Joyce Lussu: “Emilio te lo racconto io”_di Giorgio Ariu

“Era un uomo profondamente ottimista, aveva fiducia nelle masse; il primo giudizio che dava, per chiunque, era sempre benevolo. Di buona compagnia e di facile comunicativa, aveva un fascino particolare che era semplicemente la sua umanità, la disponibilità per tutti i problemi degli altri. Delusioni? Non direi: le delusioni sono la conseguenza delle illusioni e lui illusioni non ne nutriva, come diceva Luigi Russo, era uno scettico entusiasta, ossia non c’era in lui nessuna ingenuità».
Chi parla così, allora ad un anno dalla morte del marito Emilio, è la moglie Joyce. Accettò eccezionalmente di essere intervistata, a un patto: purché non si facesse operazione di mera esaltazione e quindi di imbalsamazione del «compagno» Emilio. Il taglio delle sue risposte, delle osservazioni e sottolineature era sereno, pacato ma fermo, deciso, come di chi è avvezzo a badare all’osso delle cose.
«Emilio vedeva le cose duramente e spietatamente, però anche riducendo all’osso il problema dell’uomo, rimaneva questo osso prestigioso, molto esaltante che è l’uomo. Per cui il fatto di non essere ingenui, di non farsi illusioni non gli toglieva l’entusiasmo. C’era in lui diffusa l’amarezza di vedere che le cose andavano troppo lentamente, che bisognava attendere per certe scadenze. Però in prospettiva c’era sempre l’ottimismo».
Per la sua Sardegna cosa avrebbe desiderato di diverso?
«Certamente una storia diversa in questo dopoguerra, e anche durante la resistenza questo non è accaduto, anche se certe cose sono destinate a realizzarsi dopo la sua scomparsa e non durante la sua vita. Rimpianti? Nessuno. Certo, amava la campagna e ci andava spesso: non è che si privasse di ciò che voleva fare. Gli è dispiaciuto non poter finire la sua vita ad Armungia. Ma a Roma stava scrivendo il libro sulla difesa di Roma: consultazioni di biblioteche, archivi, contatti. La casa al villaggio poi era una casa nuragica, senza acqua corrente, molto pittoresca, del tutto priva di comodità e molto fredda, con scale su e giù, molto faticosa ed inagibile per uno malato come lui».
La signora Lussu torna spesso in Sardegna, nonostante gli impegni accanto ai popoli in lotta per la liberazione e per la realizzazione di un mondo nuovo: come ritrova oggi le masse, i giovani e soprattutto le donne?
«Per la Sardegna c’è da sperare che la nuovissima generazione si ricolleghi alle esperienze popolari rivoluzionarie del passato, le riprenda e le porti avanti: è il filone storico della presa di coscienza del popolo sardo, perché l’autonomia venga intesa come capacità di gestire se stessi. In tutta l’isola specie nei centri minori, ho avvertito una ripresa tra i giovanissimi. Anche le donne hanno fatto degli immensi passi avanti specie sulla presa di coscienza contro l’assetto capitalistico dell’economia e della società con le sue sovrastrutture. Questo compromesso storico con i cattolici: ma poi chi sono? Cosa vuol dire? Ma…, se significasse un certo tipo di ideologia che rivela il trascendente…! Dico, le donne fanno bene a buttar tutto nell’immondezzaio, fanno bene a rigettare visioni di valori barbarici, primitivi. Non si può essere cattolici ed essere per l’emancipazione della donna. Di tutta questa tradizione dobbiamo liberarcele completamente: è incompatibile con qualsiasi sviluppo, sia per l’uomo che per la donna».

E delle punte femministe cosa pensa?
«Secondo me il movimento femminista ha il difetto di essere appunto femminista. Ossia dì derivare da una tradizione anglosassone interclassista: tutte le donne contro tutti gli uomini. Sarebbe più giusto partire da una posizione classista e dalle tradizioni delle lotte contadine e operaie in Italia. Riguardo alla questione femminile prima della prima guerra mondiale le posizioni del vecchio socialismo erano più avanzate di quelle dei partiti di sinistra di oggi. Tutto era più avanzato: il movimento socialista, l’immissione della donna nella produzione, le loro lotte, il fatto che avessero superato anche il nodo religioso perché i vecchi socialisti non si battezzavano, non si sposavano in chiesa, facevano i funerali con le bandiere rosse. In questo dopoguerra nonostante la forte partecipazione della donna alla resistenza c’è stata una involuzione. Perciò direi che il recupero della questione femminile va fatto nella lotta di classe e non attraverso lo specifico femminista».
Qual’è l’insegnamento che le ha lasciato?
«Ho vissuto accanto a lui e quindi ho avuto i grandi vantaggi che derivano dalla vita di un uomo in cui non c’è differenza tra vita pubblica e vita privata, sempre coerenti al suo indirizzo ideologico.
Certo, se io sono stata anche moglie lui è stato anche marito e padre, pure se non considerava una necessità avere dei figli. È stato padre affettuosissimo e attento e marito profondamente compagno e amico. Si è posto il problema cosa vuole dire avere un figlio, allevarlo, come si poneva tutti i problemi che gli si presentavano, piccoli e grandi, in chiave politica, in forma culturale, morale ideologica, con una coerenza che era appunto di ogni aspetto della sua vita. Non c’era differenza alcuna di linguaggi e di comportamenti tra uomo pubblico e uomo privato: questa caratteristica del militante moderno e del rivoluzionario moderno è anche una costante del modo di intendere la storia. La storia non è soltanto quello che fa la gente, anzi una minoranza di gente, ma quello che la gente è globalmente, ecco l’uomo che ha una coscienza moderna cerca di capire la storia come fatto globale. Emilio Lussu era un uomo moderno.
Per lui la vita presentava sempre aspetti nuovi ed interessanti, non si attardava sul passato in forma nostalgica, era sempre più interessato all’avvenire. Di qui la fiducia sconfinata nei popoli, nelle masse, nei lavoratori. Dato che lui aveva questa grande maturità, io imparavo sempre, ma tutti, reciprocamente, ci diamo dei contributi, non è che si possa tenere un registro… Lui aveva soprattutto il pregio di farmi vedere per vie più brevi tante cose, mi spianava la strada perché certe esperienze le aveva già fatte. La coerenza, ancora, rende la vita molto più gradevole, anche meglio vissuta, perché la gente oggi cade in contraddizioni drammatiche, penosissime, non riesce a districarsi, sta male, vive male e non sa perché. Cercate di semplificare, di capire in fondo come in realtà si può vivere meglio, con rapporti più giusti, più umani, sereni con se stessi, col mondo esterno, e poi si campa meglio come ha campato Emilio: è una vita più gioiosa, più viva, più entusiasmante. E allora se si è capito qualcosa di tutto ciò lo si fa, non si fa della retorica. Si cerchi di padroneggiare la vita e di non subirla schiavisticamente.

Nonostante fossi la compagna di Emilio Lussu ho fatto delle cose diverse, mi sono occupata del terzo mondo, di internazionalismo, di rapporti con la situazione rivoluzionaria del mondo, oggi mi occupo di storia, spero di riuscire a scrivere una storia della Sardegna, del popolo sardo, perché è opera che non è stata mai fatta. Ma mi interessa la storia della Sardegna come quella delle Marche, del Trentino. Ecco anche queste cose Emilio condivideva: perciò siamo stati sempre bene insieme».
Qualcuno cerca di ricordare Emilio Lussu esaltandolo come letterato, come scrittore: è una palese operazione strumentale che tende a chiudere il personaggio politico in spazi angusti...
«Certamente, per lui lo scrivere era una forma di comunicazione come un’altra, lo strumento per comunicare. Come si fa a distinguere? Cultura e politica sono la stessa cosa: l’uomo è cosciente di come convivere con gli altri, muoversi storicamente su questo pianeta è fare politica. Poi lo stile di Emilio non è classificabile come scrittore nei filoni libreschi. Lo stile di Emilio deriva piuttosto dai racconti che faceva suo nonno analfabeta accanto al focolare. C’è questa capacità enorme di narrativa del popolo specie di quello delle campagne».
Emilio Lussu ha sofferto negli ultimi tempi della sua esistenza; qual’è il ricordo di questo periodo?
«Certo, non è piacevole per nessuno indebolirsi fisicamente, non poter fare più tutte le cose che si faceva quando si era forti, ma dico, questo per un uomo saggio ed equilibrato quale era Emilio è una fase della vita che si accetta con serenità, virilmente, come la morte. La morte fa parte della vita e si accetta, meglio arrivarci con serenità e dignità, senza rimpianti inutili. L’importante è poi avere sempre la mente lucida. Anche per me quella è stata una fase da accettare serenamente, la morte l’ho vista più volte durante la vita, non è una cosa particolarmente angosciosa. Emilio non ha patito delle sofferenze fisiche particolari, si è spento per consunzione, diciamo. Pesava 35-36 kg.
È normale invecchiare, è brutto quando muoiono i giovani, quando avvengono delle forme traumatiche, il normale corso della vita uno lo accetta e ne trae il massimo possibile».