Marzo 11, 2025

A Cagliari nel cuore della Settimana Santa_di Giampaolo Lallai

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I riti della Settimana Santa sono tuttora molto vivi a Cagliari. L’approssimarsi della Pasqua segna un susseguirsi di eventi, per certi versi anche spettacolari, ma legati comunque alla vigente liturgia, che i cagliaritani d.o.c. non sono disposti a perdersi per nessuna ragione.

In tanti assistono, in particolare, alle processioni che si svolgono nei quartieri storici della città, ma soprattutto in quello di Villanova, vero depositario di queste antiche ed autentiche espressioni di fede, che le ha mantenute in vita tutte: da quella di apertura, detta dei Santi Misteri, a quella conclusiva, rincontro tra Gesù e la Madonna, del giorno di Pasqua. Marina e Stampa ce, fino a qualche anno fa, avevano conservato, invece, solo rincontro; ma ultimamente è maturata l’intenzione di riprendere alcune vecchie manifestazioni ormai da tempo cadute in disuso.

Ma anche qualche quartiere moderno ha da poco voluto istituire rincontro contribuendo così a dare maggiore rilevanza e diffusione alla tradizione di origine spagnola.

Per rivivere in pieno l’atmosfera mistica e struggente della Settimana Santa occorre, quindi, recarsi nel quartiere di Villanova. Qui si trovano l’Arciconfraterni- ta della Solitudine, fondata nel 1603, e l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso (o del Santo Cristo), del 1616, che da quattro secoli, promuovono ed organizzano, ognuna per proprio conto, distinte processioni che partono, e vi ritornano, dalle rispettive sedi: la Chiesa di San Giovanni, nell’omonima via, per la prima; l’oratorio dell’attigua chiesa di San Giacomo, nella piazzetta dedicata a questo Santo, per la seconda.

La Confraternita della Solitudine, divenuta Arciconfraternita nel 1878, aveva tra i suoi scopi precipui la redenzione degli schiavi e l’assistenza ai condannati a morte. Inizialmente era ospitata nell’ormai scomparsa chiesa di San Bardilio martire, retta dai Padri Trinitari, situata all’incirca nella zona dell’attuale piazzale del cimitero di Bonaria, a quei tempi molto lontana dalla cinta di mura cittadine.

A questa Confraternita, denominata “della Solitudine” in ricordo del solitario dolore della Madonna per la morte del Figlio, il governo spagnolo ordinò, sin dal momento della sua istituzione, di sovrintendere ai riti della Settimana Santa e, in particolare, alla processione che da detta chiesa si recava in Duomo, il Venerdì Santo. Proprio l’eccessiva lunghezza del percorso di tale processione indusse i confratelli, con il consenso dell’Arcivescovo di Cagliari e l’approvazione di Papa Innocenzo XII, a trasferire, nel 1697, la loro sede nella più vicina chiesa di San Giovanni. Mantennero, però, il simbolo della croce greca rossa ed azzurra dell’ordine trinitario che ancora oggi campeggia sull’abito centratemele costituito dalla tunica e cappuccio bianchi e dal cordone ai fianchi del quale pende un grosso Rosario in legno.

Il grande ed artistico Crocifisso che con commovente venerazione e partecipazione popolare viene portato in processione, fu miracolosamente salvato dal terribile incendio che nel 1750 distrusse la chiesa di San Giovanni. E’ opera di un bravo artista spagnolo, ignoto, del XVII secolo, e venne donato all’allo- ra Confraternita dal governo iberico. Ha gli arti completamente snodabili; ciò consente la sua deposizione dalla croce (Su scravamentu) che avviene ogni anno in Cattedrale. Il viso esprime la profonda sofferenza patita per redimere l’umanità; colpisce per i tratti molto realistici e fortemente drammatici che inducono alla meditazione ed alla preghiera. La folla gli si avvicina con immutato fervore religioso per toccarlo, per implorare una grazia, per chiedere perdono dei peccati e delle miserie quotidiani.

Altrettanta intensa commozione suscita il simulacro della Vergine Addolorata vestita a lutto, anch’essa portata in processione. Nel suo volto la tristezza ed il composto dolore per la morte del Figlio innocente, che la cattiveria degli uomini ha mandato sulla croce; nelle mani giunte vi è, invece, la rassegnazione alla volontà di Dio ed alla realizzazione del Suo Piano in Terra. Alla Vergine Addolorata è dedicato il settenario che comincia il sabato precedente la Settimana Santa: si recita il Rosario e vengono cantati is attiti- dus, i lamenti funebri.

I preparativi per la processione iniziano la Domenica delle Palme: il grande Crocifisso viene trasferito dalla cappella che lo ospita per l’intero anno a quella vicina all’Addolorata, mentre i confratelli pregano e cantano in coro.

II mercoledì successivo le consorelle lo ripuliscono e lo cospargono con oli profumati.

Le giornate di venerdì e sabato sono quelle più cariche di suggestione e di religiosa partecipazione popolare. La processione alle 13 in punto parte dalla chiesa di San Giovanni per salire in Castello e portare il Crocifisso in Cattedrale. E’ preceduta dal suonatore di tamburo che con cadenze precise, alternate a pause ugualmente misurate, crea un’atmosfera lugubre e di alta drammaticità che il silenzio generale, quasi irreale, della folla che gremisce le stradine contribuisce ad esaltare. Seguono due stendardi neri con i simboli della Passione ed i lampioni dorati. Poi è la volta delle consorelle, in abito nero e col viso interamente ricoperto dal velo, anch’esso nero. Ognuna porta nella mano destra un cero. Disposte in doppia, lunga fila, recitano il Rosario guidate dalla priora che sta al centro, preceduta dalla portatrice della Croce Penitenziale. Anche i confratelli, che vengono immediatamente dopo, sono in doppia fila ed hanno al centro il loro presidente.

Il passaggio del Crocifisso rappresenta il momento di maggiore commozione: è sorretto dalle mani pietose dei confratelli che, a gara, contendono questo privilegio, come quello del trasporto dell’Addolorata, ai soci della Società del Cristo costituita appositamente per regolare i turni tra i moltissimi che vi aspirano. Il Crocifisso procede lentamente sotto un baldacchino color avorio, con frange dorate, ricoperto dai fiori gettati dai fedeli che assistono alla processione dalle finestre e dai balconi delle loro abitazioni. In diverse parti del percorso, ad esempio all’inizio della via Mazzini, vi è l’usanza de sa ramadura\ i fiori vengono cosparsi anche per terra prima che vi transiti il corteo religioso.

Segue il folto gruppo dei cantori, propriamente denominati cantoris de Cida Santa, anch’essi con la tunica ed il cappuccio bianchi, ripartiti in anziani, giovani e fanciulli, ma anche a seconda del rispettivo timbro di voce: bassi, baritoni, tenori, soprani (le voci bianche dei bambini). Di questo coro, davvero atipico, si può far parte, infatti, fin da piccolissimi: man mano che la voce evolve con il passare degli anni e che muta con l’età, si viene assegnati alle sezioni corrispondenti. Vi sono, quindi, bassi, ormai anziani, che militano nel coro sin dalla prima infanzia. Sono proprio loro e, in particolare, i così detti capi massa, che tramandano oralmente i testi e la musica.

I brani, in lingua italiana, fanno riferimento ai diversi momenti della Passione di Gesù. Sono molto ricchi di espressività e vengono eseguiti a voce spiegata, a boxi prena, con eccezionale maestria, ma senza alcuna ricerca di effetti particolari o di specifiche raffinatezze. Il continuo e repentino intrecciarsi delle note molto acute con quelle incredibilmente gravi, conferisce ai singoli canti una coinvolgente connotazione di struggente suggestione che tocca in profondità l’animo dei presenti e induce a commozione. In punti prestabiliti del lungo percorso, illuminati da appositi fari, la processione effettua delle soste per consentire l’esecuzione di questi bellissimi canti che risuonano anche a molta distanza nelle viuzze dei quartieri attraversati.

A chiudere il corteo è l’Addolorata: è preceduta da due bambini che impersonano San Giovanni e la Maddalena ed è seguita dal sacerdote e da una folla di fedeli in preghiera.

II Crocifisso deve arrivare in Cattedrale prima delle ore 15 e dev’essere ripreso, per rientrare nella chiesa di San Giovanni, alla stessa ora dell’indomani, sabato. In caso contrario ne diverrebbe proprietaria la Cattedrale. Così vuole una antichissima consuetudine. Pertanto il Crocifisso resta in custodia del Capitolo Metropolitano per una notte. Nella mattina del sabato si svolge il rito, anch’esso molto seguito, de su scravamentw. il Cristo viene schiodato, deposto dalla croce e, poi, adagiato nell’apposita lettiga dorata. Nel primissimo pomeriggio i confratelli sono pronti a portar via il venerato simulacro che ripercorre, così, le tortuose stradine del Castello e di Villanova, sfiorando, però, anche Marina: parte di via Manno e via Cima.

Il sopraggiungere della sera conferisce alla processione del rientro aspetti ancora più emozionanti: vengono accesi i ceri che le consorelle recano in mano, mentre la lettiga, coperta di candidi veli, che trasporta il Cristo Morto, è illuminata da una luce fioca che contribuisce a rendere più lugubre la drammatica scena; una lampada evidenzia con maggiore realismo il volto triste e mesto dell’Addolorata. Il silenzio partecipativo dei presenti è adesso davvero totale. Il buio dominante, le ombre inquietanti, il cupo rullare del tamburo, le note sublimi degli impegnatissimi cantori, le preghiere dai toni più supplichevoli, accrescono la pia tensione generale e favoriscono il devoto raccoglimento. E’ difficile non sentirsi profondamente toccati; molti volti si rigano di lacrime.

Identici sentimenti ed uguale coinvolgimento suscita anche l’altra processione, quella organizzata dall’Arci- confraternita del SS. Crocifisso, negli stessi giorni di Venerdì e Sabato Santo e quasi in contemporanea. Come già detto, parte dall’oratorio di piazza San Giacomo e vi ritorna l’indomani. La chiesa da raggiungere è, però, quella di San Lucifero, nell’omonima via, dove il Crocifisso sosta per una notte. Qui, il Sabato mattina, si svolge il rito de Su scravamentu.

Anche questa processione richiama tantissimi fedeli ed è composta dal Cristo Morto, dall’Addolorata e dai confratelli, dalle consorelle e dai cantori che, quanto a bravura, sono sullo stesso, elevato piano di quelli di San Giovanni. Tra i due gruppi vi è, peraltro, una soffusa ma sana “rivalità” che induce entrambi al massimo impegno per far maggiore presa sugli attenti e competenti ascoltatori pronti a stilare immediatamente simpatiche classifiche. Tra questi sono molti coloro che, stante la quasi concomitanza delle due processioni, passano dall’uria all’altra proprio per non perdersi nessuno dei canti e cogliere le sottili, sostanziali differenze di esecuzione e farne oggetto di lunghe ed appassionate discussioni per un intero anno. L’Arciconfraternita del SS. Crocifisso, sin dalla fondazione, ha tra i suoi fini principali, oltre l’assistenza verso i poveri, i bisognosi e gii ammalati, la recitazione del Miserere (il primo venerdì di ogni mese) e della preghiera per le anime del Purgatorio (nei sabati della Quaresima) e la celebrazione della festa della Croce (in maggio ed in settembre). Ebbe un ruolo di rilievo, nel novembre del 1618, nella traslazione solenne delle reliquie dei martiri cagliaritani dalla chiesa di San Lucifero alla cripta della Cattedrale.

I confratelli indossano una tunica con cappuccio bianchi ed un cordone in vita da cui pende il Rosario. Lo stemma, in origine, riproduceva una corona di spine; oggi, invece, la Croce del Calvario dalla cui base si dipartono tre frecce.

L’Arciconfraternita ha il grande merito di aver tenuto in vita, seppure con qualche periodo di pausa, non solo la processione del Venerdì e del Sabato Santo, ma anche quella dei Santi Misteri che si svolge il venerdì precedente la Domenica delle Palme. Vengono portate in processione le statue dei Misteri, appunto, che rappresentano i vari momenti della passione di Gesù Cristo. Alcune sono opera dello scultore di Senorbì Giuseppe Antonio Lonis: gli furono commissionate nell’agosto del 1758. Durante l’anno sono custodite nei locali dell’oratorio.

I simulacri che sfilano sono sette: Gesù che prega nell’orto, la sua cattura, Cristo legato alla colonna, i’Ecce Homo, la caduta del Cristo, il Crocifisso e l’Addolorata. Tra la cattura ed il Crocifisso i confratelli portano una grande Croce di legno. Sicuramente non è del Lonis la statua che raffigura Gesù catturato. Quella scolpita dall’artista sardo, infatti, andò distrutta dal fuoco di una candela che con imperdonabile imprudenza una donna lasciò accesa proprio accanto ad essa.

Il corteo religioso, preceduto anch’esso dal suonatore di tamburo, parte dall’oratorio di San Giacomo alle ore 16 e, dopo aver raggiunto le chiese di San Mauro, delle Cappuccine, di Sant’Anna, di Sant’Efisio, di Sant’Antonio, di San Domenico, in ognuna delle quali entra uno dei sette Simulacri, ritorna all’oratorio.

Un’altra processione dei Santi Misteri venne organizzata fino agii anni Sessanta dalla Congregazione degli Artisti che aveva la sua sede nella chiesa di San Michele, retta dai Padri Gesuiti. Si svolgeva sin dal 1586, anno di fondazione della Congregazione, il Martedì Santo e andava dalla Chiesa di San Michele alla Cattedrale. Venivano portate le statue che rappresentavano gli stessi soggetti della processione del SS. Crocifisso, con la sola differenza che al posto del Cristo caduto, vi era il Cristo Portacroce. I Simulacri vennero commissionati ugualmente al Lonis tra il 1797 ed il 1798.

Quest’anno la processione viene finalmente riproposta, dopo ben trentasei anni, organizzata non più dalla Congregazione degli Artisti, ma dai Gesuiti e dal comitato stampacino “Cuccu- rus cottus day1’. Verranno interessate le chiese di Sant’Anna, Sant’Antonio, Cattedrale, Santa Rosalia, Santo Sepolcro, Sant’Efisio e San Michele.

Un’altra significativa innovazione è quella voluta dall’Arcivescovo di Cagliari Mons. Giuseppe Mani e riguarda la tradizionale processione che nella Domenica delle Palme si recava dalla chiesetta di Santa Lucia, in Castello, alla Cattedrale. Quest’anno il corteo, subito dopo la benedizione delle Palme e dei rametti d’ulivo, si recherà, in forma solenne, dal Duomo alla basilica paleocristiana di San Saturnino, in piazza San Cosimo, dove verrà celebrata la Santa Messa. Un evento che da parrocchiale diventa cittadino.

Tra le tradizioni della Settimana Santa vi è l’allestimento dei Sepolcri (Is Mo- numentus) nelle chiese: sono adornati con su nennerì, gli steli di grano fatti germogliare al buio e quindi pallidi ed esili come quelli cresciuti nel Sepolcro del Cristo. I fedeli ne visitano sette tra la tarda serata del Giovedì Santo e la mattinata di Venerdì. Da qualche anno ha ripreso a visitarli anche Sant’Efisio il cui simulacro parte dalla chiesetta dì Stampace dopo le ore 20 e raggiunge in processione, a cura dell’Arcicon- fraternita del Gonfalone (fondata nel 1538), le chiese di Sant’Antonio, delle Monache Cappuccine, di San Giovanni, di Santa Rosalia, di Sant’Anna e l’oratorio di San Giacomo. In ognuna delle chiese effettua una breve sosta. La statua, per l’occasione con pennacchio e mantello nero, è quella del Lonis; la stessa che nel giorno del Lunedì dell’Angelo (Pasquetta) viene portata, nella prima mattina, in Cattedrale dai confratelli del Gonfalone (con il loro caratteristico abito: tunica e copricapo azzurri e mantellina bianca) per esaudire il voto della cittadinanza cagliaritana riconoscente per l’intercessione di Sant’Efisio contro il tentativo di sbarco dei francesi nel gennaio del 1793. La stessa Arciconfraternita organizza, per il Venerdì Santo, anche la processione del Cristo Morto che si snoda in un breve percorso per le vie del quartiere di Stampace.

A questa lunga Settimana, carica di tristezza e di toccanti manifestazioni di fede e devozione, fanno riscontro gli attesi riti del giorno di Pasqua, ricchi, al contrario, di gioia per il rinnovarsi della Resurrezione. Le campane, mute per l’intera Settimana di Passione e sostituite da is matraccas, vengono finalmente sciolte (scapia- das) e riprendono a suonare a festa. Forse meno di una volta e con minore brio e vivacità, dato che attualmente quasi tutte sono azionate da moderni congegni elettronici, privi, però, di anima musicale. I bravi campanari di un tempo sono, purtroppo, quasi tutti scomparsi o comunque sono stati messi da parte. Chi ha avuto la fortuna di sentirli all’opera non ha certo dimenticato is arrepicus che caratterizzavano il Gloria’, un inno di gioia che si levava alto e si spandeva per tutta la città, invitando tutti ad un sincero, vicendevole augurio di Bona Pasca. La Pasqua oggi è meno chiassosa, ma pur sempre momento di allegria. I più tradizionalisti non si perdono s’In- contru, I’ Incontro tra la Madonna e Cristo risorto.

Il più seguito è quello che si svolge nel quartiere della Marina. I due simulacri della Madonna, vestita a festa, e del Cristo risorto escono in processione rispettivamente dalla chiesa di San- t’Eulalia e del Santo Sepolcro e arrivano nella via Roma da parti opposte, portati a spalla dai fedeli. Giunti a qualche centinaio di metri si salutano con degli inchini, molto attesi dai presenti, e procedono sino ad incontrasi per poi tornare, insieme ed affiancati, nella chiesa di Sant’Eulalia.

All’ incirca alla stessa ora (tra le undici e mezzogiorno), si svolgono, con analoghe processioni, altri due Incontri: uno nel corso Vittorio Emanuele, a Stampace, e l’altro in via Garibaldi, a Villanova. Per il primo la Madonna parte da Sant’Anna ed il Cristo da Sant’Efisio; per il secondo la Madonna e Gesù escono dalla chiesa di San Giacomo e dall’attiguo oratorio e fanno rientro a San Giacomo.

A medas annus si augurano i cagliaritani rientrando alle loro case per il tradizionale pranzo pasquale. E qualcuno, tenendo in vita un’antica usanza familiare, provvede, con gioia e soddisfazione, a togliere l’ultimo dei sette piedi a sa pipia de Caresima, il simbolo in carta della Quaresima appeso alle pareti domestiche. La Pasqua ha posto termine al lungo periodo penitenziale e finalmente sa pipia, domenica dopo domenica, est abarrada sentz’ ‘e peis!

Fotografia di Maurizio Artizzu

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