Novembre 24, 2024

Spinti da una brezza leggera_di Silvano Tagliagambe

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A detta di Henri Poincaré i fisici e gli uomini di scienza in generale, hanno una grande virtù: la condensazione. Nella sua opera del 1908 Science et méthode, con un’originalità e una capacità di anticipazione che ancora oggi non cessano di stupire, egli osservava che l’autentico ricercatore, quando si trova di fronte ai dati e alle osservazioni che costituiscono il suo materiale di lavoro deve: “non tanto constatare le somiglianze e le differenze, quanto piuttosto individuare le affinità nascoste sotto le apparenti discrepanze. Le regole particolari sembrano a prima vista discordi, ma, a guardar meglio, ci si accorge in genere che sono simili; benché presentino differenze materiali, si rassomigliano per la forma e per l’ordine delle parti.

Considerandole sotto questa angolazione, le vedremo ampliarsi, tendere a diventare onnicomprensive. Ed è questo che dà valore a certi fatti che vengono a completare un insieme, mostrando come esso sia l’immagine fedele di altri insiemi già noti. Non voglio insistere oltre; saranno sufficienti queste poche parole per mostrare che l’uomo di scienza non sceglie a caso i fatti che deve osservare […]. Egli cerca piuttosto di concentrare molta esperienza e molto pensiero in un esiguo volume, ed è per questo motivo che un piccolo libro di fisica contiene così tante esperienze passate e un numero mille volte maggiore di esperienze possibili delle quali già si conosce il risultato”.

A rendere tutt’altro che banale e anzi di particolare interesse e rilievo questa constatazione è il fatto che, come noto, nell’interpretazione dei sogni Freud considera questa stessa capacità di ridurre considerevolmente il volume delle esperienze, sia di quelle effettivamente realizzate, sia di quelle semplicemente possibili, condensandole e intrecciandole tra loro, il tratto distintivo fondamentale del linguaggio onirico. Uno dei tratti distintivi essenziali del sogno, rilevati da Freud, sta proprio nel fatto che esso “è scarno, misero, laconico in confronto alla mole ed alla ricchezza dei pensieri del sogno”.

Nella condensazione più pensieri latenti vengono rappresentati da un unico elemento del contenuto manifesto, il quale perciò combina insieme, in un’unica rappresentazione, diversi elementi aventi qualche aspetto in comune. Pressoché in tutti i sogni agisce questa forte attitudine sintetica, che raccoglie molti elementi inconsci, cerca analogie e punti di contatto tra di essi per poterli rappresentare in un solo elemento manifesto.

Esiste, di conseguenza, una costante sproporzione tra gli elementi del sogno manifesto, che sono relativamente pochi, e il contenuto latente, che è infinitamente più ricco. Il processo della condensazione, perciò, spiega perché, una volta terminata l’analisi di un sogno, il contenuto latente si riveli sempre molto più lungo e complesso del sogno manifesto, che ne costituisce quindi solo un’espressione abbreviata e concentrata, appunto condensata. Conseguenza della condensazione è che ogni sogno e ogni elemento del sogno contengono una molteplicità di significati: sono cioè sovradeterminati, vale a dire passibili di interpretazioni molteplici e non contraddittorie tra loro.

Non è però questa l’unica analogia tra il sogno e la scoperta scientifica: Freud attira l’attenzione non soltanto sulla condensazione come strumento privilegiato di organizzazione interna e di espressione del linguaggio onirico, ma anche sul sogno come traduzione di avvenimenti che si svolgono ai margini dell’attenzione in immagini visive che espandono improvvisamente, in senso positivo o negativo, il campo della coscienza.

Dunque condensando si può espandere, tante vero che nel sogno non ci sono solo ricordo e previsione, ma anche la possibilità di porsi nei riguardi dell’esistenza in modo nuovo e creativo; in un modo che può ridefinire, modificandola, la struttura stessa dell’esistenza e ampliarne gli orizzonti e le prospettive. Proprio come avviene nell’azione dell’uomo di scienza, per il quale la concentrazione di molta esperienza e molto pensiero in un esiguo volume non è mai fine a se stessa ma è propedeutica, anche in questo caso, a un’azione espansiva, cioè al proposito e allo sforzo di arrivare a nuove scoperte.

Se mi sono soffermato su questa analogia è perché l’autore del racconto di viaggio che segue, Franco Meloni, è al contempo “fisico e narratore”, come egli stesso ama definirsi, scienziato ma anche appassionato ed esperto di letteratura e di arte, cultore competente dei rapporti tra arte e scienza e delle relazioni tra i rispettivi linguaggi, problemi sui quali è intervenuto a più riprese e sempre con notevole sagacia.

Qui la sua capacità di “condensare espandendo” si manifesta in tutta la sua forza ed efficacia, tratteggiando in modo conciso le tappe di un pellegrinaggio nella Terra promessa per gli ebrei, oggi teatro di una guerra infinita tra i costruttori di una nuova nazione dal nome antico, Israele, e le popolazioni palestinesi alle quali essi hanno sottratto il loro habitat storico.

Certo il luogo di questo pellegrinaggio si presta bene a questa duplice operazione, visto che si tratta di uno spazio di appena 20.770 km2 con più di 8 milioni di abitanti e, soprattutto, con una densità senza pari di storia, di religione, di cultura, di simboli in cui s’incarnano le travagliate vicende dell’umanità, di incroci tra guerra e pace, tra religioni accomunate dal fatto di essere le tre grandi monoteiste eppure divise da molto, se non su quasi tutto.

L’autore riesce a narrare, intrecciandoli sapientemente e compenetrandoli, i due viaggi che egli ha compiuto in quei giorni. Il primo è il pellegrinaggio nei luoghi fisici e storici, sotto la guida, nello stesso tempo energica e delicata, di un sacerdote vigoroso e arguto, don Vito, salesiano di Ovodda, dal linguaggio ricco di metafore e immagini efficaci quanto fulminanti, come la definizione di Dio, data nel bel mezzo della spinta sferzante di un vento impetuoso, come “brezza leggera” che ci accompagna e sostiene nel nostro vissuto, che ne siamo o no consapevoli.

Il secondo viaggio è l’itinerario all’interno del suo universo interiore di pellegrino, profondamente segnato e scavato dall’ininterrotto susseguirsi di emozioni forti proposte ogni giorno dalle tappe del viaggio, che provocavano, anche in quelli che ostentavano indifferenza, sussulti e scuotimenti energici dell’anima, fin quasi (e a volte senza quasi) a stimolare il pianto, per lo stupore e la morsa interna dalla quale si era afferrati.

Allora il messaggio di questo resoconto di un’esperienza alla quale anch’io ho avuto la fortuna di partecipare e di cui Franco ha avuto il merito di rinfrescare la memoria, facendomelo non tanto ricordare quanto rivivere, con una densità stupefacente e, allo stesso tempo, con rara efficacia, è chiaro.

Ci sono luoghi che, proprio per la carica simbolica e di trascendentalità insita in essi, non è possibile limitarsi ad attraversare e percorrere, a osservare e a contemplare, perché ci chiamano alla Koivovla, che non è pura visione, ma unione e partecipazione, fatta di coinvolgimento e assimilazione, più che semplice espressione di comunicazione e scambio.

E ci sono viaggi, come quello ricostruito e narrato qui, che ci rendono consapevoli che non è possibile autentica conoscenza degli ambienti in cui si svolgono senza l’elaborazione, da parte di chi li compie, del proprio universo interiore e del «filtro creativo», costituito da esso, attraverso il quale passa necessariamente ogni modalità e forma di rappresentazione di quegli ambienti.

Il cerchio, però, non si chiude qui: i significati profondi dei luoghi visitati e delle esperienze vissute retroagiscono su quel filtro, dilatandone le maglie e permettendo un afflusso più intenso e massiccio di stimoli e di emozioni, che modificano per sempre il “paesaggio interno” deI viaggiatore. E appunto in questo modo che cerchio chiuso su se stesso, si trasforma in quella “spirale in espansione”di cui si parlava, producendo un ampliamento e un arricchimento dei cuori e delle menti che permane come segno tangibile e irreversibile della magica esperienza vissuta.

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