Gennaio 3, 2025

Dante descrisse così la Sardegna nella Divina Commedia_di Giovanni Mameli

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Il libro proposto da GIA Editrice, La Sardegna nella “Divina Commedia” e nei suoi commentatori, appartiene al versante per cosi dire letterario dell’attività di Filippo Vivanet. In questo volume pubblicato nel 1879 a Sassari si cerca di fare un inventario minuzioso dei riferimenti alla nostra isola presenti nel capolavoro di Dante. Tali riferimenti compaiono solo nell’inferno e nel Purgatorio (dalla cantica del Paradiso la Sardegna è del tutto esclusa). Il che fa affermare all’autore di questo saggio: Nei pochi punti ove noi entriamo direttamente non e già per intrattenere il lettore di uomini grandi e virtuosi, per dar vita ad immagini giulive e leggiadre ch’egli lo fa, ma sibbene per evocare spiriti tristi di assassini e di barattieri, per distendere sulla sua tavolozza tinte dolorose di delitto e di pena”.

Da questa luce fosca che viene gettata sulla nostra isola (ma Dante non scherza nemmeno quando scocca i suoi strali contro Firenze, Pisa, Pistoia. Siena) non si salvano neppure le donne. Nel XXIII canto del Purgatorio, durante la sua lunga tirata contro le donne toscane, Forese dice della sua moglie Nella:

Tant’ è a Dio più cara e più diletta

la vedovella mia, che molto amai,

quanto in bene operare è più soletta;

che la Barbagia di Sardigna assai

nelle femmine sue è più pudica

che la Barbagia dov’io la lasciai.

Dunque le donne dell’interno dell’isola avevano fama di cattivi costumi, nell’Italia del Medio Evo. Da cosa poteva derivare tale diceria? I commentatori non sono d’accordo sull’argomento. Iacopo Della Lana sostiene che i barbaricini sono sfrenati, senza legge circa i costumi sessuali, praticando lo scambio delle donne con disinvoltura. Un altro commentatore, il Da Bufi, dichiara che i barbaricini vivevano in uno stato selvaggio, andando quasi nudi gli uomini e le donne.

Da dove potevano derivare queste notizie? Già gli antichi scrittori presentarono i sardi dell’interno come ribelli e ostili a qualsiasi forma di penetrazione straniera. A rincarare la dose fu poi il papa Gregorio Magno, che li accusò di vivere nell’ignoranza e lontani dal cristianesimo. “Il fragile seme di civiltà – scrive Filippo Vivanet – che le repubbliche marinaresche e commerciali dei tempi di Dante, anche in mezzo alle interessate vicende della loro politica, dovevano gittare nelle nostre terre migliori, non arrivava a queste fiere popolazioni che respingevano il contatto dell’uomo civile, e delle giogaie in cui vivevano si erano fatti un’isola dentro l’isola”.

A queste dicerie può aver contribuito un uso in voga in diversi paesi della Barbagia sino alla fine del secolo scorso. E cioè il matrimonio veniva celebrato solo dopo un certo periodo di convivenza tra l’uomo e la donna (allo scopo di accertare la fertilità della futura moglie). Di questa prassi c’è un riferimento esplicito anche nelle poesie di Antioco Casula, il maggiore poeta sardo in limba.

Ma Vivanet non allarga la sua indagine all’ambito sociologico: si limita a confrontare testi di autori antichi e moderni che hanno commentato la Commedia di Dante. In ogni caso, non gli si può dare torto quando afferma che il poeta fiorentino ha contribuito a peggiorare la nostra immagine. Lo stereotipo di un’isola abitata in larga misura da persone poco raccomandabili (barattieri, assassini, donne dalla moralità dubbia) in Dante trova una conferma spiacevole, per lo più cifrata con immagini e versi di grande efficacia espressiva. Da parte loro, i sardi non si sono risentiti col Poeta. Anzi, gli hanno tributato un’ammirazione sconfinata. Una delle strade più lunghe e moderne di Cagliari è a lui intitolata. Cosi come ha sempre operato nel capolouogo sardo l’Associazione Dante Alighieri.

Il che dimostra come noi non gliene abbiamo voluto, per come ci ha trattati nel suo poema.

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