Novembre 21, 2024

Il tormento minerario di Piscinas_di Tarcisio Agus

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Le nostre aree minerarie non hanno mai avuto pace fin dall’era industriale, in perenne conflitto tra le mire economiche dei concessionari ed i diritti dei lavoratori, forza lavoro delle  comunità locali, da troppo tempo in forte affanno per lo scarso reddito ricavato dalle attività agricole.

Lo stipendio mensile aveva dato alla testa a tanti braccianti agricoli, abituati a vedere qualche soldo solo, a s’incungia, al momento del raccolto.

Così la grande industria mineraria assoldava nuove maestranze, impoverendo ulteriormente il mondo agropastorale che perdeva indispensabili braccia con il conseguente abbandono delle terre.

Il nuovo eldorado erano i villaggi minerari, dove i più fortunati potevano trasferire le proprie famiglie in spazi che risultavano poi angusti, perché i nuclei famigliari erano mediamente costituiti da più di tre o quattro unità, retaggio del mondo contadino abbisognoso di tante forze  per le numerose incombenze che il lavoro agricolo ancora richiedeva.

I villaggi più ricchi, per stare vicino al tema di oggi, sono senza dubbio Montevecchio ed Ingurtosu, dove non mancava nulla, come gli empori commerciali, in alcuni casi non solo ubicati nel villaggio, ma anche nei cantieri ove risiedevano i minatori e le loro famiglie, così detti a bocca di miniera, sempre pronti per il lavoro. 

Nella concezione ottocentesca, anche i nostri villaggi minerari rispondevano al concetto dominante che contrapponeva al disordine cittadino dei centri abitati e città, un ordinato sistema abitativo  organizzato e finalizzato al benessere delle comunità, in funzione della produttività.

Oltre gli empori, dove si trovava di tutto, ed alle offerte dei beni di prima necessità, come il pane e la carne, non mancavano i servizi del tutto assenti nei nostri paesi, come il cinema, il teatro, il campo di calcio o il dopolavoro.

Non ultimo, sempre con lo spirito rivolto al benessere delle comunità minerarie, nacquero le colonie marine, la più famosa è senza dubbio la colonia marina di Funtanazza, inaugurata nel 1956 e nella quale furono ospitati i bambini delle maestranza di Montevecchio e successivamente anche quelli  di Ingurtosu, a seguito dell’acquisizione nel 1965, alla Monteponi & Montevecchio, di Ingurtosu e Gennamari, allora in capo allasocietà Pertusola,

Questo comportò l’abbandono della prima colonia marina del territorio arbusrese.

Le miniere di Ingurtosu e Gennamari avevano nella vasta spiaggia di Piscinas, il deposito dei minerali a mare, presso il quale era anche il molo di imbarco. Attraverso le bilancelle carlofortine i minerali venivano prima portati a Carloforte, per essere poi imbarcati sulle navi per il continente. Durante la seconda Guerra Mondiale, anche le produzioni delle miniere di Ingurtosu e Gennamari, si fermarono, così anche l’animazione al molo di Piscinas. Sul finire del 1945, con la cessazione del conflitto mondiale ripresero le produzioni ma non le attività di imbarco attraverso il molo sulla spiaggia, perché, messe a riposo le locomotive Skoda, utilizzate sino ad allora per il trasporto da Ingurtosu a Piscinas, la società decise che il trasferimento del minerale sul continente sarebbe avvenuto con i camion al porto di Sant’Antioco, con imbarco sulla motonave Pertusola I o Pertusola II  e  inviati a La Spezia (Galena) e Crotone (Blenda), sedi delle fonderie della società Pertusola.

L’abbandono delle strutture a mare furono l’occasione per ricavarne il primo centro elioterapico dell’arburese.

In quest’ultimo periodo i due beni minerari che hanno dato ristoro e gioia a migliaia di bambini e bambine non hanno pace. Funtanazza non riesce ad avere un nuovo ruolo, schiacciata fra il desiderio imprenditoriale di una nuova destinazione alberghiera a cinque stelle, che ne sacrificherebbe le forme originali ed il recente vincolo del Ministero dei Beni Culturali n. 149, del  3 dicembre 2020, che la dichiara bene di interesse culturale storico artistico.

Il complesso della ex colonia di Piscinas risulta inserita in un territorio soggetto a diversi ambiti di tutela, come il vincolo paesaggistico delle Dune di Piscinas del 2004; quello di conservazione integrale, con legge regionale n. 45 del 1989, nonché ricadente all’interno del sito di importanza comunitaria Monte Arcuentu e Rio Piscinas della direttiva CEE n.93/43. Non solo, il complesso edilizio della ex colonia venne posto sotto vincolo nel 1984, dal Ministero dei Beni Culturali.

Pur a fronte delle suddette limitazioni, negli anni 90, il colonnello Sergio Caroli con il suo socio  Vincenzo Stefanelli, mettono mano, d’intesa con la Soprintendenza ai Beni Culturali, all’ ex colonia marina, diventato ormai uno dei tanti ruderi di miniera, in parte sommerso dalle sabbie eoliche che  si animano  da sempre nel suggestivo deserto sardo.

Osservando vecchie foto d’epoca, il primo recupero dei magazzini di Piscinas è stato certamente un giusto compromesso fra una struttura industriale, adattata negli spazi a colonia per i bambini prima e a moderno Hotel 3 stelle poi, con tutte le esigenze che questo comportava.

Meta di importanti artisti ed uomini del jet set internazionali che lo avena scelto per l’amena località, ricca di storia e di fascino da stregare chiunque lo frequentasse.

Sergio e Vincenzo, mi permetto di dare loro del tu perché ho avuto modo di conoscerli e di partecipare a diversi incontri con gli illustri ospiti.

Sergio era solito intrattenere gli amici in cordiali e lunghe conversazioni, con racconti, aneddoti e  passioni, che trasmetteva con enfasi narrativa e giovialità, compresa la storia mineraria dei luoghi che conosceva bene, perché figlio di uno degli ultimi importanti direttori delle miniere di Ingurtosu e Gennamari, Antonio Caroli, dal 1948 al 1958.

L’hotel Le Dune – Piscinas

Solitamente gli appuntamenti erano al calar del sole nell’ampio salone sormontato dalle splendidi travi linee, pare provenienti dal restauro della Torre dell’Elefante di Cagliari o nel cortile antistante fronte mare.

Certamente il sodalizio Caroli Stefanelli ha avuto il coraggio di osare, recuperando un irriconoscibile rudere per  trasformarlo in uno scrigno di alto fervore culturale, tanto da far amare il luogo anche ad illustri personaggi come le sorelle Marchesini, in particolare ricordo Anna, colonna portante del celebre trio con Massimo Lopez e Tullio Solenghi, con la sua possente stretta di mano, ogni volta che ebbi la gioia di incontrarla. Il suo amore e quello della sorella Teresa per Piscinas era diventato quasi ossessivo, infatti ogni volta narrava del suo grande desiderio di risiedervi, era interessata al recupero dei ruderi del fabbricato eretto al servizio della diga posta a nord dell’Hotel le Dune, sulla spiaggia. L’importante struttura venne inaugurata il 4 maggio del 1940 dalla Montevecchio, per far decantare le acque di scarico dei cantieri di ponente. Processo necessario a non intorbidire le acque marine, pena l’allontanamento del  passaggio dei tonni, in quanto la tonnara di Flumentorgiu, in quel tratto di mare, calava da sempre le sue reti.

Nella suddetta circostanza riemersero i conflitti che la storia mineraria ci ha tramandato e nulla si compii, così come naufragò l’esigenza dell’Hotel le Dune di ampliare i posti letto ormai divenuti irrisori rispetto alla vasta eco che la struttura aveva raggiunto negli anni. Il progetto che Sergio nel 2006 avanzò, sapendo di non poter aumentare le cubature, naufragò fra le polemiche dei più. Si trattava di un’appendice dell’hotel, costituita da una oasi artificiale con la erezione di otto tende berbere, con tutti i confort. Il duro contrasto che si innescò,  presumibilmente, determinò la dolorosa decisione di abbandonare Piscinas per altra località, oggi sapiamo, altrettanto esotica.

Così l’Hotel le Dune, con tutto il suo fascino e solitudine transitò verso nuovi imprenditori, che da subito pensarono di trasformarlo ulteriormente, per un più alto target turistico e certamente si rendevano necessarie ulteriori rivisitazioni, tanto da candidare la mitica colonia al Fondo di Coesione nell’ambito del Fondo per lo sviluppo e la Coesione 2014 – 2020, con una ulteriore aggiunta finanziaria di risorse private.

Operazione avviata dalla nuova società Le Dune Service s.r.l, alla quale fu assegnato un importo dal  Fondo di circa 7 milioni di euro,  per un totale di investimenti previsti pari a circa circa 10 milioni di euro, con il contributo privato.

Proprio in questo periodo l’Hotel le Dune torna alla ribalta della cronaca per gli imponenti lavori di ristrutturazione  ed espansione a cui è sottoposto, presumo per l’adeguamento al nuovo progetto di Hotel di lusso, voluto dalla nuova proprietà.

La storia si ripete e l’anima conflittuale mineraria riemerge ancora, ponendo in contrapposizione la proposta  della nuova compagine imprenditoriale  e la tutela del bene storico, nonché importante testimone della storia mineraria dei luoghi, tanto caro alle comunità locali.

Ora il problema si pone ed è piuttosto delicato, ma se i lavori in atto sono stati concordati ed autorizzati anche dal Ministero dei Beni Culturali che ha posto il vincolo, così come avvenne con il primo adattamento per dar vita all’ Hotel le Dune, credo che i lavori debbano continuare sino al loro completamento. Solo con il termine dei lavori  potremmo valutare meglio l’intesa raggiunta, presumo nel delicato equilibrio tra l’interesse imprenditoriale e il coerente recupero con i preesistenti caratteri di conformazione territoriale.

Se diversamente i lavori risultassero non autorizzati, andrebbero da subito bloccati e cercata immediatamente quell’intesa necessaria fra gli enti preposti ed il Ministero, per un giusto ed equilibrato compromesso tra conservazione e sviluppo, altrimenti ci ritroveremmo di fronte un nuovo rudere, stavolta non ad opera del tempo, ma per incuria e insipienza umana.

Un’ ultima spiaggia da scongiurare fortemente, sul recupero del patrimonio minerario il territorio si gioca una importante fetta del suo sviluppo.

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