1°Maggio_di Stefania Morgante
Primo Maggio. La mattina è ancora assonnata eppure il sole prepotentemente illumina già le facciate del centro città. Fa caldo, ormai l’inverno è un ricordo lontano. Semmai c’è stato l’inverno. Per me solo un‘idea sfiorata da quando sono qui a Cagliari. La gente non se ne cura, impermeabile all’afa mattutina e brulicante in ogni via antica della città. La gente qui assorbe il sole e si ricarica. Mentre io esaurisco le energie via via che il sole conta le ore. Mi preparo all’evento isolano. Ho molte aspettative.
Me ne parlano da mesi di questo Primo Maggio, e francamente mi pare esagerato questo fervore del narrare da mesi. Vengo dal sud, ho attraversato isole minori e so di sagre e di feste religiose, di statue adornate di fiori, di pianti e di canti, di costumi e incedere lento dietro il santo o la santa di turno. “No, Sant’ Efisio è altro, tu non lo sai, sei forestiera”. Bene, è vero, abito da pochi mesi e non so nulla.
Mi hanno detto di mettermi ai lati di viale Carlo Felice e di attendere. Trovo un posto all’ombra, non riesco a sopportare tutto questo caldo, tutta questa gente. Guardo ammirata la resistenza fisica di tutti, freschi come boccioli all’alba, mentre io ho i capogiri per l’umido rovente. Scende un carro, magnifico. Lento, con i canti che non capisco. I carri sono addobbati dai fiori costruiti in forme geometriche, i buoi sono pieni di ghirlande. Le donne, gli uomini, persino i bambini hanno vestiti antichi e gioielli.
Gioielli degni di una corona europea. Sontuosi, pieni di particolari, incredibilmente barocchi. Gli occhi si perdono alla ricerca dei dettagli. Impossibile capire, troppa bellezza nelle stoffe, nei fiori, negli addobbi. Mi spingono, parlano. Fotografano tutti, commentano, sento lingue straniere e dialetti. C’è un piccolo concentrato di mondo, amplificato dalle televisioni che fanno cronaca. Mi abbandono a guardare i carri, il lancio dei petali, i canti religiosi, i commenti del pubblico. Da dietro sento qualcuno che batte sulla mia spalla con insistenza.
Mi giro seccata e una coppia di anziane mi apostrofa: “mischinedda parli italiano? Vieni su all’ombra che vedi meglio”. -“ signora sono italiana si, grazie salgo” Salgo dunque accanto a loro. Sono organizzate come neanche in un grande concerto a Londra o New York. Cuscini, ombrelli parasole, bibite, fazzoletti, acqua.
Mi parlano incessantemente. Descrivono carri, paesi, colori dei costumi, gioielli, bambini. “Quello è figlio di signora Tiddia, ah no, forse è il cugino della zia Maria, quelli di Selargius, no i Tiddia di Selargius, quelli di Quartu. O forse sono di Gonnosfanadiga?” Confesso che non colgo le sfumature fra signora Tiddia di Selargius e quella di Quartu. Ma ormai so che perdo le sfumature in continuazione da mesi.
Più che altro sono conscia che questo passare dal cagliaritano all’italiano mi fa perdere il senso della traduzione e rimango a metà fra capire e intuire. Di certo mi guardano con tenerezza, come se fossi una marziana appena arrivata da Marte. Ho caldo, sono completamente rintronata e temo di svenire a breve per l’afa e la confusione, anche se mi hanno fatta sedere e mi hanno dato da bere.
Ogni tanto una delle due mi apostrofa scandendo le parole “tu sei veramente italiana? Bellu è fisieddu nostru! Ma perché sei così bianca? Parenti tedeschi hai?” “No, credo di no signora, non mi piace stare al sole, mi stanca”. “Hiiiiii e allora il nostro mare? Se ti stanchi che ci stai a fare qui? Ma ci vai al Poetto? Mischina” Si ci vado ogni tanto, la mattina presto, ma insomma non sono proprio resistente. La sfilata procede per ore, ormai ho gli occhi pieni di colori, di commenti delle due signore, di spinte, di risate, di folle che si spostano lateralmente. E poi musica, canti. Un tripudio di gioielli, di broccati, di carri degni di musei internazionali. All’improvviso cavalli, uomini con la tuba, un salto nel passato, una bellezza che lascia ammutoliti.
Arriva Sant’Efisio. Esclamo entusiasta rivolgendomi in confidenza alle due signore “ma che bello, ma sembra Richelieu che ride!”. Credo di essermele fatte amiche con questa dotta annotazione. Invece mi guardano perplesse, poi sdegnate. Una delle due mi fissa ed esclama: “sei tedesca dentro, non puoi capire”. Passa Sant’Efisio e scendo in strada. Mi sono giocata le due signore per blasfemia. Mi perdoni Sant’Efisio se col baffetto mi ricorda la Francia e le signore. Espierò all’ombra e mi preparerò meglio per il prossimo Primo Maggio.
Illustrazioni di Stefania Morgante