C’era una volta in Sardegna la Democrazia Cristiana: tutti figli di un’altra politica_di Francesco Floris
Il volume di P. Fadda C’era una volta in Sardegna la DC analizza le vicende della Democrazia Cristiana in Sardegna in una prospettiva che, come lo stesso autore scrive non vuole essere una storia, o almeno, un libro di storia.
L’analisi del suo contenuto ci fa intuire come la scrittura sia mossa da una continuità di ispirazione che trova le basi nella esperienza di vita dell’autore, per anni testimone non secondario delle vicende dello scudo crociato nell’isola, e in quella propensione naturale verso la ricerca storica.
Il più recente lavoro di Fadda si colloca nella prospettiva storiografica che lo ha portato, fin dai primi scritti pubblicati a partire dalla metà degli anni Ottanta del secolo passato, a voler affrontare ed approfondire congiuntamente i problemi della società e della cultura sarda tra Otto e Novecento, e del suo sviluppo fondendoli in un unico contesto entro il quale tenta la ricostruzione di un periodo tra i più complessi della storia dell’isola.
Il libro in termini generali si pone come punto di riferimento e di sintesi ai temi che l’autore ha avuto modo di trattare in La borghesia industriale sarda tra ricostruzione e rinascita (1944-1960), Avanguardisti della modernità e Le economie urbane nella Sardegna contemporanea apparsi tra il 1998 e il 1999 e nello specifico avvia il superamento un vuoto storiografico che sulle vicende dei partiti politici in Sardegna e sulla DC in particolare è notevole.
Per quanto riguarda la DC infatti finora la storiografia si è mostrata interessata a studiare il problema delle origini (le opere di F,Fresu e di G.M. Bellu) ed è mancata una trattazione completa delle sue vicende.
Il libro è diviso in quattro capitoli preceduti da un’importante introduzione nella quale viene dato conto del significato e della funzione che la DC ha svolto sulla società sarda hanno assunto nel tempo.
Nei quattro capitoli l’autore esamina il problema a partire dal crollo del regime fascista in Sardegna fino le ultime vicende che portarono alla dissoluzione del partito.
Ciascun capitolo è diviso in punti di riflessione in ciascuno dei quali l’autore sviluppa i temi che ritiene qualificanti, il volume è completato da un’appendice che riporta i dati essenziali sulla fortuna elettorale della Democrazia Cristiana e di un corredo fotografico di grande utilità per il lettore perché da delle indicazioni che completano i riferimenti contenuti nel testo.
Il nodo che fa cogliere l’importanza di C’era una volta la DC in Sardegna sta nello sforzo che egli compie per determinare il rapporto tra la propria dimensione umana e il suo impegno di ricerca; alla fine del libro infatti egli afferma che il suo non vuole essere il racconto di un reduce (in riferimento alla sua milizia nel partito)ma un racconto obiettivo che deriva dalla concezione che Fadda ha della storia.
Da questo punto di vista una riflessione sulla sua concezione della storia è strumento di grande importanza per il lettore in quanto ha una funzione didattica ed utile per dare alla maggior parte dei lettori una guida alla comprensione dei problemi che sono l’oggetto del libro.
Vi si coglie come l’autore sia riuscito a rendere organica alla propria vita di uomo impegnato nel settore dell’economia la sua passione per la ricerca storica della quale si serve per confermare e sostenere i valori che la orientano e per renderne partecipe il suo prossimo.
E’ questa dimensione che ci spinge innanzi tutto a voler tentare di collocare il suo lavoro nell’ambito del dibattito sul significato della storia attualmente in corso in Sardegna e fuori.
Il lavoro dello storico assume i caratteri di uno sforzo che prende le forme di un racconto nel quale l’autore narra un’esperienza che appare come la proiezione della coscienza della propria condizione.
Tre sono gli strumenti che gli sono necessari per dar corpo alla sua opera sono: la ricerca come base indispensabile per trovare gli elementi sui quali basare una narrazione; l’esigenza di avere a disposizione questi elementi;l ’esigenza di procedere servendosi di regole da seguire con rigore nella costruzione del testo.
Il rispetto di queste condizioni fanno del suo sforzo un processo teso al raggiungimento di una consapevolezza da cui scaturiscono i suoi giudizi e l’armonia della sua trattazione, in altri termini la sostanza e la condizione attraverso le quali prende corpo la narrazione che fa.
In questo modo lo storico da al testo frutto della ricerca alcuni termini di riferimento costanti:
aver presente un quadro generale entro il quale collocare il suo la sua narrazione; essere sempre animato dalla necessità di rapportare il proprio sforzo alla realtà nella quale opera; evitare di fare della narrazione storica un testo rivolto ad una cerchia di addetti ai lavori o di così detti specialisti.
Seguendo tali premesse il lavoro dello storico diviene un fattore di sviluppo dell’identità e un riferimento per un processo educativo.
Questa impostazione appare chiara nella Introduzione e nella Conclusione con le quali l’autore ha sentito il bisogno di completare il volume; nel testo egli, dopo aver dichiarato cosa intende per ricerca storica, definisce il lavoro come esperienza profondamente connessa alla sua vita e insieme narrazione il più possibile oggettiva di una vicenda complessa che riguarda tutti noi.
In qualche misura la concezione che il Fadda mostra di avere della storia ha una dimensione religiosa egli intende la ricerca come un’analisi, un tentativo di comprensione del contingente, da indirizzare secondo quelle regole determinate di cui si è detto.
Il significato di questi concetti appare più chiaro nell’analisi del contenuto del testo che, rispetto ai precedenti lavori, appare più organico e critico , si direbbe come la chiave che permette di sciogliere alcuni dei nodi in essi prospettati.
Nei volumi precedenti infatti il si era accontentato di corredare il lavoro di una notevole quantità di materiali documentali la cui comprensione era lasciata al lettore, in questo invece nasce in lui dall’esigenza di utilizzare in modo corretto e produttivo l’enorme massa di materiali che un’instancabile lavoro di ricerca sulla DC gli ha fornito e di trarne una visione ricca di quei significati cui precedentemente mi sono riferito.
Ad esempio in quest’ottica possiamo leggere i suoi frquenti riferimenti all’autonomismo.
Uno dei più complessi aspetti della dimensione culturale del recente libro di Paolo Fadda sulla Democrazia Cristiana è senza dubbio il suo interesse per il problema dell’autonomismo.
Attento al problema, egli lo affronta cercando sempre di collegare la sua esperienza politica ad una riflessione di carattere storico.
La azione politica in materia di autonomismo trae gli spunti più autentici e originali dalla battaglia che condusse in relazione al problema della Rinascita e dai suoi interventi sull’argomento, nel periodo in cui si andò delineando il fallimento del primo Piano di Rinascita.
Nel pensiero di Fadda, infatti, in quegli anni che precedettero e seguirono tale fallimento si andò delineando la convinzione che esso non potesse essere attribuito solo alla mancanza di una corretta valutazione delle circostanze legate alla lotta politica, ma anche e soprattutto alla carenza di una approfondita analisi del concetto di autonomismo.
Nel testo Fadda storicizza il problema servendosi della narrazione delle vicende del partito per sottolineare che dalla loro analisi emerge un’ incapacità di instaurare un corretto rapporto tra l’ordinamento giuridico dello stato e le aspirazioni che stanno alla base dell’autonomismo.
L’analisi degli ostacoli, che impedirono alla DC di trovare soluzioni pari alle aspirazioni di alcuni dei protagonisti del suo dibattito interno e di centrare gli obiettivi politici che si era prefissa col Piano di Rinascita, divenne così l’argomento che maggiormente lo interessa e che lo spinge a sviluppare riflessione di più ampio respiro.
Egli sembra convinto he il maggiore ostacolo allo sviluppo dell’autonomismo non provenga un problema esclusivamente sardo, ma fosse da identificare nella ritardata attuazione del dettato costituzionale in materia di autonomia, per cui la DC sarda si trovò spesso in panne dopo che il processo di attuazione delle regioni a statuto ordinario si bloccò.
Da questa intuizione Fadda trae ispirazione per una valutazione delle conseguenze che la stasi istituzionale ebbe sulla realtà sarda e sull’evolversi del dibattito politico all’interno del partito.
Dopo che il sistema delle regioni a statuto ordinario fu avviato, i termini del problema appaiono al nostro autore in maniera diversa e lo portano ad affermare che le prospettive dell’autonomismo sardo sono intimamente connesse all’estrema fase di evoluzione della vita del partito.
E’ probabilmente la consapevolezza della mutata prospettiva politica che lo induce ad estendere la sua riflessione alla storia, alla rivisitazione delle radici più profonde dell’autonomismo nella nostra cultura.
La vastità e il respiro entro i quali egli colloca la sua analisi degli aspetti politici dell’autonomismo è un esempio di quanto precedentemente detto, aiuta a capire la sua necessità di collocare la riflessione politica entro un quadro di riferimento storico.
La storia della Democrazia Cristiana quindi non diventa solo narrazione del cammino per così dire interno al sistema economico dell’isola, cioè dell’esperienza specifica coglibile dagli addetti ai lavori, ma diventa anche narrazione dei suoi rapporti con le altre componenti della società in una dinamica di “incontro scontro”.
Il libro che Paolo Fadda ha scritto con grande pazienza e con rigore scientifico ci pone alcuni interrogativi intorno alla storia intesa come spiegazione o interpretazione delle azioni umane.
I problemi che affronta, le soluzioni che propone, il metodo di lavoro del quale si serve ci inducono a ripensare ad alcune prospettive che a loro tempo posero gli Annales.
Si colloca quindi nell’ambito di quei lavori che portarono a termine una complessa rivoluzione storiografica il cui carattere è l’estrema dinamicità.
Il proposito dei ricercatori degli Annales era stato quello di sollecitare il ritrovamento e l’utilizzazione di ogni specie di documento per autare la comprensione della storia intesa come come indagine su tutti i modi e su tutti gli aspetti del vivere umano.
Questo nuovo lavoro di Fadda può essere ricondotto a questo tipo di problematica; egli propone così l’uso delle fonti storiche, dei documenti dei materiali in una prospettiva che va oltre i confini cui la storiografia economica come era avvenuto in molta parte dei suoi scritti.
Il materiale documentale che ha utilizzato viene da lui interpretato e valutato; per fare questo egli fa ricorso alla sua cultura e la suaformazione.
Così la sua capacità di interpretare i documenti dei quali si serve lo pone nella condizione di ricostruire il fatto considerato e di valutarlo dando risposte ai suoi travagli ideali e spirituali.
Sotto questo profilo il metodo proposto dal Fadda può essere avvicinato a quello dei ricercatori degli Annales e gli ha certamente consentito di completare il lungo cammino sul quale ha indirizzato il suo sforzo di ricercatore.
Nel contesto del suo lavoro inoltre Fadda sembra voler ricordare che è anche vero che l’uso di questi metodi non sorretto dallo spirito critico può portare all’insorgere di nuovi schematismi vuoti e senza significato.
Il contenuto di questa sua nuova fatica, per così dire è cresciuto dai risultati dei suoi studi precedenti, dalla necessità di inquadrare il processo di evoluzione economica da lui descritto nei precedenti lavori in un contesto di riferimento oiù vasto che non fosse circoscrivibile entro schemi tradizionali.
E’nata la necessità di sistemare progressivamente questi materiali nuovi in una prospettiva duplice:
ricostruire la storia della Democrazia Cristiana e del suo rapporto con le istituzioni, per così dire dall’interno, descrivendone i suoi travagli, con le discussioni interne con la sua ricerca di una linea di azione per realizzare i propri obiettivi.
Ricostruire le vicende dei singoli centri delle singole realtà in cui il partito era articolato, in altri termini ricondurre ad una macrostoria tante piccole microstorie.
Si tratta di un vasto e organico discorso che con elegante maestria conduce il lettore attraverso un cammino inusuale.
Appare chiaro che il libro si colloca nell’esigenza di dare conto al lettore degli interessi che Fadda ha coltivato da sempre e che sono la proiezione del suo impegno nel campo della ricerca storica che è diventata la ragione autentica della sua vita.
La verifica delle condizioni politiche n base alle quali il partito è nato, la ricerca della spiegazione per cui è divenuto una realtà, le ragioni delle sue dimensioni e della sua capacità di incidere nella società sono i filoni entro i quali si dipana la narrazione.
Così la struttura e la vita interna del partito divengono un documento del contesto politico e del livello di evoluzione sociale che ne hanno consentito la costituzione della DC e si lega a tutte le altre chiavi di lettura che permettono allo storico di spiegare la cultura e la civiltà di un popolo in un determinato momento storico.
Attraverso questo tipo di riflessione l’analisi della nascita della DC diviene uno strumento tangibile della storia sociale ed economica di un popolo.
Infatti il lavoro di Fadda appare orientato a dare al lettore un quadro completo e dinamico dell’impegno politico dei cattolici in Sardegna e ricostruisce così alcuni aspetti non molto conosciuti della più recente storia dell’isola.
Contribuisce così ad arricchire di una nuova prospettiva il dibattito sull’identità riuscendo a calare il problema trattato in un contesto che lo pone in relazione con una realtà più vasta senza però che ne venga snaturato o smarrito lo specifico contenuto.
Dall’analisi del contenuto del testo appare chiaro che la DC la sua vita in Sardegna hanno caratteristiche originali.
La sintesi che l’autore compie permette di collocare il libro nel più vasto contesto del dibattito storiografico sulla Sardegna che si è manifestato nel XX secolo. In questo la ricerca storiografica sarda ha ottenuto un risultato considerevole,quello di riuscire a comunicare col resto del mondo, parallelamente la cultura italiana ed europea si sono scrollate di dosso pregiudizi e immagini convenzionali e affrontano con rigore i problemi della storia dell’isola.
Se il mito dell’isola primitiva tanto caro ai viaggiatori romantici pare definitivamente tramontato,la difficile collocazione dell’isola nell’ambito della realtà italiana (denigratori,esaltazioni acritiche),lo stretto legame tra ricerca storica ed altre discipline scientifiche e la politica hanno fatto nascere nel corso del secolo una consapevolezza nuova ed orientato in modo originale il paziente sforzo degli intellettuali sardi.
Tentare di collocare il libro di Fadda in questo panorama comporta una riflessione su alcune delle posizioni che esso ha assunto nel corso del Novecento.
A mio parere la lettura del testo di Fadda ne richiama tre:
a)La tesi elaborata da Giovanni Lilliu che nel 1973 nel suo La costante resistenziale sarda la sintetizzò affermando che: “La Sardegna,in ogni tempo,ha avuto uno strano marchio storico:quello di essere stata sempre dominata(in qualche modo ancora oggi) ma di aver sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata per secoli la mano oppressiva del colonizzatore,a cui ha opposto sistematicamente il graffio della resistenza.”
Il richiamo a questa concezione permette
rebbe,secondo l’autore,di individuare una costante che serve per la lettora delle radici dell’autonomismo elaborato dalla D.C., una sorta di filo conduttore, una continuità storica di un patrimonio culturale specifico che altrimenti sarebbe stato disperso.
Riferendosi a questa suggestiva teoria le basi culturali della DC secondo il Fadda sarebbero riferibili a due culture sviluppatesi ciascuna in ambiti precisi quello interno resistenziale,quello esterno coloniale.
b) Il pensiero di Antonio Pigliaru si basa sull’interpretazione sociologistica di un complesso di usi e tradizioni che il filosofo definisce “codice barbaricino”.
c) Molti studiosi in questi ultimi anni hanno affrontato una riflessione sui contenuti dell’autonomia facendo emergere la necessità di un ripensamento e di una ricostruzione storiografica dell’intera vicenda autonomistica in relazione all’esigenza di ridefinirne i contenuti legislativi,di ottenere una maggiore libertà di scelta politica ed economica,di sviluppare un nuovo modello di programmazione.
Accanto a temi di natura socio politica questi studiosi trattano temi culturali riguardanti la lingua e le tradizioni:va delineandosi un movimento culturale neosardista che va oltre la logica dei partiti politici riproponendo il problema dell’autonomia anticipatore di analoghi movimenti che in altre regioni d’Italia si sono sviluppati.
Il contenuto dell’opera di Fadda è collocabile entro questo ultimo gruppo; la sua riflessione in merito alle dinamiche della DC in Sardegna lo porta ripetutamente a collocarsi entro quel filone di ricerca storica che tende a riconsiderare ed approfondire il senso della storia della Sardegna in rapporto ad un mondo più vasto, così nel narrare le vicende della DC non perde mai di vista ciò che in seno al partito si verifica nella penisola.
La fine del partito come Fadda la descrive e gli eventi dei quali siamo testimoni spingono con crescente intensità a soffermare la nostra attenzione su opere come questa.
Infatti essa pone in conclusione al lettore un interrogativo al quale dovrà rispondere: la D:C. fu un èpartito di cattolici animati dall’aspirazione ad animare la vita civile dei valori del Cristianesimo senza cdere in una dimensione clericale o totalizzante.
Il suo patrimonio culturale fu rigorosamente laico specie se consideriamo il modo come si pose nei confronti della realtà sarda; la sua esperienza si è conclusa, possiamo oggi pensare a fare un’esperienza analoga ?
L’esigenza di dare una risposta a questo interrogativo è indubbiamente sentita, si pone al centro di un dibattito animato e complesso che caratterizza la riflessione sulla condizione umana e sempre più appare come base per affermare noi stessi in rapporto agli altri.
L’autore non das una risposta a questo interrogativo ma la sua lunga riflessione sullo specifico che la DC ha mostrato in Sardegna sembra volerci dire che l’identità i può essere considerata come il riconoscimento del diritto di un uomo a qualificarsi per ciò che è, in relazione ai suoi simili e in relazione alle condizioni della propria esistenza.
Infatti in un mondo sempre più uniforme, nel quale sembra non esistano più distanze, prospettive differenziate e esperienze particolari, appare sempre più evidente la necessità di riflettere alle conseguenze di questo processo.
E’ una realtà che comunemente definiamo mondializzazione e che ha delle conseguenze in ciascuno di noi nel campo della nostra cultura, del nostro impegno politico e sociale, nell’ambito della nostra dimensione esistenziale ciascuno di noi dopo aver letto il libro di Fadda può tentare di dare una risposta al dilemma.
Per aiutarci in questo possiamo riferirlo ad una situazione complessa inquadrabile in quattro prospettive:
un divario crescente tra la parte ricca e la parte povera del mondo che potrebbe trasformare il processo della mondializzazione in una nuova egemonia politica ed economica;
il manifestarsi sempre più evidente di uno squilibrio sociale tra ricchi e poveri; il pericolo che questa situazione si traduca nell’instaurarsi di una dipendenza culturale e spirituale;
il pericolo che il processo di egemonia culturale in atto sia amplificato in conseguenza dell’enorme dilatazione del ritmo della comunicazione .
Di fronte a ciò la lettura dell’opera di Fadda appare in grado di aiutarci a verificare se siamo in grado in qualche modo di evitare le conseguenze negative di un processo di globalizzazione senza controlli, attraverso il consapevole uso della nostra dimensione identitaria e il patrimonio dell’eredità cristiana.
Nel chiudere queste riflessioni sull’opera di Paolo Fadda mi sia consentito di affermare che il libro conduce ad affermare che implicitamente il motore di questo processo è l’identità intesa come coscienza politica che si esprime e si muove come impegno al di fuori degli schemi tradizionali.
Il testo invita ad uscire dalla crisi di valori e sembra invitarci a impostare scelte politiche adeguate alle esigenze attuali.
Il dibattito sull’autonomismo e sul federalismo sembra inaridito, la riflessione che nasce da una corretta impostazione critica del nostro patrimonio identitario sembra definitivamente svanita.
Il libro sembra concludersi con l’invito alla ricerca delle condizioni attraverso le quali la coscienza ritrovandosi, divenga nuovamente capace di proporre progetti politici adeguatamente incisivi.