Andar per chiese antiche/La chiesa di San Francesco di Stampace_a cura di Anna Palmieri Lallai
Cagliari, la città che amo, perché qui sono nata e vivo, ha, purtroppo, il grande rammarico di aver perso la memoria di diverse chiese, che, fin dai tempi più remoti, vantavano la loro presenza entro la cinta muraria urbana o extra moenia. Oggi, infatti, difficilmente ricordiamo sia la chiesa stampacina di S.Nicola di Bari che quella di S.Leonardo, ubicata in Sa Marina, mentre, anche se con qualche difficoltà, sopravvivono i ricordi della chiesa stampacina di S.Agostino “vecchio”, di S.Lucia e di S.Teresa d’Avila, entrambe in Marina. Ma sicuramente il tempio religioso che maggiormente permane nella nostra mente credo sia quello di S.Francesco di Stampace, che, dopo sei secoli e tanta gloria, crolla miseramente nel 1875
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Oggi, passando in via Mameli, mi viene quasi spontaneo gettare uno sguardo là dove sorgeva il chiostro conventuale e nel vedere i pochi ruderi rimasti, quasi abbandonati al loro triste destino, resto incredula che siano depositari di un patrimonio storico-artistico-culturale di altissimo livello. Eppure è così! Infatti, sono solo questi pochi resti a tener ancora vivo il ricordo del grande complesso francescano dei Minori Conventuali, che, dopo essere stato vanto della città e aver goduto di un ruolo trainante nella nostra società dell’Ottocento, cade in un abbandono galoppante tanto da decretarne la fine tanto misera quanto ingloriosa. Ed è merito del canonico Giovanni Spano se oggi possiamo non solo godere di una accurata descrizione della struttura nel suo insieme, ma anche dei tanti dipinti e retabli, che, recuperati dalle cappelle, ammiriamo esposti nella nostra Pinacoteca Nazionale, in Castello. Il canonico, che ebbe occasione di visitare il complesso dopo la prima metà dell’800, definisce la chiesa come un Museo o una Galleria d’arte, dove le pale d’altare, i simulacri, gli arredi, tutti di ottima fattura, abbondavano ovunque.
Ma come il complesso, sacralità a parte, divenne un autentico scrigno d’arte? Per saperlo occorre tornare a ritroso nel tempo.
Il complesso francescano, costituito dalla chiesa con l’annesso convento e chiostro quadrato col classico pozzo centrale, in origine contenuto nelle sue dimensioni, era ubicato extra muros rispetto a Stampace storico, stretto tra la via G.Maria Angioy, già via del Condotto, e la via Sassari. Eretto nel sec.XIII, forse verso il 1275 , in stile gotico, primo prezioso esempio in città e in Sardegna, diventa quasi subito il più grande centro sia religioso che culturale della Cagliari dell’epoca, frequentato, soprattutto dagli abitanti del quartiere, borghesi o commercianti piuttosto abbienti, nonché generosi benefattori Ma come sappiamo la Cagliari di allora non godeva di uno spazio pubblico destinato alla sepoltura, lo avrà solo a partire dal 1829 con la realizzazione del Cimitero di Bonaria. Ogni quartiere aveva un piccolo spazio all’aperto, una sorta di fossa comune, dove il triste rito della sepoltura avveniva senza particolari cautele né nel rispetto del defunto, né del prossimo, creando i presupposti per tutte quelle epidemie che si sono sviluppate ovunque durante il Medioevo. E, se la morte non fa differenze, le fa l’uomo, che, potendo, voleva (e vuole) farsi ricordare anche erigendo un monumento funebre o altro che ne tramandi il ricordo nel tempo.
Così furono molti coloro, che, nobili o meno, cagliaritani e non, chiesero e ottennero di avere l’ultima dimora terrena entro le sacre mura della chiesa, erigendo, a proprie spese, o cappelle con ricchi altari o monumenti sepolcrali di pregio, quasi uno status symbol a loro futura memoria. La chiesa, a navata unica rettangolare, con copertura lignea e diverse cappelle introdotte da archetti gotici e voltate a vela, per accontentare i numerosi committenti si amplia sempre più, allungandosi fino all’attuale Corso Vittorio Emanuele II. Si elevano nuove cappelle un po’ ovunque, chiostro compreso, si apre un accesso laterale verso il Corso, mentre nella parte terminale s’innalza un campanile a vela e una torretta con orologio incorporato. Ma forse fu proprio questo voler accontentare tutti, sempre e comunque,che, se contribuiva ad aumentare il prestigio e la “fortuna” dei religiosi, portò, col tempo, quasi come logica conseguenza, anche a un lento, ma inesorabile indebolimento della stessa struttura che, appesantita, necessitava di una manutenzione costante e costosa, che i religiosi non furono più in grado di sostenere e garantire. Il tempo, infatti, scorre veloce e inesorabile, portando con sé novità urbanistiche e mutate condizioni economiche e politiche. Cagliari si sta aprendo verso nuovi orizzonti. In particolare nel 1829 si realizza il primo cimitero pubblico, e ai religiosi vengono a mancare i grandi “benefattori della sepoltura”. I francescani sono in grossa difficoltà economica e si trovano costretti a vendere poco alla volta terreni e loro fabbricati limitrofi. Alla grave situazione economica segue la legge sulla soppressione degli Ordini religiosi che porta alla chiusura del convento decretata il 26 marzo 1861 e all’incameramento di tutti i loro beni. Poco dopo, nel 1862, la struttura viene utilizzata come sede della Legione dei Carabinieri, e si pensa anche a un suo probabile restauro o a realizzarvi l’Ospedale civile. Gli stessi religiosi, ormai pochi e senza sicurezza per il futuro, dopo secoli di gloria e alterne vicende, si disinteressano quasi completamente dell’intero complesso, favorendone la totale rovina avvenuta di fatto nel 1875, ma iniziata la notte del 1 novembre 1871 quando, durante un violento temporale, un fulmine colpisce rovinosamente il campanile della chiesa, infierendo su una struttura già fatiscente. Il destino è segnato!
Ma chi ebbe il privilegio di avere sepoltura entro le sacre mura della chiesa di S.Francesco di Stampace? L’elenco non è certo breve! Vediamone insieme solo alcuni.
Fra i primi fu il fiorentino Lapo Saltarelli, esule in Sardegna per brogli, e, come tale, citato anche da Dante nel suo “Paradiso”, XV, v.128. Morto a Cagliari nel 1320, forse ottenne tale beneficio per essersi pentito, convertito e vestito, pare, anche l’abito francescano. La sua lastra tombale, rettangolare, lunga, piatta e stretta con stemma personale e epigrafe latina, recuperata, fu ai primi del ‘900 riutilizzata come soglia del Santuario di Bonaria al pari del portale strombato, del sec.XIII, caratterizzato da capitelli corinzi e a palmette. Il .tutto fu posizionato quando il prospetto e la navata del Santuario, verso il 1876, vennero allungati per adeguarsi al livello dell’attigua erigenda Basilica. Successivamente, per volere di Dionigi Scano, sovrintendente alle Belle Arti, la lapide fu rimossa, venendo esposta all’interno del Lapidarium, ricavato nello Spazio S.Pancrazio, Cittadella dei Musei, mentre il portale, depositario di tanta storia, è ancora in loco.
Qui trovò sepoltura il mercante pisano Guido de Dono, la cui lastra tombale, realizzata in marmo con l’effigie in rilievo del mercante giacente, epigrafe e stemma, recuperata dalla cappella su cui aveva patronato, oggi è esposta nel Museo archeologico di Cagliari.
Qui ebbe sepoltura anche la nobile Violante Carroz (1456–1510), contessa di Quirra, ormai nota come la sanguinaria per aver contribuito alla triste fine del cappellano don Juan Marongiu, suo confessore personale, colpevole di averla rimproverata per la sua condotta disordinata. Dopo tante avventure e disavventure, tanti titoli nobiliari, riportati anche nello stemma inquartato posizionato nella balconata di un palazzo di via dei Genovesi, in Castello, dove le armi dei Carroz sono alternate con quelle dei Centelles, la nobildonna cambiò vita. Forse pentita, si ritirò dal Castello di San Michele, sua usuale dimora, nel convento di S.Francesco di Stampace, dove, in estrema semplicità, trascorse gli ultimi tredici anni della sua vita, trovando riposo in un sarcofago di pietra col suo stemma personale, posizionato, forse su sua esplicita richiesta, all’esterno dell’ingresso. Ma il destino non fu clemente nei suoi confronti perché, dopo il crollo della chiesa, le sue spoglie andarono disperse e il sarcofago, tra tanti passaggi poco nobili, usato anche come abbeveratoio per animali, oggi pare si trovi a Decimomannu.
Qui ha trovato l’ultima dimora terrena il viceré spagnolo Alvaro de Madrigal (1557-1561), il cui stemma (con leone e cervo) sovrasta la lastra marmorea murata all’esterno del Bastione di S.Giovanni o Santa Croce, fortificato da Filippo II, re di Spagna e di Sardegna, ricordato col suo grande stemma inquartato. Il viceré, personaggio all’epoca di particolare importanza, è raffigurato in un mosaico della chiesa di S.Rosalia, ai piedi del letto di morte di S.Salvatore da Horta- avvenuta a Cagliari nella chiesa francescana di S.Maria di Gesù, Villanova, il 18 marzo 1567.
Fra tanta nobiltà qui ebbe sepoltura l’umile francescano conventuale Tommaso Polla (1615-1663), cagliaritano, religioso di grande carisma, morto forse in odore di santità, tanto da essere sepolto dietro l’altare maggiore. Sensibile, amante della musica, dopo una rapida, ma breve carriera, lasciò tutto per ritirarsi in penitenza tra le mura del convento, dove la morte lo colse il 29 settembre 1663. Fu poi traslato nella collegiata di S.Anna, venendo ricordato da una semplice lapide murata nella controfacciata, sulla destra entrando.
Qui ottenne sepoltura anche il grande scultore del ‘700 Giuseppe Antonio Lonis, (1720-1805), nato a Senorbì e morto a Cagliari, con bottega a Stampace, nelle vicinanze della chiesa; anche della sua tomba si è persa ogni traccia, restando sempre viva la sua memoria di eclettico artista sardo.
Ma se tante sepolture col tempo sono andate disperse, tante opere d’arte, per fortuna, sono state recuperate e molte sono esposte nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari.
Fra le opere all’aperto ancora visibili merita di essere ricordato il maestoso pulpito marmoreo, realizzato per l’arrivo in Sardegna dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, giunto prima a Cagliari, poi ad Alghero, per preparare una flotta cristiana contro i musulmani che minacciavano di continuo l’isola e non solo. Il pulpito, in origine posizionato al limite della navata destra, dopo il crollo della chiesa, smontato, fu custodito presso la nostra Università, finché, acquisito dal Demanio nel 1902, fu rimontato nell’atrio della chiesa gesuitica di S.Michele, dove tuttora si trova. Il maestoso pulpito, dal quale si dice che l’imperatore abbia seguito la messa precedente la spedizione, realizzato in marmo bianco e retto da quattro colonne, ha le pareti del cassone rettangolare decorate in rilievo con arabeschi e figure fantasiose. Presenta due leggii, uno per l’Epistola, a sinistra, l’altro per il Vangelo, a destra, retti rispettivamente da S.Paolo, in piedi, e dall’aquila con le ali spiegate, simbolo di S.Giovanni. Alla base corre una dedicatoria in latino, con l’indicazione dell’autore, il teologo conventuale fra Bartolomeo Vidoti.
E’ altrettanto degno della nostra più grande attenzione il grande Crocifisso ligneo, con gli arti snodabili, risalente alla prima metà del sec.XVI, in stile gotico e scultore ignoto. Recuperato anch’esso dalle rovine della chiesa, nel 1884 fu acquisito con una sottoscrizione pubblica tra i beni requisiti messi all’asta dal Demanio. Oggi, carico di pathos e storia, lo ammiriamo lungo la navata destra della Collegiata di S.Anna.
La chiesa di S.Francesco, dato il suo carisma, fu scelta per conservare le “vesti” di S.Agostino, quando la chiesa di S.Agostino “vecchio”, sita del Largo Carlo Felice, fu demolita per rafforzare le mura (1563-1575). Dopo il crollo le “sacre vesti” del Santo (una pianeta, una tunicella, una dalmatica), portate in Sardegna nel 504 dall’esule Fulgenzio, vescovo di Ruspa, il 22 settembre 1875 furono trasferite nella Cripta della Cattedrale, e da qui nel Museo Diocesano, dove sono esposte in una teca vetrata.
Questo e tanto altro su una chiesa, scrigno di una memoria urbana senza tempo, che, dopo essere stata vanto e orgoglio della Cagliari che fu, tra alterne vicende, ci ha lasciato il grande rimpianto di non averla saputo salvare in tempo.
Ma Memorare iuvat semper!