La lingua dei padri_di Tarcisio Agus
Nel Parco Letterario “Giuseppe Dessì”, sono tanti gli scrittori e poeti che mi sono proposto di presentare, ma fra i tanti vi sono ancora poeti, narratori e cantori che attingendo al grande patrimonio orale e propongono nella lingua dei padri le loro opere.
In questo periodo di presa di coscienza del popolo sardo contro l’ennesima colonizzazione legate all’energia green, resistono ed ancora combattono gli scrittori e poeti in lingua sarda, nel tentativo, forse per molti inconscio, di concorrere, come soleva dire il prof. Giovanni Lilliu “ a decolonizzare la storia sarda”. La Sardegna fra le diverse sottomissioni subite annovera anche la cancellazione della lingua nel suo insieme, considerata dalla cultura dominante ancora dialetto e riconosciuta dallo Stato solo nel 1999. La Regione Sardegna dal canto suo precede lo Stato con la legge n.27 solo nel 1997, con la “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna”. La strada sembra ancora lunga mentre in altri ambiti minoritari da tempo si riconosce, si tutela e si promuove l’istituzione del bilinguismo. La desardizzazione attuata attraverso la scuola e la comunicazione di massa, oggi la si sta combattendo con poca determinazione, anche se bisogna prendere atto che qualcosa la si fa attraverso i giornali, radio e TV, ma non riesce ad avere piena coscienza locale, eco nazionale e tanto meno internazionale. Fortunatamente abbiamo ancora negli strati popolari scrittori, compagnie teatrali e poeti che persistono nel mantenere e proporre instancabilmente, attraverso la lingua dei padri, la storia e la cultura dell’isola. Ricchezza straordinaria che ci fa ben sperare, perché la lingua sarda si insegni almeno nelle scuole di primo grado ed entri davvero nella pubblica amministrazione con la redazione degli atti e la comunicazione istituzionale, perché solo così potrà recuperare il suo ruolo aulico. Forse per questa ragione il Prof. Lilliu nei nostri incontri mi chiedeva di parlarle sempre in sardo. Questa nostra lingua, pur con le diversità territoriali, dai profondi significati e modi d’essere, la ritroviamo ancora in molte opere che fortunatamente ancora vengono prodotte da eccletici personaggi che ne hanno fato una ragione di vita, come l’arburese Gigi Tatti, autore di numerose commedie, poesie, narrazioni, canti e stornellate spontanee, che affondano le radici in quel mondo tramandatole dal padre Attilio, poeta dialettale.
Durante il corso della sua vita ha narrato dei luoghi, dei modi e della vita delle comunità promuovendole attraverso le sue partecipazione ad eventi, attraverso le radio locali ed ancora scrive e promuove le sue opere pubblicando in uno dei rari quindicinali laici che ancora perdurano nell’isola “La Gazzetta del Medio Campidano”.
Nel 1982 scrive la sua prima commedia in due atti: “Torrendi a Ingurtosu”, sono poi seguite,
“A s’arrovèsciu”, “Sa cibudda de Genneruxi”, “Abettendi abettendi”, “Sa musca cuaddina”, “Spinarba”, “Disìgius Fridus”, “Caboniscu bècciu, biccu nou”, “Su bentu dorau”, “Sa bella maladia”, “Certus in famiglia” e “Mellus a timi che a provai”.
Dal 2006 partecipa a diversi premi e concorsi letterari, con lusinghieri ed importanti riconoscimenti, come “Montanaru” di Desulo; “L’ulivo d’oro” di Dolianova; nel 2007,“Nanneddu Chighine” a Ittireddu; nel 2009 Concorso di Escalaplano e Premio letterario “Anselmo Spiga” di San Sperate, dove riceve una menzione speciale.
“Fueddus chene crieddus”, è l’ultimo suo libro, pubblicato da Ptm editrice, che arriva dopo “Biglie e quisquilie”, “Tres cumedias sardas” e “Scracalius”, ancora il suo impegno nel coltivare “Is arrastus dei is tradizionis sardas”.
Una vita “artistica” dedicata interamente alla tradizione e lingua sarda in oltre venti commedie, libri e poesie che gli hanno valso numerosi riconoscimenti.
“Fueddus chene creieddus” con il sottotitolo “760 modi di dire in lingua sarda” vuole essere una raccolta de “Is modus sardus de nai ca si depint sempre arregodai poita chi arresistint e bivint in su tempus” (Dei modi di dire che devono essere sempre ricordati perché resistano e vivano nel tempo).L’autore ha tradotto in italiano i modi di dire sardi con la consueta ironia, precisando che la dove non è riuscito nell’intento, perché spesso non si trova una corrispondente traduzione, ha messo dei puntini lasciando al lettore l’onere di completare la frase.
Un libro che si legge tutto d’un fiato, dove si cogliere lo spirito goliardico dell’autore, che non manca di strappare più di un sorriso al lettore.
Attualmente ha una rubrica in lingua sarda “Fueddus chene crieddus” sulla “Gazzetta del Medio Campidano”. Per molti anni ha condotto un programma di Musica Folk e di Cultura Sarda a Radio 80 di Arbus e in altre Radio locali.
In copertina Gigi Tatti