Novembre 21, 2024

C’era una volta in Sardegna la Democrazia Cristiana: tutti figli di un’altra politica_di Francesco Floris

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Il volume di P. Fadda C’era una volta in Sardegna la DC analizza  le vicende della Democrazia Cristiana in Sardegna in una prospettiva che, come lo stesso autore scrive non vuole essere una storia, o almeno, un libro di storia.

L’analisi del suo contenuto ci fa intuire come  la scrittura sia mossa da  una continuità di ispirazione che trova le basi nella esperienza di vita dell’autore, per anni testimone non secondario delle vicende dello scudo crociato nell’isola, e in  quella propensione naturale verso la ricerca storica.

Il più recente lavoro di Fadda  si colloca  nella prospettiva storiografica  che lo ha portato, fin dai primi scritti pubblicati a partire dalla metà degli anni Ottanta del secolo passato,  a voler affrontare ed approfondire congiuntamente i problemi della società e della cultura sarda  tra Otto e Novecento, e del suo sviluppo fondendoli in un unico contesto entro il quale tenta la ricostruzione di un periodo tra i più complessi della storia dell’isola.

Il libro in termini generali si pone come punto di riferimento  e di sintesi ai temi che l’autore ha avuto modo di trattare in La borghesia industriale sarda tra ricostruzione e rinascita (1944-1960), Avanguardisti della modernità e Le economie urbane nella Sardegna contemporanea apparsi tra il 1998 e il 1999 e nello specifico avvia il superamento un vuoto storiografico che sulle vicende dei partiti politici in Sardegna e sulla DC in particolare è notevole. 

Per quanto riguarda la DC infatti finora la storiografia  si è mostrata interessata a studiare il problema delle origini (le opere di F,Fresu e di G.M. Bellu) ed è mancata una trattazione completa delle sue vicende. 

Il libro è diviso in quattro capitoli  preceduti da un’importante introduzione nella quale viene dato conto del significato e della funzione che la DC ha svolto sulla società sarda hanno assunto nel tempo.

Nei quattro capitoli l’autore esamina il  problema a partire dal crollo del regime fascista in Sardegna  fino le ultime vicende che portarono alla dissoluzione del partito.

Ciascun capitolo è  diviso in punti di riflessione in ciascuno dei quali l’autore sviluppa i temi che ritiene qualificanti, il volume è completato da un’appendice  che riporta i dati essenziali sulla fortuna elettorale della Democrazia Cristiana e di un corredo fotografico di grande utilità per il lettore perché da delle indicazioni che completano i riferimenti contenuti nel testo.

Il nodo che fa cogliere l’importanza di C’era una volta la DC in Sardegna  sta  nello sforzo che egli compie  per determinare il rapporto tra  la propria dimensione umana e il suo impegno di ricerca; alla fine del libro infatti egli afferma  che il suo non vuole essere il racconto di un reduce (in riferimento alla sua milizia nel partito)ma un racconto obiettivo che deriva dalla concezione che Fadda ha della storia.

1973: Aldo Moro giunge all’aeroporto di Elmas accolto, da sinistra, da Giovanni Lilliu, Paolo Dettori, Paolo Fadda e Lello Picciau

Da questo punto di vista una riflessione sulla sua concezione della storia è strumento di grande importanza per il lettore in quanto  ha una funzione didattica ed utile per dare alla maggior parte dei lettori una guida alla comprensione dei  problemi che sono l’oggetto del libro.

Vi si coglie come l’autore sia riuscito a rendere organica alla propria vita di uomo impegnato nel settore dell’economia la sua passione per la ricerca storica della quale si serve per confermare e sostenere  i valori che la orientano e per renderne partecipe il suo prossimo.

E’ questa  dimensione che ci spinge innanzi tutto a voler tentare di collocare il suo lavoro nell’ambito del dibattito  sul significato della storia attualmente in corso in Sardegna e fuori.

Il lavoro dello storico  assume i caratteri di uno sforzo  che prende le forme di un racconto nel quale  l’autore narra un’esperienza che appare come  la proiezione della coscienza della propria condizione.

Tre sono gli strumenti  che gli sono necessari per  dar corpo alla sua opera sono: la ricerca come base indispensabile per trovare gli elementi sui quali basare  una narrazione; l’esigenza di avere a disposizione questi  elementi;l ’esigenza di procedere servendosi di regole da seguire con rigore  nella  costruzione  del  testo. 

Il rispetto di queste condizioni fanno del suo sforzo un processo teso al raggiungimento di una consapevolezza  da cui scaturiscono i suoi giudizi e l’armonia della sua trattazione, in altri termini la sostanza  e la condizione  attraverso le quali prende corpo la narrazione che fa.

In questo modo lo storico  da  al testo  frutto della ricerca  alcuni  termini di riferimento costanti:

aver presente un quadro generale entro il quale collocare il suo la sua narrazione; essere sempre animato dalla necessità di rapportare il proprio sforzo alla realtà nella quale opera; evitare di fare della narrazione storica un testo rivolto  ad una cerchia di addetti ai lavori o di così detti specialisti.

Seguendo tali premesse il lavoro dello storico diviene un fattore di sviluppo dell’identità e un riferimento per un processo educativo.

Questa impostazione  appare chiara nella  Introduzione  e nella Conclusione  con le quali l’autore ha sentito il bisogno di completare  il  volume;  nel testo egli, dopo aver dichiarato cosa intende per ricerca storica,  definisce il  lavoro come esperienza profondamente connessa alla sua vita e insieme narrazione il più possibile oggettiva di una vicenda complessa che riguarda tutti noi.

In qualche misura la concezione che il Fadda  mostra di avere della storia  ha una dimensione religiosa egli intende la ricerca come  un’analisi, un tentativo di comprensione del contingente, da indirizzare secondo  quelle regole  determinate di cui si è detto.

Il significato di questi concetti appare più chiaro nell’analisi del contenuto del testo che, rispetto ai precedenti lavori, appare più organico e critico , si direbbe come la chiave che permette di sciogliere alcuni dei nodi in essi prospettati.

Nei volumi  precedenti infatti il si era accontentato di corredare il lavoro di una notevole quantità di materiali documentali la cui comprensione era lasciata al lettore, in questo  invece nasce in lui dall’esigenza di utilizzare in modo corretto e produttivo l’enorme massa di materiali che un’instancabile lavoro  di ricerca sulla DC gli ha fornito e di trarne  una visione ricca di quei significati cui precedentemente  mi sono riferito.

Ad esempio in quest’ottica possiamo leggere i suoi frquenti riferimenti all’autonomismo.

Uno dei più complessi aspetti della dimensione culturale del recente libro di Paolo Fadda sulla Democrazia Cristiana  è senza dubbio il suo interesse per il problema dell’autonomismo.

Attento al problema, egli lo affronta  cercando sempre di collegare la sua esperienza  politica  ad una riflessione di carattere storico.

La azione politica in materia di autonomismo  trae gli spunti più autentici e originali dalla  battaglia che condusse in relazione al problema della Rinascita e  dai suoi interventi sull’argomento, nel periodo in cui si andò delineando il fallimento del primo Piano di Rinascita.

Francesco Cossiga al Quirinale riceve la giunta regionale presieduta dall’on. Mario Floris (con lui gli assessori Antonello Cabras, Emidio Casula, Giorgio Carta e Giovanni Desini)

Nel pensiero di Fadda, infatti, in quegli anni che precedettero e seguirono tale fallimento si andò delineando la convinzione che esso non potesse essere attribuito solo alla mancanza di una corretta valutazione delle circostanze legate alla lotta politica, ma  anche e soprattutto alla carenza di  una approfondita analisi del concetto di autonomismo.

Nel testo  Fadda storicizza il problema  servendosi della narrazione  delle vicende del partito  per sottolineare che dalla loro analisi emerge un’ incapacità di instaurare un corretto rapporto tra l’ordinamento giuridico dello stato e le aspirazioni che stanno alla base dell’autonomismo.

L’analisi degli ostacoli, che impedirono alla DC di trovare soluzioni pari alle aspirazioni di alcuni dei protagonisti del suo dibattito interno e di centrare gli obiettivi politici che  si era prefissa col Piano di Rinascita,  divenne così l’argomento che maggiormente lo  interessa e che lo spinge a  sviluppare riflessione di più ampio respiro.

Egli sembra convinto he il maggiore ostacolo allo sviluppo dell’autonomismo  non  provenga  un  problema esclusivamente sardo,   ma fosse da identificare nella ritardata attuazione del dettato costituzionale in materia di autonomia, per cui  la DC sarda si trovò spesso in panne dopo che il processo di attuazione delle regioni a statuto ordinario si bloccò.

Da questa intuizione Fadda  trae ispirazione per una valutazione  delle conseguenze che la stasi istituzionale ebbe sulla realtà sarda e sull’evolversi del dibattito politico all’interno del partito.

Dopo che il sistema delle regioni a statuto ordinario  fu avviato, i termini del problema appaiono al nostro autore  in maniera diversa e  lo portano ad affermare che  le prospettive dell’autonomismo sardo sono intimamente connesse all’estrema fase di evoluzione della vita del partito.

E’ probabilmente la consapevolezza della mutata prospettiva politica che lo induce ad estendere la sua riflessione alla storia, alla rivisitazione delle radici più profonde dell’autonomismo nella nostra cultura.

La vastità e il respiro entro i quali egli colloca  la sua analisi degli aspetti politici dell’autonomismo  è un esempio di quanto precedentemente detto, aiuta a capire  la sua necessità di collocare la riflessione politica  entro un quadro di riferimento storico.

La storia della Democrazia Cristiana  quindi non diventa solo narrazione del cammino per così dire interno al sistema economico dell’isola, cioè dell’esperienza specifica coglibile dagli addetti ai lavori, ma diventa anche narrazione dei suoi rapporti con le altre componenti della società  in una dinamica di “incontro scontro”.

Il libro che Paolo Fadda ha scritto con grande pazienza e con rigore scientifico  ci pone  alcuni interrogativi  intorno alla storia intesa come spiegazione  o interpretazione delle azioni umane.

I problemi che affronta, le soluzioni che propone, il metodo di lavoro del quale si serve ci inducono a ripensare ad alcune prospettive che a loro tempo posero gli Annales.  

Si colloca quindi  nell’ambito  di quei lavori  che portarono a termine una complessa rivoluzione storiografica il cui carattere è l’estrema dinamicità. 

Il proposito dei ricercatori degli Annales era stato quello di sollecitare il ritrovamento e l’utilizzazione di ogni specie di documento  per autare la comprensione della storia  intesa come  come indagine su tutti i modi e su tutti gli aspetti del vivere umano.

Questo nuovo lavoro di Fadda può essere ricondotto a questo tipo di problematica; egli propone così l’uso delle fonti storiche, dei documenti dei materiali in una prospettiva che va oltre i confini cui la storiografia economica come era avvenuto in molta parte dei suoi scritti.

Il materiale documentale che ha utilizzato viene da lui interpretato e valutato; per fare questo egli fa ricorso alla sua cultura  e la suaformazione.

Così la sua capacità di interpretare  i documenti dei quali si serve  lo pone  nella condizione  di ricostruire il fatto considerato e di valutarlo dando risposte ai suoi travagli ideali e spirituali.

Sotto questo profilo il metodo proposto dal Fadda può essere avvicinato a quello dei ricercatori degli Annales  e gli ha certamente   consentito di  completare il lungo cammino sul quale ha indirizzato  il suo sforzo di ricercatore.  

Nel contesto del suo lavoro inoltre Fadda sembra voler ricordare che è anche vero che l’uso di questi metodi non sorretto dallo spirito critico può portare all’insorgere di nuovi schematismi vuoti e senza significato.

Il contenuto di questa sua nuova fatica, per così dire è cresciuto  dai risultati dei suoi studi precedenti,  dalla necessità di inquadrare  il processo di evoluzione economica da lui descritto nei precedenti lavori in un contesto  di riferimento oiù vasto che non fosse circoscrivibile  entro schemi tradizionali.

E’nata la necessità di sistemare progressivamente questi materiali nuovi  in una prospettiva  duplice:

ricostruire la storia della Democrazia Cristiana e del suo rapporto con le istituzioni, per così dire dall’interno, descrivendone i suoi travagli, con le discussioni interne con la sua ricerca di una linea di azione per realizzare i propri obiettivi.

Ricostruire le vicende dei singoli centri delle singole realtà in cui il partito era  articolato, in altri termini ricondurre ad una macrostoria tante piccole microstorie.

Si tratta di un vasto e organico discorso che con elegante maestria conduce il lettore attraverso un cammino inusuale.

Ariuccio Carta, Emanuele Sanna (del P.C.I, presidente del Consiglio regionale), Francesco Cossiga e Mario Melis (sardista, presidente della regione)

Appare chiaro che il libro si colloca nell’esigenza di dare conto al lettore degli interessi che Fadda ha coltivato da  sempre e che sono la proiezione del suo impegno  nel campo della ricerca storica che è diventata la ragione autentica della sua vita.

La verifica delle condizioni politiche n base alle quali il partito è nato, la ricerca della spiegazione per cui è  divenuto  una realtà, le ragioni delle sue dimensioni e della sua capacità di incidere nella società sono i filoni entro i quali si dipana la narrazione.

Così  la struttura e la vita interna del partito  divengono un documento  del contesto politico e del livello di evoluzione sociale  che ne hanno consentito la  costituzione della DC  e si lega a tutte le altre chiavi di lettura che permettono allo storico di spiegare la cultura e la civiltà di un popolo in un determinato momento storico.

Attraverso questo tipo di riflessione  l’analisi della nascita della DC diviene uno strumento tangibile della storia sociale ed economica di un popolo.

Infatti il lavoro  di Fadda  appare orientato a  dare al lettore un quadro completo  e dinamico dell’impegno politico dei cattolici in Sardegna  e   ricostruisce così alcuni aspetti  non molto conosciuti della più recente storia dell’isola.

Contribuisce così ad arricchire di una nuova prospettiva il dibattito sull’identità  riuscendo  a calare il problema trattato in un contesto che lo pone in relazione con una realtà più vasta senza però che ne venga snaturato o smarrito lo specifico contenuto.

Dall’analisi del contenuto del testo  appare chiaro che la DC  la sua vita in Sardegna hanno caratteristiche originali.

La sintesi che l’autore compie permette  di collocare il libro nel più vasto contesto del dibattito storiografico sulla Sardegna che si è manifestato nel XX secolo. In questo la ricerca storiografica sarda ha ottenuto un risultato considerevole,quello di riuscire a comunicare col resto del mondo, parallelamente la cultura italiana ed europea si sono scrollate di dosso pregiudizi e immagini convenzionali e affrontano con rigore i problemi della storia dell’isola.

Se il mito dell’isola primitiva tanto caro ai viaggiatori romantici pare definitivamente tramontato,la difficile collocazione dell’isola nell’ambito della realtà italiana (denigratori,esaltazioni acritiche),lo stretto legame tra ricerca storica ed altre discipline scientifiche e la politica hanno fatto nascere nel corso del secolo  una consapevolezza nuova ed orientato in modo originale il paziente sforzo degli intellettuali sardi.

Tentare di collocare il libro di Fadda in questo panorama  comporta una riflessione  su alcune  delle posizioni che esso ha assunto  nel corso del Novecento.

A mio parere la lettura del testo di Fadda ne richiama tre: 

a)La tesi elaborata da Giovanni Lilliu che nel 1973 nel suo La costante resistenziale sarda  la sintetizzò affermando che: “La Sardegna,in ogni tempo,ha avuto uno strano marchio storico:quello di essere stata sempre dominata(in qualche modo ancora oggi) ma di aver sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata per secoli  la mano oppressiva del colonizzatore,a cui ha opposto sistematicamente il graffio della resistenza.”

Il richiamo a questa  concezione permette

rebbe,secondo l’autore,di individuare una costante che serve per la lettora   delle radici dell’autonomismo elaborato dalla D.C., una sorta di filo conduttore, una continuità storica di un patrimonio culturale specifico che altrimenti sarebbe stato disperso.

Riferendosi a questa suggestiva teoria le basi culturali della DC secondo il Fadda  sarebbero riferibili a due culture sviluppatesi ciascuna in ambiti precisi quello interno resistenziale,quello esterno coloniale.

b) Il pensiero di Antonio Pigliaru si basa sull’interpretazione sociologistica di un complesso di usi e tradizioni che il filosofo definisce “codice barbaricino”.

c) Molti studiosi in questi ultimi anni hanno affrontato una riflessione sui contenuti dell’autonomia facendo emergere la necessità di un ripensamento e di una ricostruzione storiografica dell’intera vicenda autonomistica in relazione all’esigenza di ridefinirne i contenuti legislativi,di ottenere una maggiore libertà di scelta politica ed economica,di sviluppare un nuovo modello di programmazione.

Accanto a temi di natura socio politica questi studiosi trattano temi culturali riguardanti la lingua e le tradizioni:va delineandosi un movimento culturale neosardista che va oltre la logica dei partiti politici riproponendo il problema dell’autonomia anticipatore di analoghi movimenti che in altre regioni d’Italia si sono sviluppati.

Il contenuto dell’opera di Fadda  è collocabile entro questo ultimo gruppo; la sua riflessione  in merito alle dinamiche della DC in Sardegna  lo porta  ripetutamente  a collocarsi entro quel  filone di ricerca storica che tende a riconsiderare ed approfondire il senso della storia della Sardegna in rapporto  ad un mondo più vasto, così nel narrare le vicende della DC  non perde mai di vista  ciò che in seno al partito si verifica nella penisola.

La fine del partito come Fadda la descrive e gli eventi dei quali siamo testimoni spingono con  crescente intensità a soffermare la nostra attenzione  su opere  come questa.  

Infatti  essa pone in conclusione  al lettore  un interrogativo  al quale dovrà rispondere: la D:C. fu un èpartito di cattolici animati dall’aspirazione ad animare la vita civile dei valori del Cristianesimo senza cdere in una dimensione clericale o totalizzante.

Il suo patrimonio  culturale fu rigorosamente laico specie se consideriamo il modo come si pose nei confronti della  realtà sarda; la sua esperienza si è conclusa, possiamo oggi pensare a  fare un’esperienza analoga ?

Beppe Pisanu, giovane deputato, eletto nel 1972 e riconfermato per quattro successive legislature, sempre nelle liste D.C.

L’esigenza di dare una risposta a questo interrogativo  è indubbiamente sentita, si pone al centro di un dibattito  animato e complesso che  caratterizza  la riflessione sulla condizione umana e sempre più appare come base per affermare noi stessi in rapporto agli altri.

L’autore non das una risposta a questo interrogativo  ma la sua lunga riflessione sullo specifico che la DC ha mostrato in Sardegna  sembra volerci dire che l’identità i può essere considerata come  il riconoscimento del diritto  di un uomo a qualificarsi per ciò che è, in relazione ai suoi simili e in relazione  alle condizioni della propria esistenza.

Infatti in un  mondo sempre più uniforme, nel quale sembra non esistano più distanze, prospettive differenziate e esperienze particolari,  appare sempre più evidente la necessità di riflettere alle conseguenze  di questo processo.

E’ una realtà che comunemente definiamo mondializzazione e che  ha delle conseguenze in ciascuno di noi nel campo della nostra cultura, del nostro impegno politico e sociale, nell’ambito della nostra dimensione esistenziale  ciascuno di noi dopo aver letto il libro di Fadda può tentare di dare una risposta al dilemma.

Per  aiutarci in questo possiamo riferirlo  ad una situazione complessa  inquadrabile in quattro prospettive:

un divario crescente tra la parte ricca e la parte povera del mondo che potrebbe  trasformare il processo della mondializzazione   in una nuova egemonia politica ed economica;

il manifestarsi sempre più evidente di uno squilibrio sociale tra ricchi e poveri; il pericolo che questa situazione si traduca nell’instaurarsi di una dipendenza culturale e spirituale;

il pericolo che il processo di egemonia culturale in atto sia amplificato  in conseguenza dell’enorme dilatazione del ritmo della comunicazione .

Di fronte a ciò la lettura  dell’opera di Fadda appare in grado di aiutarci a   verificare se  siamo in grado in qualche modo di evitare le conseguenze negative di un processo di globalizzazione  senza controlli, attraverso il consapevole uso della nostra dimensione identitaria e il patrimonio dell’eredità cristiana.

Nel chiudere queste riflessioni sull’opera di Paolo Fadda  mi sia consentito  di  affermare  che il libro  conduce ad affermare che implicitamente  il motore di questo processo è l’identità intesa come coscienza politica  che si esprime e si muove come impegno al di fuori degli schemi tradizionali.

Il testo  invita ad uscire  dalla crisi  di valori  e sembra invitarci a impostare scelte politiche adeguate alle esigenze attuali.

Il dibattito sull’autonomismo  e sul federalismo sembra inaridito, la riflessione che nasce da una corretta impostazione critica del nostro patrimonio identitario sembra definitivamente svanita.

Il libro  sembra  concludersi con l’invito alla ricerca delle condizioni attraverso le quali la coscienza  ritrovandosi, divenga nuovamente capace di proporre progetti politici adeguatamente incisivi.

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