presente in situ, anche se con il tempo questo è stato ampliato e coperto con una volta a botte rendendolo un serbatoio per la distribuzione dell’acqua potabile, utilizzato sino al secolo scorso.
L’amena località monastica rupestre cominciava a costituirsi con gli ambienti abitativi dati dalle celle esposte a levante sul costone che degradava nella fertile piana sottostante (oggi l’area di Viale Libertà), inglobando la fonte mediana che in una prima fase sicuramente veniva utilizzata per le esigenze vitali dei monaci, per l’orticoltura e per la pulizia della piccola chiesa eretta sulla piana del promontorio con pianta a croce greca, accostabile per tipologia e forma alla chiesa di San Giovanni Battista ad Assemini. Semplice struttura con una cupola che si erge fra due bracci ed ingresso voltati a botte.
Con l’avvio delle funzioni ecclesiali la fonte venne trasformata in “Fonte battesimale” o piccolo battistero, costituito da basse pareti che lasciavano traboccare l’acqua, raccolta poi per usi alimentari e domestici. Pur con tutte le modificazioni avvenute nel tempo, compreso il suo abbandono a seguito delle norme che riportarono la fonte battesimale all’ingresso dei templi, oggi è ancora possibile vedere, entro la casa Marongiu, quanto resta di un raro “battistero” di forma, sembrerebbe, esagonale che anticamente veniva formato dalla sovrapposizione delle lettere “I” ed “X” che rappresentano le iniziali della parola Cristo in greco.
Ad occidente della fonte, sempre entro il piccolo promontorio venne realizzato un altro elemento di natura religiosa, strettamente legato all’intitolazione della piccola chiesa, attraverso un stretta scalinata si accedeva alla camera dormiente della Vergine Maria, nel ricordo dell’ultima dimora della madre di Gesù Cristo a Gerusalemme nella valle di Giosafat. L’antico Cenobio era quindi costituito dalla chiesetta a croce latina in posizione elevata mentre ad oriente, sempre attraverso la scalinata sotterranea, oggi sotto le case Lisci e Marongiu, si accedeva alle celle rupestri, alla fonte battesimale e alla camera dormiente.
I monaci praticavano la liturgia, la preghiera, lo studio ed il lavoro, in particolare curavano le attività contadine data dall’abbondanza delle acque e osservavano la pratica del digiuno. Quest’ultimo aspetto possiamo rilevarlo dal toponimo che si espande a sud del Cenobio, meglio noto anche oggi come il rione “Fuguresia”, i fichi della chiesa. I frutti erano apprezzati nel mondo antico, gli Egizi, gli Assiri ed i Greci lo consideravano una fonte importante di nutrimento per i popoli sia fresco che essiccato, di grande simbologia come la fertilità e la fecondità, era considerato anche fonte medicinale. Il fico, legato al culto della Madonna, essiccato rappresentava l’unico alimento durante i lunghi digiuni.
In questo contesto i monaci festeggiavano l’Assunzione di Maria.
Quindici giorni prima della celebrazione i religiosi iniziavano il digiuno, caratteristica delle grandi solennità e le invocazioni di supplica dette Paraclisi dal greco Paráklësis. Oggi si canta il rosario in sardo ed i Coggius, probabile evoluzione catalana delle Paraclisi. Il rito della grande festa era compreso in otto giorni detta “S’ottava”, sono i sette giorni che seguono la festività religiosa, con chiaro richiamo all’ottava della Pasqua del Signore.
Il giorno 13 Agosto il simulacro dell’Assunta veniva sottoposto nella camera della Dormizio alla vestizione, questo rito a porte chiuse è sempre stato di pertinenza delle pie donne come ancora oggi. A differenza delle origini, oggi il simulacro dell’Assunta è posto nel duomo di San Nicolò dove avviene il rito della vestizione. La statua della Madonna veniva, come oggi, preparata con una tunica ricamata con fili d’oro e d’argento, calzari e corona d’argento. Il 14 pomeriggio, posta su una lettiga la Madonna veniva e viene portata ancora oggi con una mesta processione nella chiesetta a lei dedicata.
Il giorno 15, dopo la Messa solenne, la Madonna Dormiente, da il via alla festa Manna con una partecipata processione di popolo lungo le vie storiche dell’abitato, per tornare poi nella sua chiesa dove rimane esposta al culto ed alla venerazione popolare per sette giorni. Nei giorni della festa si ripetevano, come già avveniva nelle aree sacre del mondo nuragico, l’allestimento degli spazi attorno al tempio ove si commercializzavano i prodotti dell’artigianato, arredo domestico finemente realizzato al telaio o ricamato a mano, stoviglie, recipienti in fieno anche decorati, campanacci, utensili in legno, strumenti per i lavori agricoli ed i finimenti per gli animali, non mancavano gli spazi dedicati ai cantori dialettali che cantavano improvvisando storie del passato, amori, invidie, diatribe e vicissitudini umane in generale.
Pur con i mutamenti del tempo i rituali si ripetono, così come si allestivano Is Paradas, spazi ricoperti di frasche per ripararsi dalla calura estiva ove si assaggiavano i vini o degustavano gli arrosti, in particolare i muggini degli stagni di Santa Maria. Oggi è ancora attesa Sa Parada de sa Carapigna che ospita gli artigiani nuoresi di Desulo e Fonni, bravissimi nel realizzare una granita al limone che preparavano con il ghiaccio del Gennargentu. Infine erano i banchi dei dolci tipici ed in particolare a Guspini era rinomato il torrone che ancora si produce con i vecchi metodi, mandorle e miele in forme tronco piramidali di cinque chili, che veniva e ancora viene tagliato con la mannaia di fronte all’acquirente.
Alla sera era ed è il momento dei fuochi d’artificio S’arroda. Un vecchio detto di scherno che ancora permane, dice: “Po Santa Maria ti fazzu bi sa mesa de is turrôisi”, per la festa di Santa Maria ti faccio vedere il tavolo dei torroni, solitamente rivolto a coloro che attendevano riconoscimenti o pagamenti non meritati.
Nei giorni della festa non mancavano mai le corse con i cavalli su un lungo tratto di un chilometro, dalla periferia dell’abitato lungo la via che portava all’abitato di Sangavino Monreale, oggi via Matteotti, sino al duomo di San Nicolò.
All’ottavo giorno ( a S’ottava), l’Assunta viene, sempre con la mesta processione, riportata nella sua cappella presso il duomo di San Nicolò, mente una volta rientrava nella camera della Dormizio presso l’antico monastero rupestre, in attesa del successivo 15 agosto.
Se il rito della Festa Manna possiamo dire sia rimasto inalterato, nello scorrere del tempo sono invece venuti meno i frati greco-bizantini, impediti nel ricambio generazionale a seguito dell’espansione araba nel mediterraneo che ne limitava i collegamenti, ma anche per il cessato controllo di Bisanzio sull’isola, tanto che i sardi, a detta di molti storici, intorno al IX secolo, sulla base degli ordinamenti che ebbero da Giustignano, si auto governarono costituendo quattro stati autonomi con a capo un Iudex, lo ricorda l’epistola sui matrimoni tra i consanguinei inviata dal Papa Nicolò I nell’864 ai Iudices Sardinia.
Guspini in quel periodo era parte del Giudicato di Arborea, con capoluogo Oristano. Nel regno poi di Eleonora, come per gli altri, si rese necessaria la sostituzione di quel che residuava del monachesimo bizantino ormai senza guida e nel XI secolo fu Gregorio VII a facilitare il ricambio monastico inviando sull’isola i Benedettini di Montecassino e i Vittorini di Marsiglia, seguiti poi dai Camaldolesi e dai Vallombrosani. Nessuno di questi ordini fu interessato alla sostituzione dei nostri monaci, posto che ancora il Cenobio guspinese fosse in vita. Certo è, ce lo ricorda il Manno nella “Storia di Sardegna”, a Guspini era attivo un monastero degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme detti anche di Rodi o di Malta. Trattasi di un ordine religioso cavalleresco nato intorno all’XI secolo, detto anche Cavalieri Gerosolimitani. Il loro originale scopo era quello di dare aiuto ed assistenza medica ai pellegrini cristiani in Terra Santa, ma non disdegnavano di impugnare le armi in difesa del Santo Sepolcro.
Il loro arrivo, presunto intorno al XIII secolo, con molta probabilità è da attribuirsi all’uomo di fiducia dello Iudex Pietro II d’Arborea, Guglielmo di Capraia, che dal 1241 al 1264 resse il Giudicato d’Arborea come Giudice di facto in quanto Mariano II, erede al trono, era ancora bambino. Rampollo della importante famiglia pisana degli Alberti conti di Capraia, sicuramente interessato alla ricchezza mineraria del guspinese alla pari del suo conterraneo della Gherardesca conti di Donoratico, insediatisi ad Iglesias con cui era imparentato.
Guglielmo di Capraia, con il potere di Iudex, con molta probabilità si rivolse al Priorato di Pisa per ottenere la disponibilità dei Cavalieri Gerosomilitani, ai quali assegnò il vecchio Cenobio di Santa Maria e forse parte delle miniere per il finanziamento dell’ordine cavalleresco.
Con la presenza dei cavalieri templari e dello stesso giudice de factu, che deteneva a Guspini la sua riserva di caccia al cervo in regione Struvoniga, il piccolo insediamento greco bizantino subì un’importante trasformazione, come del resto avvenne un po in tutta la Sardegna a seguito del programma di riforma della Chiesa romana quando Gregorio VII, nel 1073, invitava i giudici sardi a convincere il clero locale, ancora legato a bisanzio, di tornare alla liturgia latina. Dell’antico insediamento ecclesiale sembrerebbe essersi mantenuta solo la metà della cupola, all’interno della quale si è riscoperto un “affresco” costituito da un moto ondoso reso con decise pennellate di ocra rossa, a rappresentare il diluvio universale, la fine del mondo, il giudizio universale. Il resto del complesso bizantino sembrerebbe esser stato smantellato per utilizzarne i conci d’arenaria nella costruzione della chiesa templare, sulle arcate centrali e la facciata, il resto del nuovo edificio è costruito con pietrame misto affogato nella calce.
La facciata della nuova chiesa in stile romanico pisano ci ha svelato due elementi che sostengono l’ipotesi enunciata, la prima è il rilievo del caprone alla base del sopracciglio dell’ingresso principale, simbolo araldico dei Capraia che ancora si riscontra nelle antiche proprietà pisane. Il secondo è l’inequivocabile croce a quattro punte emerse durante il restauro del 1997 con la scoperta della porta santa, sormontata da una lunetta con al centro dell’architrave l’effige dei Gerosomilitani, i cavalieri dell’ordine di Malta. Elemento questo che ci da la spiegazione del perché ancora oggi la chiesa è intitolata a Santa Maria di Malta. Infine, rinvenuta nel 1802 una scritta, custodita dalla soprintendenza su pietra arenaria, attesterebbe la presenza benedettina, di cui l’ordine Gerosomilitano era parte, nel 1294.
All’opera ecclesiale fu accostato il nuovo monastero che soppiantò le prime cubicola bizantine senza sopprimerle, rimasero al disotto della nuova struttura costituita da un ampio loggiato retto da sei colonne di granito locale, quale spazio di accoglienza per i malati, poveri e pellegrini, mentre sul retro a levante, sul bordo del promontorio, si sviluppava il monastero in linea.
Se vi fu un netto cambiamento del Cenobio, la festa dell’Assunta Dormiente non mutò se non per il fatto che i Cavalieri di Malta la resero più solenne e cavalleresca. Infatti ancora oggi l’apertura della processione è affidata ai cavalieri e preceduta dal comitato di volontari che organizzano la solennità della festa e ne ricercano le finanze, chiamati “Is Obreis”, con un presidente a guidarli che porta poggiato sulla spalla destra il vessillo del comitato. In sintesi ricalca la processione dei cavalieri, cosi come ricorda la Regola del Tempio, il vessillo (baussant) affidato al maresciallo dell’ordine, comandante in capo, scortato da cinque o dieci cavalieri scelti tra i più prodi e puri con il mantello bianco e la croce rossa (colori araldici del comune di Guspini).
Il grazioso tempio, riportato grosso modo all’origine, mantiene ancora quel fascino mistico dei templari con le due navate laterali che accolgono due lunghe panche in muratura ove prendevano posto i cavalieri, mentre nella navata centrale, dal 15 agosto e per otto giorni, troneggiava la lettiga con l’Assunta Dormiente. A mezza mattina, quando il sole si alzava, la luce attraversava la “finestrella Orientis”, posizionata al disopra dell’abside, sull’asse dell’equinozio, a simboleggiare il Cristo, creando un’atmosfera surreale e mistica di particolare suggestione. Cristo chiamato anche Oriente, dal profeta Zaccaria, da Oriente tornerà, cosi anche il vangelo di Matteo: ”come la folgore viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del figlio dell’uomo”. Ancora oggi, chi avrà l’opportunità, nei giorni della festa, di entrare al mattino nel tempio alla presenza dell’Assunta dormiente, potrà immergersi in quell’alone di mistero e fascino dato dal cono di luce che scendendo dall’alto della finestrella Orientis illumina il corpo ed il volto della Madonna che i Gerosomilitani avevano creato con intensa spiritualità e suggestione in onore dell’Assunta, da loro eletta madre protettrice.