Marzo 15, 2025

Piazza Matteotti, una piazza ritrovata_a cura di Anna Palmieri Lallai

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Di recente, dopo forti disagi e lavori tanto lunghi che sono sembrati quasi eterni, ricordandomi la ben nota “fabbric’ ‘e S.Anna”, senza alcuna particolare “cerimonia”, è stata restituita alla collettività Piazza Matteotti, uno spazio urbano da sempre molto frequentato soprattutto per la sua posizione strategica. Infatti, ubicata quasi nel cuore pulsante del quartiere Stampace, in un’area, in tempi remoti, extra muros, quindi aperta campagna, oltre la cinta muraria del borgo, poco alla volta cambia volto e viene circondata dalla costruzione di palazzi di particolare pregio, come il palazzo Vivanet, che fu anche per breve tempo sede archeologica, e il nuovo palazzo Comunale, sorto a partire dal1899, in sostituzione della vecchia sede del Palazzo di Città, in Castello. La piazza, che ancora oggi occupa una posizione privilegiata, risulta inglobata tra il Palazzo delle Ferrovie, la piazza vera e propria, destinata al traffico, e la Stazione della Arst, col suo continuo via vai di pullman con varie destinazioni. L’area, piuttosto vasta, da noi casteddaius e non solo, chiamata a lungo semplicemente “Piazza della Stazione”, si  presentava delimitata frontalmente dai c.d. Giardini della Stazione Ferrovie Reali, che, realizzati come parterre della stessa Stazione, in origine erano rigorosamente recintati da una prestigiosa ringhiera in ghisa riecheggiante il Liberty, stile da subito molto apprezzato in città che, poco dopo, ritroviamo particolarmente sobrio nell’adiacente Palazzo Civico.

Il Giardino risale alla seconda metà dell’800 (1883), poco dopo la costruzione del Palazzo delle Ferrovie, che, edificato tra il 1871 e il 1879 su progetto dell’ing. Luigi Polese, nel tempo è stato più volte modificato e riqualificato. Infatti, nella prima metà del 1900, il palazzo subisce un primo importante restauro, perdendo le due terrazze laterali, che vengono sopraelevate, al fine di recuperare spazio. Gravemente danneggiato dai bombardamenti su Cagliari nel 1943 da parte degli angloamericani, durante la ricostruzione della città, viene ulteriormente rimaneggiato, creando fra l’altro la pensilina centrale e ottenendo l’aspetto attuale. Ma nel tempo un po’ tutto si trasforma e anche la piazza, in origine dedicata al filosofo Italo Balbo, forse seguendo le tendenze politiche del tempo, viene intitolata al socialista Giacomo Matteotti, nome attuale, e ancora oggi, come in passato, la zona subisce tutto il traffico che gravita in questo spazio, un continuo passaggio di mezzi e di persone, coinvolgendo il traffico proveniente da via Sassari, via Roma, nonché quello diretto verso La Playa e verso i paesi limitrofi.

Il tutto viene realizzato in un’epoca in cui si andava alla ricerca non solo del funzionale, ma anche del “bello” per rendere la città vivibile, ma anche gradita alla vista di chi la abitava e la frequentava. E così, di fronte alla Stazione, vengono realizzati i “Giardinetti delle Ferrovie ”(così li ho sentiti nominare a lungo), in passato molto curati e rispettati, con la piantagione di ficus e palme, oggi particolarmente alti e maestosi, testimoni involontari di un passato forse migliore, con aiuole ben delineate, la realizzazione di una fontana centrale posta al limite, con un alto zampillo centrale, i salici piangenti che sfioravano delicatamente l’acqua e tanti pesciolini rossi  che si facevano compagnia e ci regalavano un momento di serenità. Era una grande novità per l’epoca, al pari degli zampilli a raso della nuova versione della “piazza” che sembrano suscitare l’entusiasmo soprattutto dei più piccoli.

La fontana dei Giardini della Ferrovia

Le diverse panchine, dislocate in punti di passaggio e all’interno, servivano da ristoro anche ai tanti “viandanti” che, giunti in città col treno e non solo, cercavano un momento di pausa e di tranquillità dopo un lungo viaggio prima di riprendere il cammino e trovavano una Cagliari ben disposta ad accoglierli. Era per tutti molto piacevole sedersi per recuperare fiato e dare uno sguardo al continuo “via vai” dei passanti, dei tanti studenti e di chi dai paesi giungevano in città, talvolta anche disorientati dal movimento della città… Tra fiori variopinti ci si poteva riposare e i bambini potevano giocare con estrema tranquillità.

Il busto di Giuseppe Verdi al centro del giardino

 In particolare, quasi al centro dello spazio, in prossimità della fontana, tra ficus e palme, si ammirava il busto bronzeo dell’emiliano Giuseppe Verdi (1813-1901), collocato, spalle alla Stazione, su un breve piedistallo dalla base quadrangolare in pietra di Serrenti. Modellato dall’artista cagliaritano Giuseppe Boero (1876-1934), noto Pippo, con bottega a Stampace, in via Maddalena, fu voluto da diversi cittadini amanti della bella musica verdiana, che l’ascoltavano nello scomparso teatro Politeama Regina Margherita, che, inaugurato nel 1897 tra l’entusiasmo della popolazione, andò distrutto da un incendio nel 1942 dopo 45 anni di gloriosa attività. Questi estimatori del gran canto parteciparono numerosi ad una spontanea raccolta di fondi promossa da un apposito comitato su iniziativa dell’allora direttore de L’Unione Sarda, Marcello Vinelli, sepolto nel cimitero di Bonaria. La statua fu collocata nel luogo prescelto con una cerimonia solenne sulle note dell’Aida, dell’Otello, del Nabucco, dieci mesi dopo la morte del grande compositore, avvenuta il 27 gennaio del 1901. Il busto, di gusto classicheggiante, alto circa un metro e 20 centimetri, raffigura il Maestro pensoso, lo sguardo rivolto verso la via Roma, uno dei simboli di Cagliari, con in capo un cappello dalle falde larghe, mentre una lira, rami d’alloro e di quercia, simboli incontrastati di melodia e di valore, sono riportati alla base del mezzo busto.

Danneggiata durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, durante la fase di restauro del piedistallo da cui cadde rovinosamente, la data, inspiegabilmente, mutò, avanzando di ben 10 anni; Ancora oggi, infatti, la data incisa, sbagliata, 1911 anziché 1901, in  ricordo sia della morte del compositore che della collocazione del busto, è diventata, suo malgrado, una curiosità, uno dei tanti piccoli errori che spesso notiamo in città.   

Di fronte al busto di Verdi, su un identico piedistallo, si ergeva quello in marmo bianco di Giovanni Bovio (1837-1903), filosofo e uomo politico dalle chiare idee repubblicane, al quale si deve, tra l’altro, l’epitaffio della lapide commemorativa di Vincenzo Brusco, collocata nel 1896 nel cimitero monumentale di Bonaria. Il busto, realizzato dallo stesso artista Pippo Boero, inaugurato il 28 maggio 1905, era ubicato spalle a quello di Verdi, rivolto, quindi, verso la stazione delle Ferrovie dello Stato. Il tutto svanì durante i bombardamenti del 1943 e sulla sua “sparizione” si sono fatte diverse ipotesi, forse tutte fattibili. Un busto in gesso dell’uomo politico è conservato nel Palazzo Sanjust, in piazza Indipendenza

Insomma un altro busto scomparso o rimosso, forse vittima delle nuove idee politiche che hanno portato anche alla rimozione del busto del filosofo Giordano Bruno, anch’esso eliminato dalla piazzetta di via Mazzini, Marina. Ma questa è una vecchia abitudine casteddaia tarda a morire, per cui ancora oggi qualcuno vorrebbe esaltare il proprio idolo, politico o sportivo, eliminando ricordi sabaudi. Così facendo ci ritroviamo una città senza…memoria, senza passato, senza storia.

Ma, ritornando al “giardino”, col tempo lo spazio ha subito diverse metamorfosi, si è adeguato ai tempi, e sulla sinistra, lato opposto alla via Roma, fu posizionato il capolinea di alcune linee tranviarie con piccole spazi di sosta, con i classici mattoni in vetro, stile retrò, mentre tralascio un “vespasiano”, utile, ma… Poi il degrado è diventato sempre più galoppante. Per anni ho visto, o meglio abbiamo visto, un po’ di tutto e il solo ricordo mette un velo d’ombra sul mio essere “orgogliosamente” cagliaritana.

Cosa era rimasto, a noi cagliaritani, di una “piazza giardino” così animata e “amata” dai suoi abitanti? Nulla o quasi, perché se lo spazio era sempre lo stesso, ben diverso lo spettacolo che si presentava davanti ai nostri occhi, quasi increduli di una simile e repentina “trasformazione”. Era diventato ormai un terreno di conquista, dove ognuno trovava il suo spazietto per allestire bancarelle di ogni genere, di tanti migranti in difficoltà a contatto col mondo occidentale troppo diverso dalle loro millenarie tradizioni che talvolta rendono ancora difficile una probabile o auspicata integrazione.  Ho visto persone che, senza lavoro, senza futuro al pari di tantissimi nostri giovani, vi bivaccavano, offrendoci uno spettacolo indecoroso, di grande degrado anche sociale, facendoci, purtroppo, rimpiangere un passato vissuto nella speranza di un presente e di un futuro migliore per tutti. Ma soprattutto era vivo il senso di insicurezza.

Ed ecco apparire anche un poco edificante e inutile gazebo “informazioni”.

 Poi, finalmente, il progetto di riqualificazione della “piazza”, che, dopo una lunga attesa, quasi in sordina, si è presentata alla nostra vista, mostrandosi come una bella donna con la sua età che ha subito un bel trattamento chirurgico, per mostrarsi elegante, invitante, moderna, per quanto non in perfetta sintonia con l’ambiente datato in cui è inserita. Ma, per fortuna, tolta l’ottimazione degli spazi, si è avuto grande rispetto per le piante sopravvissute, ormai monumentali o storiche, come un bel ficus macrophylla, che, se solo potesse parlare, descriverebbe in prima persona e sinceramente gran parte del nostro passato.

Ma il tempo, si sa, ha il grande potere di essere sovrano, cambia noi e le cose, piazze comprese. E la vecchia Piazza Matteotti, che ha inspiegabilmente inglobato nel suo toponimo anche i datati “giardinetti della stazione”, aspetta piccoli e grandi, urbani e turisti, sempre con la speranza che Giuseppe Verdi, non si sia adombrato nel posizionarlo spalle al Palazzo Civico e a chi gli passa vicino, guardando forse senza volerlo, non più la via Roma, uno dei simboli della città, ma …altrove. Capita anche questo…che un monumento, uno dei pochi, posto in controluce, non sia illuminato. Tutto bello, tutto o quasi positivo. Ma è quando scendono le prime ombre della sera che ti accorgi che la “piazza” all’improvviso cambia volto, il suo “bello” sembra …sparire e il buio regna quasi sovrano. Infatti, non solo la chioma delle alte piante fanno da ombrello allo spazio sottostante (utile d’estate come riparo dal sole cocente), ma le luci posizionate sono poche e basse, al piano o a raso, e gli zampilli della ipotetica “fontana”, illuminati d’azzurro, con richiamo al vicino mare, pur creando un piacevole impatto visivo, al primo soffio di vento (penso al nostro maestrale) allagano l’antistante marciapiede e non solo. Adesso le vecchie panchine hanno lasciato spazio a un unico grande “sedile” che circonda un bel ficus e, mentre osservo in cerca di ricordi, nel buio incombente, non vedo neanche una telecamera e mi sento quasi insicura.  Allungo il passo e mi allontano … e mi coglie una struggente nostalgia, non trovando più quell’ “anima” che distingueva e identificava la mia sempre amata Cagliari.

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