Andar per chiese antiche: il Santuario di Sant’Ignazio da Laconi_a cura di Anna Palmieri Lallai
Sono sempre più convinta che Cagliari, oltre ad a essere una bella città, ricca di storia millenaria e di bellezze naturali, sia anche “fortunata” perché, negli anni, diversi religiosi che ne hanno respirato l’aria sono stati beatificati e canonizzati, lasciando tracce indelebili della loro presenza terrena nella nostra fede. E una grande prova l’abbiamo avuta di recente, l’11 maggio, quando ancora una volta, a distanza di ben 242 anni, ci siamo riuniti in preghiera davanti al sepolcro di Sant’Ignazio da Laconi (1701-1781), ubicato in un’apposita cappella della chiesa cagliaritana dei frati Cappuccini, sita nella parte alta rocciosa di Stampace. La chiesa, depositaria di tanta fede e religiosità, è una delle chiese più care e amate dai cagliaritani e non solo.
Da sempre officiata dai frati francescani Cappuccini, così chiamati dal cappuccio del loro saio marrone, che li differenza dai francescani Minori (OFM) e dai Conventuali (OFC) col saio nero, la chiesa fin dal 1573 è arroccata nel versante occidentale della città, dove i religiosi ebbero dalle autorità cittadine un terreno quasi campestre, extra muros, allora ben lontano dal centro abitato.
Qui i frati edificarono dapprima il loro convento e, nel 1591, la chiesa, che venne eretta sui resti di grotte puniche, cave poi sfruttate dai Romani e,nel sec.XVII, dagli stessi religiosi, che, senza mai risparmiarsi, le utilizzarono per la sepoltura degli appestati durante il periodo del grande flagello che, a più riprese, aveva colpito l’Isola e la città.
La chiesa, più volte modificata sia all’esterno che all’interno, fu da subito dedicata a Sant’Antonio di Padova, come risulta da una lapide marmorea murata sulla destra, entrando, e come appariva nella grande scritta che correva lungo l’arco trionfale dove si leggeva la dedicatoria D.O.M. et D.Antonio Patavino Dicata. Solo più tardi, in seguito alla beatificazione, nel 1940, e alla canonizzazione, nel 1951, di S.Ignazio da Laconi, che qui “riposa” in eterno, la chiesa viene comunemente denominata e conosciuta come Santuario di S.Ignazio, dando anche l’omonimo toponimo al viale su cui si affaccia. Il prospetto primitivo, dalla forma quadrangolare, con coronamento finale arricchito da merli, riscontrabili ancora nelle chiese di S.Bartolomeo e di S.Benedetto o del Buon Pastore, dove in passato era ubicato il noviziato dei Cappuccini, è stato più volte trasformato, assumendo, verso il 1950, l’aspetto attuale che, come i precedenti, s’intona perfettamente con l’acclarata semplicità francescana, che mai ostenta inutili esuberanze architettoniche.
Il prospetto ampliato, realizzato in blocchi di pietra calcarea chiara, si eleva a salienti con terminale a capanna e una semplice croce in ferro all’apice. Presenta tre ingressi (concetto trinitario), preceduti da pochi gradini. per superare il dislivello stradale, sovrastati da lunette che racchiudono delle figure relative alla vita del Santuario. Quello centrale, principale, più ampio, con modanatura e timpano curvilineo, racchiude il mezzo busto di Fra Ignazio, raffigurato come para circanti, in tessere musive policrome del trevigiano Angelo Gatto, autore di tutti i mosaici presenti in chiesa. Gli altri, più ridotti nelle dimensioni, raffigurano S.Antonio di Padova e S.Francesco, figure emblematiche del mondo spirituale francescano. In asse col portale principale, un oculo custodisce all’interno l’effigie di Cristo Pantocratore, realizzato ugualmente in mosaico.
Sul retro, sulla destra, s’innalza un piccolo campanile a vela, difficilmente visibile, mentre una cupola su tamburo esagonale si eleva in direzione del presbiterio e tre cupoline evidenziano le tre cappelle laterali destre.
Ma è appena si entra che si percepisce che qui si respira un’aria ricca di spiritualità, dove si prega in religioso silenzio, dando alle parole e agli sguardi il valore dell’invocazione e del proprio credo. L’interno, piccolo e raccolto, a navata unica voltata a botte con sottarchi e cornicione che ne sottolinea il perimetro, è affiancata da due navatelle laterali introdotte da arco a tutto sesto e tre cappelle sulla destra. Il presbiterio rettangolare, poco sopraelevato, leggermente più stretto rispetto all’aula e con ampio arco trionfale a tutto sesto, è sovrastato da una cupola. Anche l’altare maggiore, con paliotto marmoreo realizzato nel 1745 dal comasco Domenico Andrea Spazzi, profuma di santità perché ricopre un sarcofago strigilato che contiene le reliquie di sei martiri, con effigie nei medaglioni (S.Giovanna, S.Vittoria, S.Agata, S.Furio, S.Bonifacio, S.Benato), rinvenute durante i ben noti scavi effettuati in città nei pressi della Basilica paleocristiana di San Saturnino per volere del nostro arcivescovo Francisco De Esquivel. nella prima metà del 1600. Nel presbiterio si ammira un interessante, quanto originale tabernacolo ottagonale, a più piani, che, riecheggiante il grande tabernacolo d’argento della nostra Cattedrale, fu realizzato da un confratello con l’utilizzo di diversi legni di pregio, chiaro richiamo alla natura tanto amata da S.Francesco, il primo santo ecologista della storia. Anche la parete di fondo ci regala la bellissima immagine di S.Francesco che abbraccia il Cristo in croce, emozionante simbologia per indicare la rinunzia di Francesco ai beni terreni per abbracciare la più umile vita religiosa. La chiesa custodisce tante opere d’arte di alto valore sia artistico che religioso come un emozionante Ecce Homo, la statua in alabastro della Madonna della Consolazione, che, come detto, apparve e parlò al giovane novizio Ignazio tra il 1721-22, una tela di “S.Sebastiano curato da Santa Irene”, attribuito a Orazio De Ferraris, custodita nel coro e tanto altro. Ma, naturalmente, la vera ricchezza della chiesa non è rappresentata dai dipinti, altari o statue, ma dalla scia di luce lasciata tra queste sacre mura da alcuni cappuccini, la cui presenza è più viva che mai.
Qui, infatti, si prega davanti al sepolcro del Beato Fra Nicola da Gesturi (1882-1958), traslato nel 1980 dopo aver avuto sepoltura fin dal 1958 nel Cimitero Monumentale di Bonaria, dove una lastra lo ricorda nel loculo che lo ha ospitato per ben 22 anni e dove ancora i devoti sostano in preghiera e portano il loro omaggio floreale.
Qui si prega in doveroso raccoglimento ai piedi del simulacro di Sant’Ignazio da Laconi, le cui reliquie sono custodite in una teca vetrata attorniata da sei candidi angeli marmorei, oranti e genuflessi, tre per lato, mentre la cappella sulla sinistra che la ospita riproduce in mosaico scene del mondo sardo, dovute all’arte del trevigiano Angelo Gatto. Questa meravigliosa opera, che rende onore a S.Ignazio, fu realizzata dopo il 14 maggio 1940, anno della beatificazione, quando le sue reliquie furono esumate dalla cripta sottostante dove furono custodite per ben 159 anni.
Poco oltre la mia emozione deve contenersi nel vedere la celletta che, tra tanta semplicità, ha ospitato per lungo tempo l’umile servo di Dio allora fra Ignazio. Ma prima di lasciare questo tempio che trasuda solo di sacralità mi attardo un attimo davanti al grande Crocifisso che, sempre sulla sinistra, precede il grande affresco realizzato nel 1993 dall’artista di Monserrato Gianni Argiolas, raffigurante una lunga processione di fedeli che, in preghiera, quasi in pellegrinaggio, si snoda dal Santuario verso l’alta rocca, mentre sullo sfondo è riprodotto l’inconfondibile golfo di Cagliari.
Ma la scena è anche un’originale sintesi della vita conventuale perché, fra i tanti personaggi, vengono raffigurati, oltre lo stesso artista, dei frati che hanno fatto la storia del santuario, come Fra Ignazio, fra Nicola, fra Nicolò da S.Vero Milis, Fra Lorenzo da Sardara che ci ha lasciato nel 2016 e che oggi riposa nella cappella dei religiosi, sita nella parte alta del Cimitero di Bonaria, mentre un ultimo grato pensiero lo rivolgo a fra Nazareno da Pula, altro servo di Dio, morto in odore di santità, in città, nel 1992 venendo accompagnato da una folla di devoti in lacrime verso il Cimitero di Bonaria per essere poi traslato il 22 maggio 1994 nella sua Pula, nel Santuario della Madonna della Consolazione, voluto dallo stesso cappuccino in ricordo della visione di S.Ignazio. Questo e tanto altro è il vero valore del nostro Santuario, dove, come mi sussurrava il rimpianto P. Alberto Cogoni, rettore della chiesa francescana di S.Rosalia, il Signore sceglie sempre gli “umili” per esaltare la Grandezza divina. Onore alle sue parole!