Novembre 24, 2024

Acquapiana, la porta verso il mondo di Giuseppe Dessì_di Tarcisio Agus

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Nell’imminenza del premio letterario Giuseppe Dessì che quest’anno raggiunge la sua 37° edizione, mi piace ricordare il poeta attraverso uno dei luoghi da lui narrato, Acquapiana.

In questa località, con chiaro riferimento all’abitato di San Gavino, avevano sede la stazione delle Ferrovie dello Stato e quella delle miniere di Montevecchio.

Dall’importante snodo ferroviario Giuseppe Dessì va verso il mondo narrando della Germania, Roma, Firenze, Ferrara, Civitavecchia, di luoghi di Sardegna e di Cagliari, dove ritorna per completare la sua preparazione ginnasiale non senza nostalgia (Da San Silvano): “Quando alla sera passeggiavo per i viali di Buon Cammino, e raccontavo a Giulio, che mi ascoltava distratto, la trama dei Budenbrook, giunti alla rotonda di Golfo degli Angeli, s’apriva ampio e azzurro, e dai fari che già si rispondevano, a intervalli, dalla solitudine del mare, dai monti di Capoterra il mio sguardo abbracciava con un breve giro la vasta catena del Linas in fondo alla quale, insignificante per tutti gli altri, tranne che per me e per qualche recluta di San Silvano consegnata nella caserma Carlo Alberto, si distinguevano contro il cielo splendente le due cime nere e aguzze dell’Arcuentu fatte dallo stesso buio greve delle altre montagne”.

La stazione regia di Acquapiana nasceva con la realizzazione del tratto ferroviario Villasor – San Gavino, entrato in esercizio il 3 settembre 1871, che la univa a Cagliari e quello di San Gavino – Oristano, entrato in esercizio il 15 Gennaio 1872, che la univa a PortoTorres.

San Gavino Monreale – Stazione

L’intera rete ferroviaria isolana per la sua realizzazione costò alla Sardegna la rinuncia di 200 mila ettari di foreste, parte delle quali ricadevano anche sul territorio già compromesso di Parte d’Ispi, in quando le foreste di Norbio, nel periodo compreso tra il 1743 ed il 1810, divennero importante fonte di energia per alimentare la fonderia Mandel, presso il rio Leni.

Con la legge del 2 febbraio 1865, oltre all’abolizione degli ademprivi e delle cussorgie, si assegnarono alla Regia Compagnia delle Ferrovie di Sardegna, sulla base dell’articolo n. 2, 200.000 ettari di boschi, mutando così lo sfruttamento indiretto del territorio di proprietà pubblica da parte delle comunità locali in favore di proprietà private. Fu l’inizio di un ulteriore colpo alla biodiversità dell’isola aggravata anche dal fatto che i nuovi padroni non si attennero alle prescrizioni vigenti: “.. non potranno essere recisi, disboscati, o dissodati senza l’adempimento delle formalità prescritte per i boschi comunali dalle disposizioni forestali in vigore … o che saranno sancite” (Art.32).

Il beneficiario di quella infausta assegnazione fu il Sig. Gaetano Semenza di Londra ed i suoi consoci (società divenuta successivamente Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde). La rete ferroviaria regia, abbisognosa di milioni di traversine dove fissare i binari e gli alberi da sacrificare erano a portata di mano: querce, roverelle e lecci; legno perfetto per quella base che avrebbe sopportato intemperie, vibrazioni e attacchi parassitari nel tempo, al posto delle instabili e morbide traversine di pino sino all’ora utilizzate. Inoltre la ferrovia diventava anche lo strumento per il trasporto del pregiato legname e del carbone da esso ricavato per lontane destinazioni.

La contropartita data alle Ferrovie Reali per la realizzazione dell’importante infrastruttura non sarebbe stata condivisa da Giuseppe Dessì, vista la “coscienza ecologica” a più riprese espressa dai suoi personaggi e delle comunità di Parte d’Ispi.

Così scriveva in Paese d’Ombre, ultima opera che oggi compie il 50° dalla prima pubblicazione: “La salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare, specialmente dopo l’unificazione del regno”.

Acquapiana divenne, se pur a caro prezzo, la porta principale di Parte d’Ispi per il mondo e quella d’ingresso per Norbio e San Silvano.

Certo essi non immaginavano che noi preferivamo andare a San Silvano in treno e trovare Elisa ad Acquapiana ferma accanto al deposito dell’acqua, tutta chiusa nella sua pelliccia; non immaginavano che la corsa in auto attraverso la campagna buia e le strade illuminate dai fari, il tè accanto al fuoco e le lunghe chiacchierate, tutte cose a noi molto care un tempo, non valevano quegli incontri con Elisa”.

Acquapiana era un’importante snodo per l’economia di Parte d’Ispi, tanto che nel 1873 la società mineraria di Montevecchio dava inizio alla costruzione della ferrovia a scartamento ridotto di rimpetto a quella delle Ferrovie Regie. L’opera avrebbe sostituito i lunghi trasferimenti dei minerali con centinaia di carri a buoi al porto di Cagliari.

Altrettanti carri si muovevano dalle miniere di Montevecchio verso la fonderia sul rio Leni che aveva contribuito con la costruzione delle Ferrovie Reali a minare l’equilibrio ecologico di Parte d’Ispi: “… Passarono davanti alla fonderia, che da qualche tempo aveva ripreso a funzionare e sporcava il grigio cielo autunnale con la fumata fuliginosa della sua ciminiera che si rovesciava sugli orti di Leni….”“… In realtà l’ingegner Ferraris si trovava a Norbio con l’incarico di sollecitare la consegna di mille cantara di legna necessari alle Reali Fonderie della zona; e l’Intendente Generale aveva mandato lui perché era un uomo energico, capace di farsi obbedire. Qualche anno prima era riuscito a farsi consegnare la legna dal Consiglio comunitativo minacciando di requisire buoi, cavalli, carri e di far tagliare la foresta dai forzati che lavoravano alle sue dipendenze nelle miniere dell’Iglesiente. ..”

Il paesaggio dello scalo di Acquapiana si mantiene ancora pressoché inalterato,costituito dalle due stazioni, quella regia e quella privata della miniera di Montevecchio, con l’imponente serbatoio che sovrastava e ancora sovrasta la vecchia stazione, presso la quale Elisa aspettava l’arrivo dei fratelli.

Così descriveva lo scalo nel 1881 Enrico Costa, nella sua guida racconto “Da Cagliari a Sassari e viceversa”: “Due stazioni si trovavano qui di fronte: quella modestissima delle ferrovie sarde, e quella della società delle miniere di Montevecchio, vestita di bianco e decorata con liste color di rosa, come una bella fidanzata nel giorno delle nozze”.

I tratti ferroviari che avevano con la fonderia rappresentato il progresso tecnologico dell’ottocento si rilevarono negativi per il depauperamento del vasto patrimonio boschivo anche se arricchivano di nuove infrastrutture Parte d’Ispi, seguite poi nel novecento dalle Ferrovie Complementari di Norbio. Nello scenario di Acquapiana le Complementari entrarono nel gioco dei paesaggi immaginari o riconosciti dal Dessì attraverso lo scalo privato della miniera di Montevecchio.

In San Silvano le ferrovie Complementari sono citate più volte:

Poi nel lungo rettilineo di Acquapiana, che io e Giulio, nella buona stagione, facevamo spesso per andare a passare la domenica a San Silvano, l’aspetto di quella campagna familiare unita nella memoria al ricordo delle gite di fine settimana e degli incontri con Elisa, che non mancava di venire a prenderci fino a quella stazione col trenino delle Complementari, snebbiò l’immagine di mia sorella, che in quei due anni di distacco quasi cruccioso mi si era un poco offuscata nella memoria; e la rividi come se l’avessi davanti a me, sul sedile di fronte, con la sua lunga persona ossuta, col suo viso magro e intelligente, così diverso dal mio e nel quale tuttavia m’è dato specchiarmi;…” “Credo che non ci siamo mai abbracciati, in quegli incontri, anche quando eravamo più piccoli, o per lo meno non ricordo che ci siano mai state fra noi le solite manifestazioni esteriori d’affetto, ma ricordo invece la gioia con cui attraversavamo i binari per andare dalla stazione delle Ferrovie dello Stato a quella delle Complementari, la gioia con cui rivedevamo il nostro trenino”.“Il trenino di Pontario partì. Io e Maria avevamo preso posto nello scompartimento di prima classe e Rita in quello di terza, benché non ci fossimo che noi due nello scompartimento di prima. Io pensai come si sarebbe comportata Elisa in un simile caso, se avrebbe fatto viaggiare anche Rita in prima oppure no. Considerando quello scompartimento di prima classe, che da tanto tempo non rivedevo, pensai che poteva somigliare a un salotto di San Silvano, con quelle trine bianche sul velluto vinoso dei divani; i quadretti reclamistici alle pareti potevano anche simulare, nell’ombra, vecchie fotografie di famiglia; e trovai giusto, in fondo, che Rita viaggiasse nello scompartimento di terza, che quella sera, non essendo sabato, doveva essere vuoto e freddo, o se non giusto, fatale, giacché non ricordavo di aver mai visto una donna come Rita seduta con noi nel nostro salotto”.

L’autore conobbe e sicuramente utilizzò le ferrovie a scartamento ridotto, chiamate Complementari, perché Norbio, il 21 giugno 1915, divenne capolinea delle Ferrovie Complementari del tratto Isili-Villacidro.

La ferrovia Isili-Villacidro, con la diramazione Villamar-Ales fu affidata per la sua realizzazione alla “Società per le Ferrovie Complementari della Sardegna” (FCS). Sembrerebbe che i primi passeggeri ad inaugurare la nuova tratta siano stati i militari del primo conflitto mondiale. Il tratto Villamar -Ales, che si intersecava con l’Isili-Villacidro, servì anche il vescovo della diocesi Ales-Terralba, in particolare nel periodo estivo quando si trasferiva nel seminario vescovile a Villacidro, in posizione salubre rispetto all’episcopio alarese. La nuova opera ferroviaria permetteva inoltre lo scambio con le Ferrovie Reali presso la stazione di Sanluri Stato. Il tratto ferroviario rimase in esercizio per 41 anni ed il 5 settembre del 1956 cessò la sua funzione in favore delle autolinee.

Il quadro rappresentato dal Dessì di Acquapiana meriterebbe d’esser conservato come il luogo della memoria, nonostante oggi abbia perso le sue funzioni sia pubbliche che private ma ancora si legge quell’atmosfera indelebile narrate dal poeta:“Alla stazione d’Acquapiana, quando il treno cominciò a rallentare e il serbatoio dell’acqua, simile a un grande e rozzo pulpito, e il giardinetto coi fiori bruciati dal vento intorno allo zampillo secco apparvero dietro gli eucalipti, il desiderio di vedere e baciare il viso di Elisa mi destò repentinamente dalla mia fantasia. Senza neppure guardare dal finestrino per farle un primo saluto, preparai le valigie, e, aperto lo sportello, le buttai giù non appena il treno fu fermo. C’era un venditore ambulante di castagne e di noci, due carabinieri, tre ragazze accanto alla pompa, e il capostazione. Solo dopo un poco vidi uscire con molta flemma dalla sala d’aspetto Maria e dietro di lei una donna che portava il pesante e dignitoso costume nero delle vedove di Parte d’Ispi. Elisa non c’era”.

Acquapiana è parte importante di quel viaggio geografico e del paesaggio della memoria, fonte di infiniti ricordi che il Dessì ha evocato nelle sue narrazioni ed in parte percorso da Angelo Uras e l’ingegner Ferraris.

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