Novembre 21, 2024
Gaetano Ranieri

A Mont’e Prama Peppino, Costantino, Angelo e Marco hanno lavorato con noi fianco a fianco. La vecchia area archeologica era piena di irregolarità. Gli scavi erano stati abbandonati da trentacinque anni, e il paesaggio era sconvolto: c’ erano i mucchi di terra residuo degli scavi, le lastre di pietra delle tombe, i morti rannicchiati, erbacce di ogni genere, animali piccolissimi che uscivano da fori nel terreno, siringhe, pietre ammucchiate, fossi pericolosi: era evidente che qualcuno avesse agito di nascosto per renderlo così: tombaroli senz’altro.

I detenuti avevano da scontare pene di diverso peso. Uno aveva appena due anni per aver avuto approcci con una ragazzina, uno aveva avuto una condanna a cinque anni per aver provocato un incendio, mentre altri due avevano una condanna pesante: 30 anni. Omicidio. Erano lì grazie a percorsi di riabilitazione  voluti da Pier Luigi, il direttore del carcere. Naturalmente tutti si dichiaravano innocenti o vittime delle circostanze. Tutti erano lì da pochi giorni, ancora imbarazzati soprattutto nei confronti delle archeologhe, gentili e per niente spaventate.

Avevano iniziato a familiarizzare mantenendo un grande rispetto verso tutti noi e verso i nostri ruoli. Avevano notato come sia Momo che io e i tanti giovani archeologi e geofisici non ci risparmiavano nel fare operazioni semplici come spalare la terra, riempire i fossi in maniera che il georadar potesse passare agevolmente sul terreno reso piano. Tutti ci si sporcava le mani.

Quel giorno il maestrale cominciò a rinforzare e si sollevò un polverone  gigantesco. Noi corremmo a  ripararci nel box, loro continuarono invece senza sosta. Dovetti essere io in persona a cercare di convincerli. Peppino, Angelo , Tino, Marco venite nel box a ripararvi! Prima gridai per convincerli, poi dovetti avvicinarmi: Su ragazzi riparatevi! Si girarono tutti verso di me. Il loro sguardo era deciso, ma non cattivo: Professore, ma lo sai lei che cosa significa il vento per noi?

No non lo sapevo non avevo mai considerato che la detenzione facesse mancare il vento sul viso, tra i capelli, negli occhi.

Lasciai che stessero lì e mi unii a loro a spostare pietre. Provai io stesso il desiderio di libertà.

Oggi che i signori del Nord che più Nord non c’è ci chiedono terra e mare per intercettare il vento, dovremmo rispondere: ma voi sapete cosa significa il vento per noi?

È come il respiro: senza lo iodio che viene con la brezza di mare, senza i profumi di una terra intonsa con la brezza di terra moriremmo!

Il  vento, di maestrale soprattutto, da sempre ha imperversato in Sardegna. Si dice ancora che le maestralate durino 3, o 5 o7 giorni. È  come una regola matematica, come il pi greco, il rapporto tra la circonferenza e il raggio del cerchio. Il vento in Sardegna ci fa compagnia: pulisce l’aria e porta i profumi della terra a noi che viviamo nella parte Sud e del mare a chi vive al Nord. Il maestrale ci fa compagnia con la sua musica ritmata dalle raffiche, il sibilo amplificato dentro il cassonetto della serranda; ci dà la compagnia di un gabbiano fermo che lo sfrutta per non far fatica a guardare le sue prede e per irrobustire le sue ali e quella delle vele colorate gonfie di barche colorate in un mare colorato. Ha fatto compagnia anche agli alberi oggi piegati come vecchi resistenti che sono sopravvissuti alle vicissitudini della vita.

Il vento scolpisce le rocce granitiche di Capo Testa meglio di un famoso scultore, fa spumeggiare il mare insegnandogli a frangersi sugli scogli di capo Sandalo o sulla Foredada o sul Pan di Zucchero o sulla chiesina di Balai che per miracolo resiste. Il vento è nei pensieri di ogni abitante della Sardegna. Quando per anni è mancato, ci si lamentava: ci vorrebbe un po’ di maestrale! -si diceva-. In spiaggia -si è vero! – può essere cattivo: smeriglia le schiene e il viso, entra nei capelli, li impasta, acceca, strappa il pallone ai bimbi facendolo volare lontano e ad ammonirli che è meglio stare attenti e aspettare che passi. Se gli resisti, dopo un po’, si calma e le tinte non sono più le stesse. Il mare assume mille e mille colori (su mari esti pintau da un Pittore ineguagliabile), il cielo è terso, la terra palpita come al risveglio e gode delle nuove spore portate.

Signori del Nord, per favore, non rubateci il vento!

About The Author

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *