S’Omu de S’Orku, il Mesolitico arburese_di Tarcisio Agus
Nonostante i ritrovamenti litici di 40 anni fa nell’Anglona, che spinsero alcuni studiosi a considerarli, per l’aspetto arcaico e la semplicità dei caratteri, attribuibili al Paleolitico inferiore, databili tra i 450.000 e 120.000 anni fa, ad oggi manca una evidente presenza umana, se si eccettua la falange proveniente dalla grotta Corbeddu di Oliena, che gli studiosi collocano però alla fine del Pleistocene, 11.700 anni fa, con il possibile arrivo occasionale dell’uomo in Sardegna.
Ci troviamo nell’ultimo stadio dell’espansione glaciale, quando il mare, anche nell’isola, si abbassò di oltre 110 metri e le temperature si attestarono su 6 – 9° inferiori rispetto alle attuali, periodo meglio noto come la glaciazione Würm.
In questa fase finale di glaciazione si collocherebbe anche il sito mesolitico di S’Omu de S’orku nel comune di Arbus, nel periodo compreso tra il 10.000 e i 6.000 anni fa, ma a differenza del sito di Oliena, dove gli anfratti naturali primeggiano, il sito arburese si colloca nella zona sud dell’isola in riva al mare di Sardegna.
Il sito di S’Omu e S’Orku, oggetto di scavo scientifico da diversi anni, oltre ai resti umani di tre individui due maschili ed uno femminile chiamati Beniamino, Amanda e Amsicora ha aperto una importante finestra anche sui cambiamenti climatici ed eventi estremi avvenuti 9.000 anni fa. Gli scavi scientifici operano in concessione al Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche, sotto la direzione della Prof.ssa Rita Melis e la collaborazione dell’archeologa Prof.ssa Margherita Mussi (ISMEO).
Alla professoressa Melis abbiamo chiesto un breve sunto sull’intervento scientifico:
“Il sito continua a restituire importanti informazioni sul contesto climatico-ambientale e sul comportamento dei gruppi di cacciatori raccoglitori che circa 9000 anni fa arrivarono in Sardegna dopo aver attraversato non facili tratti di mare.
Le indagini di quest’anno hanno evidenziato, rispetto alle campagne precedenti (dal 2011 al 2021), un contesto ambientale e climatico in continua evoluzione. Incendi, frane, alluvioni hanno interessato il territorio e i piccoli anfratti dove i mesolitici trovavano riparo.
Gli studi sui fondali marini che si stanno realizzando in contemporanea confermano che la linea di costa si trovava ad una profondità di circa meno 20 m rispetto all’attuale e un estesa pianura costiera si estendeva fino all’isola di San Pietro. In questo ambiente costiero la presenza di stagni rappresentavano luoghi dove reperire risorse come evidenziato dai resti di pesce ritrovati nei focolari del sito di S’Omu e S’Orku.
Le ricerche che si stanno conducendo con il contributo del Parco Geominerario, dell’Università di Cagliari, e con il supporto del Comune di Arbus, hanno inoltre permesso di acquisire nuovi dati sulla resilienza dei gruppi mesolitici che popolavano un ambiente particolarmente instabile.
Questi studi arricchiranno non solo le conoscenze sul comportamento e sulla dieta dei primi cacciatori e raccoglitori che arrivarono in Sardegna, ma contribuiranno allo sviluppo culturale e Turistico del territorio e più in generale del Parco Geominerario.
Un particolare ringraziamento al Gruppo Archeologico Neapolis di Guspini che per primi hanno custodito queste importanti testimonianze, (Tarcisio Agus. Giorgio Orru, Novella Vacca e Gigi Largiu per il supporto logistico, nonché l’Assessore Toniella Racis del Comune di Arbus).
Dai pochi dati che possono essere attualmente comunicati, in quanto gli studi sono ancora pienamente in corso, questi ultimi legati agli ambienti climatici del tempo ci ricordano eventi a noi prossimi, con gli incendi estivi e le bombe d’acqua che ultimamente hanno interessato anche l’sola e che ancora permangono con distruzioni e danni rilevanti.
Certo sarà interessante conoscere meglio la datazione dei resti umani, che parrebbe andare oltre i 9.000 anni fa, così come sarà interessante sapere dell’alimentazione, visto che il sito ha restituito anche resti di pasto del Prolagus (un roditore simile ad un piccolo coniglio), che per alcuni studiosi si estinse già alcuni milioni di anni fa ed in Sardegna pare visse ancora durante il Neolitico (6.000-2.800 a.C.). Altrettanto interessante sarà approfondire, per diversi aspetti, la situazione climatica e la linea di costa che sulla base dei dati annunciati, il sud Sardegna in quel tempo era unito sicuramente all’isola di Sant’Antioco e molto prossimo all’isola di San Pietro.
A tal proposito mi permetto di fare una congiuntura, non me ne voglia la professoressa Melis, ma i familiari di Beniamino, che ha restituito quasi interamente il suo scheletro con il cranio perfettamente integro cosparso di ocra rossa, dove attinsero l’importante minerale cerimoniale? Il cospargere di color rosso le ossa dei defunti era un rito diffuso in ambito funerario, legato alla rigenerazione ed al colore del sangue, che l’Homo Sapiens praticava già nel Paleolitico. Quell’ocra rossa e la possibilità che la lunga ed ampia pianura si raccordasse con le isole sulcitane ci induce a pensare che i frequentatori di S’Omu de S’Orcu si siano procurate la rossa “polvere sacra” nei depositi minerari di ocra, manganese e diaspro, già noti in fase preistorica, di Capo Becco presso Carloforte.
Questa possibilità sarebbe suffragata anche dalla presenza nel sito di schegge di diaspro rosso (roccia vetrosa di color rosso), e tra le sepolture sappiamo esser presenti anche schegge di ossidiana, pare come offerte votive, che ci rimandano all’ “oro nero” del Monte Arci. Anche questo ultimo aspetto potrà esser motivo scientifico per meglio capire i contatti e gli scambi che il nucleo umano dell’arburese aveva nel contesto territoriale ed isolano.