Dicembre 18, 2024

Incontro con Branchetti e Flaherty_di Emilia Filocamo

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Un dialogo tra il grande e controverso Freud e una figura misteriosa che potrebbe forse essere Dio, l’inquietudine e l’incertezza, la sorpresa di doversi confrontare proprio con l’entità di cui si è negata l’esistenza in uno strano, imprevedibile contrappasso. Le paure più comuni che tormentano l’animo umano affiorano, dall’egoismo alla solitudine, il tutto condensato in un unico atto incalzante che ha sfumature inquietanti, commoventi e a tratti anche divertenti.

Si può riassumere così Il Visitatore di Eric Emmanuel Schmitt, piéce teatrale in tournée da ottobre ma che il 10 ed 11 gennaio approderà a Roma al Teatro di Villa Lazzaroni. Prodotto da Antonio Nardelli, con la regia appunto di Francesco Branchetti, vede protagonisti Lorenzo Flaherty con Nicola Adobati, Andrea Vincenzo Verde e Maria Grazia Ciarlone, musiche di Pino Cangialosi, costumi sempre di Francesco Branchetti ed organizzazione di Lavinia Verrengia.

Ad entrare nell’epidermide di quest’opera che, dalla sua stesura  nel 1993, grande successo ha riscosso in tutta Europa, ricevendo premi e riconoscimenti, a scandagliarne significato e  profondità è appunto Branchetti, regista che del teatro ha fatto non solo una passione ma una missione, dettaglio che non è difficile cogliere ed intuire dalle sue parole.

Francesco, puoi raccontarci come è nata l’idea di portare in scena il Visitatore e  quali difficoltà, dal punto di vista della regia,  hai dovuto affrontare con questo spettacolo?

L’idea è nata con il produttore Antonio Nardelli: entrambi amavamo molto questo testo e abbiamo deciso che, in questo  particolare momento storico, era importante portare in scena un lavoro che parlava di tematiche così importanti e così urgenti, soprattutto considerando che la nostra epoca è devastata da problematiche terribili, di ogni genere. Nella messa in scena le difficoltà in realtà non ci sono state perché è stata tale   la passione con cui abbiamo lavorato io, Lorenzo ed il resto del cast, che tutto è andato davvero a meraviglia.

Indagare l’animo umano, interrogarsi: una certa tendenza, anche nell’ambito di alcuni prodotti televisivi, sembra andare in questa direzione. Pensi che sia dovuto all’incertezza dei tempi, ad una maggiore fragilità ed insicurezza che stanno caratterizzando questo momento storico?

Credo che in un certo senso, si stia prendendo consapevolezza dell’urgenza e dell’importanza del trattare certi temi, per cui, si, credo che questa tendenza ci sarà e sarà sempre più pronunciata in un’epoca travagliata come la nostra e che si annuncia sempre più difficile e dolorosa per l’essere umano.

Parliamo del protagonista, Lorenzo Flaherty: avevate già lavorato insieme? Cosa ti ha colpito maggiormente della sua interpretazione?

Ci conoscevamo molto bene ma non avevamo mai lavorato insieme ed è stato un vero piacere farlo, soprattutto per il metodo di lavoro estremamente professionale ma anche profondamente intriso di umanità. E ’ stato un lavoro entusiasmante costruire insieme questo personaggio così importante e devo dire che il risultato mi soddisfa profondamente.

Cosa speri di lasciare  nello spettatore  con questo spettacolo, una volta calato il sipario?

La profonda convinzione che qualsiasi cosa di “ inumano” ci circonda è frutto dell’essere “ umano”, per quanto possa sembrarci paradossale.

Prossimi progetti?

Debutterà il 10 gennaio Senza Respiro con Pamela Prati e sto iniziando le prove anche di un altro spettacolo, a cui tengo molto, l’Onorevole, il Poeta e la Signora in cui sarò in scena sempre accanto a Lorenzo Flaherty e ad Isabella Giannone e di cui curerò anche la regia; sarà uno spettacolo importante e sarà in tournée nelle maggiori città italiane ed in tutte le regioni in diverse città.

Riprendendo il tema dello spettacolo, puoi parlarci del tuo rapporto con Dio?

Sono profondamente credente e da sempre interessato al tema della religione che ho trattato sin dai miei primi spettacoli come “Corale dell’attesa”.

Non resta che andare a teatro, a Roma, a Villa Lazzaroni. Attendere il 10  o l’11 di gennaio, accomodarsi,  predisporsi nel modo giusto e  lasciarsi coinvolgere e rapire da questo dialogo che tanto potrà svelare delle nostre paure, delle nostre fragilità e, nel contempo, tanto ci solleticherà ad indagare verso l’alto, a cercare spiegazioni, a ricavare conforto in qualcosa di superiore. Qualcosa  a cui magari, talvolta,  si è guardato con scetticismo ed incredulità e a cui, inevitabilmente, specie quando la debolezza diventa quasi incapacità di reagire, si tende perché in cerca di un rifugio e di risposte  a tutte le domande che, da sempre, ne sono state prive.

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