Giovanni Antonio Sanna, imprenditore minerario sardo_di Tarcisio Agus

Il 9 febbraio del 1875 moriva a Roma il più grande imprenditore minerario d’Italia, in questo mese si ricordano i 150 anni dalla sua dipartita.
Ormai il tempo sbiadisce il ricordo di un personaggio che sembra lontano anni luce, la sua Sassari, che spesso non è stata clemente con lui, lo sta rivalutando e nella ricorrenza della sua morte le ha dedicato tre importanti giornate commemorative.
Giovanni Antonio Sanna amava la sua città natale, ma come tanti personaggi intraprendenti ed illuminati stentano ad essere riconosciuti, come ci ricorda il passo del vangelo di Luca 4, 24: “Nemo propheta acceptus est in patria sua”, nessun profeta è gradito in patria.
Lui evidentemente non si avvilì e continuò il suo amore per l’amata Sassari, lasciandole importanti beni e la fondazione del museo.
L’altro suo grande amore è stato senza dubbio la miniera di Montevecchio, che scoprì per il tramite di un audace sacerdote, amante della ricerca mineraria, Giovanni Antonio Pischedda Terzita, nato a Tempio, parte di una facoltosa famiglia di commerciati di sughero.
Giovanni Antonio Sanna con il collaboratore minerario Willemait si trasferì a Guspini nel marzo del 1845 ed ottenuta la concessione il 28 aprile del 1848 venne raggiunto nel comune minerario, dove aveva stretto importanti amicizie, dalla moglie Marietta e dalle due figlie Ignazia e Amelia.
Il percorso imprenditoriale del giovane sassarese non fu certo agevole, dalla ricerca dei capitali per affrontare l’incognita impresa e dalle diverse controversie, compresa quella che da subito lo contrappose al Pischedda, nell’ottenimento della concessione mineraria e del suo sfruttamento.
Le avversità a cui andò incontro furono piuttosto dolorose e sicuramente intaccarono la sua forza e determinazione. Sin dai primi anni di sfruttamento della miniera trovo nemici, come Pio Massone nominato dall’assemblea societaria nel 1852 contro il parere di Sanna, che lo considerava “straniero alla società” e senza nessuna conoscenza di attività minerarie. Pio Massone era un consulente di diverse case commerciali di Genova. Evidentemente gli attriti furono tanti che il Massone avviò una guerra contro Sanna, riuscendo nell’assemblea del 19 settembre 1853 a estrometterlo da Montevecchio, nonostante gli importanti risultati conseguiti.
Nel frattempo il 14 dicembre 1857, Sanna veniva eletto deputato nel collegio di Isili.
A Torino dove il suo impegno politico crebbe e maturò con la passione per il giornalismo, acquistò nel 1860 il giornale Il Diritto e la tipografia, che divenne un’autorevole strumento di opposizione al ministro Cavour.
In miniera seguirono anni di importanti profitti e l’istanza di Sanna, contro la sua estromissione da Montevecchio, si stava concludendo a suo favore.
Nel frattempo proseguiva il ricorso del prete Pischedda. L’amico deputato Giorgio Asproni definì Giovanni Antonio “combattente indomito”, per la sua tenacia e difesa.
Il 9 agosto del 1862, la Corte di Cassazione riconosceva al Sanna la titolarità della concessione su Montevecchio.
L’anno successivo un’altra sentenza della Cassazione dava ancora ragione al Sanna nella vertenza con la società e il gerente Massone. Il più influente degli azionisti, Carlo Valle, si rese conto dell’importanza del ruolo di Sanna nella vasta miniera e si adoperò affinché la società riconoscesse i suoi diritti, valutati in 2.079.879 lire.
Il bilancio del 1863 si chiuse con 2.593.614. Accettare le rivendicazioni del Sanna avrebbe portato la società al fallimento, ma l’azione di Valle e l’amore di Sanna per Montevecchio evitarono il dissesto. Venne trovato un accomodamento sottoscritto presso il notaio Balbo di Genova il 22 ottobre 1863. Pio Massone in scadenza del contratto passò la mano a Carlo Valle e Sanna rientrò dopo 10 anni a Montevecchio.

Nel frattempo l’illuminato imprenditore sardo era rientrato a Sassari con la famiglia, ormai ricco, nonostante le sue peripezie giudiziarie gli avessero sottratto ingenti risorse, si dedicò all’allevamento dei cavalli e privilegiò relazioni con alcuni marsigliesi ed imprenditori stranieri che si trovano in città.
La sua elezione a deputato lo porterà poi lontano anche da Sassari e vicino a due importanti personaggi del tempo, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Egli sostenne finanziariamente la loro politica, come “La Giovane Italia” di Mazzini. Promosse Garibaldi attraverso l’acquisto di un nuovo giornale “L’Emancipazione Italiana – L’Eco delle isole”. Ne affidò la direzione al sardo Giorgio Asproni e al siciliano Francesco Crispi e finanziò lo sbarco dei mille a Marsala del 11 maggio 1860.
Condivideva con Giorgio Asproni l’amicizia con i due illustri personaggi, deputato anche Asproni, si frequentava giornalmente e partecipava all’azione politica dei progressisti. Quando circolò la voce che i Savoia, estromessi dai mazziniani, si sarebbero ritirati in Sardegna, Sanna si schierò con Asproni per preparare un atto anti sabaudo per liberarsi dal giogo piemontese. I due deputati accarezzavano l’idea utopistica di una Sardegna Stato neutrale, senza barriere doganali, industrialmente sviluppato e aperto ai commerci internazionali.
Nel novembre del 1863 ritornò per una giornata a Montevecchio, di nuovo “padrone” della miniera, accompagnato dal suo fedele servitore Pasquale Are, che per l’occasione predispose una festa campestre per l’accoglienza.
In quegli anni una parte della produzione partì da Montevecchio, (si parla di 210 t di piombo), attraverso il porto di Marsiglia a Parigi, per la realizzazione delle lastre di copertura della cattedrale francese di Notre Dame, impegnata dal 1845 in un profondo restauro. L’operazione si rese possibile per la posizione sociale che Giovanni Antonio aveva in Francia, molti lo chiamavano il francese: già dal 1844 era iscritto alla loggia massonica “de St.Jean” di Marsiglia, affiliata al Grande Oriente di Francia.
Finite le traversie con il Pischedda e la società, Sanna si ritrovò con nuovi problemi e stavolta potremmo dire in casa. Le due figlie si sposarono nello stesso giorno il 1 di ottobre 1864, Ignazia con il sassarese Giovanni Maria Solinas Apostoli e Amelia con Francesco Michele Guarrazzi, nipote di Francesco Domenico Guerrazzi avvocato e scrittore, detto il Dittatore di Toscana per i moti rivoluzionari del 1848.
I due Guerrazzi cominciarono a interferire sul gerente e su Sanna per contare di più all’interno della società.
Il 18 febbraio 1866, Sanna veniva eletto deputato per la sinistra nel collegio di Grosseto e a fine mese rientrò a Montevecchio. Cambiò la direzione tecnica, chiamando, il 31 di marzo, il venticinquenne nipote del suo amico e collega Giorgio, l’ing. Giorgino Asproni Mameli di Bitti, laureato a Torino nel 1864 e specializzato in mineraria in Francia, alla scuola di St. Etienne.
L’arrivo di Asproni non piacque a Francesco Michele Guerrazzi noto Cecchino, che tentò in un primo momento di ingraziarselo, ma vista la differenza di vedute cercò pian piano di oscurare quanto aveva fatto suo suocero. Come quando organizzò la festa per l’arrivo di Asproni, in un malcelato tentativo di benevolenza, nel quale annunciava che la galleria Azuni da quel momento avrebbe portato il nome di suo zio Domenico.
Ormai Giovanni Antonio aveva locato casa a Firenze in via dei Servi 37, a due passi dal Parlamento che si riuniva nel Palazzo della Signoria, anche per stare vicino alla figlia Amelia sposa di Cecchino, che abitava a Livorno e dove suo genero aveva trasferito la sede della società Montevecchio.
Asproni, nonostante le provocazioni di Cecchino d’intesa con il suo zio Domenico, si dedicò a razionalizzare i trattamenti dei minerali, propose di costruire tre impianti, uno per concessione, il primo di rimpetto all’Anglosarda (che prenderà il nome Principe Tomaso e assorbirà la laveria Rio), la seconda vicino al Ribasso Mannu (Laveria Sanna) e la terza a ponente sul rio Mannu (La Marmora).
Nel frattempo gli attriti tra il gerente e l’ing. Asproni andavano crescendo.
Il genero di Sanna, con la complicità dello zio Domenico, era sempre più intenzionato a metter le mani sulla gallina dalle uova d’oro di Montevecchio.
Cecchino pensò comunque di sfruttare la sua posizione di gerente per acquistarsi la bellissima tenuta di Cecina detta La Cinquantina, che prenderà poi il nome di Villa Guerrazzi, facendola passare come un’operazione di Sanna attraverso un prestito in suo favore della Montevecchio, per la figlia amata Amelia. Sanna andò su tutte le furie e non mancò il lungo e doloroso strascico giudiziario.
Lui aveva riposto in suo genero totale fiducia affidandogli persino la custodia di una quota delle sue azioni. Era il preludio alla crisi del 1868, quando i due Guerrazzi, convocando a Livorno un’assemblea straordinaria della società, forti del possesso (fittizio, ma da essi tenuto nascosto) di 1500 azioni di Sanna su un totale di 2.000, fecero deliberare decaduto Sanna dalla titolarità della concessione mineraria e dalla carica d’Ispettore Generale, mentre fu nominato Francesco Michele Guerrazzi gerente “inamovibile” per 10 anni, lo zio presidente del Consiglio di Sorveglianza e il Dott. Chiostri ispettore. Il giorno dopo La Nazione riportava la notizia a grandi titoli: Francesco Domenico Guerrazzi era il nuovo padrone di Montevecchio. Giorgino Asproni, che da tempo segnalava al suo caro amico le malefatte dei Guerrazzi, non perse un attimo alla notizia e si dimise, attivando da subito una guerra col neo gerente e il Sanna contro zio e nipote.
Contestualmente, vista la mala parata, il Sanna mise mano al suo testamento che consegnò al fedele Pasquale Are nel suo ufficio di notaio a Guspini, escludendo sua figlia Amelia dall’eredità della miniera, ma assicurandole ogni necessità sua e delle sue figlie. Questa situazione acuì il contrasto in famiglia, tanto che Marietta invitò continuamente Giovanni Antonio a far pace con Amelia e Cecchino.
Fu l’inizio di una lunga guerra di discredito dei Guerrazzi, che fece passare Sanna per un grande imbroglione, diffamandolo fra i soci marsigliesi e incitando il nipote del prete Pischedda ad azioni estorsive.
Giovanni Antonio, molto amareggiato per le infamanti accuse e la dura controversia, accettò di buon grado l’arbitrato del senatore Musio, ma non vi furono margini perché zio e nipote non accettarono alcuna mediazione.
Tale era la tensione che il giornale La Nazione, che seguiva l’intricato contrasto, nel dicembre 1869 riportava l’avvenuta aggressione in parlamento con male parole a opera del collega Francesco Domenico Guerrazzi e del nipote, mentre il parlamentare Sanna entrava a Palazzo Vecchio.
Giovanni Antonio si difese impugnando la sua pistola e costringendo zio e nipote ad allontanarsi.
La notizia fece rumore ma fu l’inizio di una rivalutazione di Sanna e di una presa di distanza dai Guerrazzi.
Giovanni Antonio ottenne una prima vittoria dal tribunale di Livorno, con la sentenza che gli restituiva le quote maldestramente sottratte dal genero.
Nonostante le dispute legali, la miniera proseguiva piuttosto bene con il direttore Marchese e l’amministratore Pergola, merito della vasta ricchezza del giacimento.
Con le riavute quote, Giovanni Antonio Sanna partecipò all’assemblea del 22 marzo 1870, che annullava la deliberazione dell’assemblea straordinaria e lo reintegrava nella carica di Ispettore.
Il 15 di aprile rientrò a Montevecchio accompagnato da Giorgino Asproni, richiamato a ricoprire il ruolo di direttore con la più ampia autonomia, con grande gioia delle maestranze.
Con il recuperato dell’incarico poté nominare il nuovo gerente, forse nel tentativo di recuperare anche una parte delle tensioni familiari, nominava nell’importante ruolo l’altro genero, Avv. Giovanni Maria Solinas Apostoli.
Il 4 di ottobre era di nuovo a Montevecchio per insediare Giovanni Maria Solinas nel nuovo ufficio, preludio a una nuova e grande ripresa dei lavori, con attenzione anche alle maestranze.
Infatti, nello stesso anno attiva la Cassa di Soccorso, finanziata con la trattenuta del 4% sulle paghe a sostegno degli operai malati ai quali riconosceva, in caso di residenza nei paesi vicini, il medico e i medicamenti, più il diritto ai 2/3 della paga giornaliera nel limite di 60 giorni di malattia. L’anno successivo si diede corso all’edificazione dell’ospedale e chi veniva ricoverato aveva il vitto gratuito, la cura medica e i medicamenti.
Contestualmente all’ospedale, si avvia i lavori della prima foresteria, dell’ufficio postale, strutture abitative e tecniche, concorrendo a formare il nascente abitato di Montevecchio.
In primavera, aprile 1871, carico di nuovo entusiasmo Sanna era ancora a Montevecchio per una visita ispettiva e per programmare le successive azioni. Fu anche l’occasione per ricevere la visita del sindaco e dell’intero consiglio comunale di Guspini, ai quali si sentiva legato. Illustrò loro i progetti di sviluppo della miniera che riteneva inesauribile.
In una successiva visita al sindaco a Guspini chiedeva poi collaborazione per inviare alla scuola mineraria d’Iglesias, da lui fortemente voluta e aperta da Quintino Sella, dei giovani di buon intelletto e volontà.
Gli ospiti accolti sul piazzale di Gennas, raggiunto con facilità grazie alla nuova strada carrabile Guspini-Montevecchio di 7,892 km, vennero accompagnati in una articolata visita dei cantieri facilitata da una rete viaria che si sviluppava per 20 km.
Il nuovo clima di euforia era palpabile e da subito il segnale fu quello d’intestare nuovamente a Azuni la galleria che Cecchino aveva intestato a suo zio. A Genna Serapis (Montevecchio) nell’ampio spazio chiamato più semplicemente Spianamento, s’impostavano anche le fondamenta di una sontuosa chiesa trilobata con pronao colonnato, da dedicare a Santa Barbara.
Le maestranze avevano superato i 1000 addetti e le produzioni superavano le 50.000 quintali di galena annui. Montevecchio era divenuta una delle più importanti e moderne miniere europee con il record di galena estratta nel 1871, di 5.750 mila t.
In quell’anno si diede il via ad una stagione di straordinario sviluppo e infrastrutture. In tale ottica Giovanni Antonio, pensando alla sua Sardegna e profittando della legge emanata nel 1869, che sovvenzionava con prestiti gli agricoltori, considerato che il credito nell’isola era rimasto in capo alle attività degli usurai o ai monti di pietà, fondava la Banca Agricola Sarda dotandola di un capitale di un milione di lire.
Era contro is Prinzipales (latifondisti), che a suo avviso avevano vanificato lo spirito della legge sulle chiudende con la loro ingordigia, recintando, tracciando e occupando enormi estensioni di terre a discapito dei piccoli contadini e allevatori, che non riuscirono a costituirsi un proprio podere. Chiamerà a far da tutor un abile dirigente del Credito Mobiliare fiorentino, in cinque anni raccoglierà depositi per oltre due milioni di lire e emetterà buoni agrari per circa 3,3 milioni. Da avveduto imprenditore, con la banca sovvenzionerà non solo l’agricoltura, ma anche l’edilizia nelle principali città dell’isola, scambi commerciali e altre imprese minerarie presenti in Sardegna, così pure la miniera di piombo di Gbel Rsass in Tunisia.
La grande euforia per il rientro di Giovanni Antonio Sanna in miniera fu oscurata da un grave incidente verificatosi il 4 maggio del 1871, nel cantiere rinominato Azuni. Verso le 6,30 della sera, le donne che lavoravano alla cernita nella vicina laveria rientravano nei propri dormitorio per ripo- sare e ristorarsi. D’improvviso la riserva idrica che sovrastava il dormitorio cedette, riversando sulla modesta struttura 80 mc di acqua e parte della muratura del deposito che uccise undici donne e bambine, mentre quattro rimasero ferite. Delle undici donne nove provenivano dal comune di Arbus (Armas Antioca anni 32, Murtas Luigia 27, Vacca Luigia 15, Melis Anna 11, Aru Elena 10, Atzeni Anna 12, Pusceddu Caterina 10, Peddis Anna 14, Pusceddu Anna 14) e due di Guspini ( Gentila Rosa anni 15 e Vacca Rosa 50).
Nel 1872 si avviò l’edificazione del pozzo Sant’Antonio che consentì la coltivazione dei livelli più bassi dell’Anglosarda. Negli anni tra il 1873 e 1875 fu un susseguirsi di nuovi lavori in tutti i cantieri di levante e di ponente, con importantissimi risultati strutturali e produttivi che portarono l’assemblea del 5 novembre 1873 a deliberare la costruzione della ferrovia a scartamento ridotto, per il trasporto dei minerali a San Gavino, presso la stazione delle Ferrovie Reali. L’investimento sarebbe stato pari a 676.000 lire e un costo di esercizio stimato in 2,25 lire/quintale, con ammortamento e manutenzioni comprese, finanziabile con i soli fondi societari.

A questi importanti sviluppi concorse senza dubbio l’ingresso in miniera del martello pneumatico Simon Ingersoll che l’Asproni vide operare nelle miniere del Regno Unito e subito adottò.
Tanta della ricchezza di Montevecchio fu reinvestita tra nuovi pozzi, gallerie, viabilità stradale, abitazioni e ferrovie. Del resto la lettera aperta a Quintino Sella sull’attenzione che lo Stato avrebbe dovuto porre per sostenere le miniere sarde non ebbe particolare attenzione.
Con i suoi proventi Giovanni Antonio investì tanto in agricoltura, che riteneva fondamentale per la Sardegna. Nella sua Sassari acquistò la tenuta nobiliare di Monserrato e l’antica proprietà fondiaria di San Sebastiano. Pare che l’insieme di tutte le operazioni di compravendita effettuate nell’isola nel 1870 non fu meno di 2,5 milioni di lire: allora sembrava che il Sanna potesse essere considerato l’uomo più ricco d’Italia.
In Sardegna ormai veniva sempre meno, preso dagli affari e dalla apertura di una succursale della banca a Napoli di cui si innamorò e vi si stabilì, gli ricordava Marsiglia. In tanti erano del parere che Napoli fu un esilio voluto, se non obbligato, per allontanarsi dalle lingue ed ambienti velenosi che lo tormentavano, compresa la famiglia.
La morte non chiara della figlia Enedina, nel marzo del 1873, lo rattristò fortemente e i rapporti familiari si raffreddarono ulteriormente, mentre si acuivano i dissapori con i generi che continuavano a tessere trame a suo carico per impossessarsi del vastissimo patrimonio accumulato, irriconoscenti di quanto Giovanni Antonio aveva fatto per loro.
Questa situazione lo amareggiava. Aveva inoltre scoperto di avere seri disturbi cardiaci, che ne avevano minato la salute e lo spirito.
Nell’ottobre del 1873, lo rallegrò la visita del suo caro Giorgino Asproni che rientrava da Berlino per carpire nuove tecnologie. Decise di andare a trovare l’Ispettore Generale, così lo soprannominava, per informarlo sui progressi della miniera ormai su livelli produttivi internazionali e portare i saluti dei suoi più cari amici di Guspini, che attendevano una sua nuova visita. Sanna Giovanni Antonio e Sanna Maria nata Llambi, nata in S. Felice di Gujsols, nella cittadina che gli accolse nella prima fase della grande avventura battezzarono numerosi bambini, l’ultimo battesimo avvenne per procura il 23 settembre 1873, per mezzo del medico di Montevecchio Salvatore Cherchi.
Con Montevecchio una parte del suo affetto lo riservò anche a Guspini quando nel 1864 finanziava l’accesso alla parrocchiale di San Nicolò, con una imponente scalinata in granito. Ma non solo, sua figlia Amelia diede in dono al comune la casa di via Amedeo dove la famiglia si era trasferita e dove nacque Enedina, mentre la quarta figlia Zely, pose in atto la volontà testamentaria del padre con la costruzione della scuola elementare, il rifacimento marmoreo del pavimento e dell’altare maggiore, con le statue dei due angeli e di San Nicolò. Completò l’opera affrescando l’intero complesso ecclesiale in ogni sua parte tanto da renderla duomo. Non solo, fece affrescare l’intero palazzo comunale con la splendida sala del consiglio.
Per dare certezza a Montevecchio nell’Accomandita del 3 novembre 1873 propose, attraverso il suo procuratore avv. Sineo, di dare a Giorgino Asproni un ruolo più importante, togliendo al genero Solinas Apostoli la gerenza, in quanto gerente anche della banca. Questo non fece altro che inasprire ulteriormente i rapporti familiari, Sanna reputava suo genero uno sfaticato, più dedito alla bella vita che al lavoro.
Di Montevecchio aveva notizie anche tramite le lettere del suo amico Are. In particolare salutò con infinita gioia la notizia che in miniera si stavano per raggiungere le 7 mila tonnellate di galena, proprio nel momento in cui il prezzo della galena saliva nei mercati di Marsiglia e Londra. Il ricavato delle produzioni piombifere aveva quasi pareggiato il valore dell’intera produzione cerealicola sarda.
Nel 1874, si dava avvio anche allo sbancamento per la realizzazione della ferrovia Montevecchio-Sangavino e alla costruzione a ponente della terza laveria, La Marmora. Così pure Giorgino Asproni, nonostante le continue interferenze del genero del Sanna, che ancora manteneva la gerenza, fece edificare a Genna Serapis dieci appartamenti in palazzine a due piani per ospitare i dirigenti della miniera, chiamati a governare 1500 operai, distribuiti sui quattro pozzi di estrazione.
Queste notizie confortavano Giovanni Antonio, ma non altrettanto le informazioni su suo cognato Solinas, che male aveva digerito la sua estromissione in favore dell’Asproni. Stavano venendo meno la salute e l’entusiasmo: pur sollecitato a rientrare in Sardegna preferì il suo esilio, ormai separato da tutti a eccezione pare della figlia Zely.
Si mantenne il rapporto d’amicizia con Giorgio Asproni che più volte andò a visitarlo, trovandolo ogni volta sempre più lontano dagli affetti e affari, in continuo stato di grave affaticamento e poca lucidità. La salute di Giovanni Antonio precipitò rapidamente, cosi la figlia Zely convinse la madre Marietta, sul finire di giugno del 1874, ad andarlo a trovare. Zely raccontò delle allucinazioni paterne, in particolare il ricordo del prete Pischedda che lo tormentava nel sonno e degli ingrati generi. Le due donne si resero conto del precipitare della situazione e dello stato di profonda prostrazione del loro caro. Notarono inoltre l’atteggiamento delle due badanti, madre e figlia Scaletta, che non agivano per lenire la malattia di Giovanni Antonio, ma tendevano a circuire l’uomo per loro profitto, tanto che Marietta dubitava della natura della malattia. Vennero immediatamente licenziate e chiamata un’infermiera per aiutarle nella cura di Giovanni Antonio, che chiese loro di non lasciarlo solo. Madre e figlia si insediarono nella villa “del Balzo” di Capodimonte. La locazione venne pagata in anticipo, sino a tutto il 1874. Marietta e Zely, visto il precipitare della situazione, decisero di trasferire Sanna a Roma, perché portarlo a Sassari sarebbe stato molto più complicato, il viaggio in nave non sarebbe stato opportuno e inoltre nella capitale risiedevano le famiglie dei generi Solinas e Giordano, visto che la sede dell’Accomandita era a suo tempo stata spostata da Firenze.
Il trasferimento avvenne in treno i primi di gennaio, Sanna era accompagnato da Marietta, Zely e Ignazia, giunta apposta per assistere il padre. Purtroppo però la situazione sanitaria peggiorò ulteriormente ed a nulla valse l’amorevole assistenza di Zely che per destarlo dal suo torpore e apatia le leggeva i giornali e narrava di Montevecchio.
Nel pomeriggio del 9 febbraio del 1875, Giovanni Antonio Sanna, all’età di 55 anni morì.
La notizia colse tutti di sorpresa, compresi i suoi amici più cari, Asproni, Sineo, Crispi e Mari, presenti tutti a Roma, non avevano saputo del suo trasferimento. In un baleno la triste notizia si diffuse anche in Sardegna, nella sua Montevecchio e a Guspini. I tanti amici e il direttore della miniera Giorgino Asproni, sette giorni dopo, celebrarono in suo onore una solenne messa con un sontuoso catafalco e tante corone nel duomo di San Nicolò.
Molti lo consideravano un uomo che fece la sua fortuna attraverso l’avidità sociale e la corruzione politica, burbero e arrogante. Anche nella sua Sassari non godeva di tanta stima. Gli amici più vicini lo ritenevano un uomo generoso, semplice e disponibile ad aiutare i più poveri, ma duro, sprezzante e spietato nei confronti di chi tentava di prenderlo in giro o di truffarlo.
Ci lasciava un grande personaggio che usciva a testa alta tra le intraprese minerarie della Sardegna, allora tutte in mano a società estere, mantenendo, nonostante tutto, il suo impegno assunto al cospetto del Re Carlo Alberto, di fare di Montevecchio la miniera più importante del regno.